Prologo

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New Orleans, 1970.

Era una giornata piovosa.

Il cielo grigio, le nuvole nere rendevano il cielo spaventoso.

Per la città non c'era anima viva, ed io vagavo con il mio quaderno nello zainetto, una bottiglietta d'acqua e un pacco di patatine, del cioccolato e una bustina di caramelle. La musica nelle orecchie, come sempre.

Mi avviavo senza una meta ben precisa, avevo solo voglia di stare lontano da casa mia, dalle urla di mia madre, i suoi pianti di dolore per le botte con cui mio padre la colpiva.

Avrei voluto fermarlo tante volte, ma la paura e il terrore di vivere lo stesso dolore di mia madre mi impediva di muovere anche un solo muscolo.

Mi fermai al parco giochi, sedendomi su una panchina laddove era posizionato un tavolo malandato fatto di legno. Osservavo il mondo attorno a me.

Non c'era nessuno, tranne una ragazza.

Indossava un giubbotto verde scuro, sulla testa c'era il cappuccio, però non le copriva le onde di capelli rossi. Un rosso scuro ed intenso che le mettevano in risalto quei bellissimi occhi cerulei, la pelle chiara e apparentemente liscia come porcellana, la rendevano incredibilmente bella.

Avanzava verso di me silenziosamente, senza sorridere, anzi direi fosse persa, addirittura avvolta nei suoi pensieri e guardandola negli occhi,

capii che nessuno dei suoi pensieri era felice.

C'era dolore, sofferenza, paura, tensione e molto altro. Indugiò per un momento, fino a che non

si sedette accanto a me guardandomi, accennando appena un sorriso timido.

"Anche tu ami la pioggia?" La sua voce era estremamente dolce, non acuta, somigliava più ad una melodia. Mi rilassava.

"Si, abbastanza." Le risposi imbarazzato, abbozzando un sorriso per non farla sentire a disagio.

Nessuno dei due parlava, osservavamo in cielo senza emettere suoni. Restammo così per un po'. Senza riuscire a trattenermi, posai gli occhi su di lei.

"Io sono Fairy" disse interrompendo il silenzio.

Le mie mani cominciavano a prudermi, non ne capivo la ragione, poi lei mi guardò con un sorriso meno impacciato, più naturale ed io capii. Avevo una gran voglia di stringerla, di proteggerla, privandole di riacquistare in futuro uno sguardo addolorato e angosciato come quello che aveva in quel momento.

"Fabian" risposi senza esitare. Ma la mia voce, per qualche ragione stava tremando.

"È un bel nome il tuo. Ha un non so che di dolce quando lo si pronuncia. Mi accarezza la lingua". La guardavo, il mio viso cominciava a bruciare in maniera quasi insopportabile, e lei notandolo scoppiò in una sonora risata che, poco a poco, riempì il tenebroso silenzio sovrastando il rumore della pioggia sull'asfalto.

Passarono diverse ore.

Fairy non smetteva mai di ridere, ed io cercavo di darle sempre una ragione per continuare. Il suono della sua risata mi faceva tremare il cuore. Era strano davvero tutto questo, per me erano sensazioni, emozioni del tutto sconosciute.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lei, dalla sua bellissima bocca incurvata in un sorriso mozzafiato.

Desideravo baciarla.

Però sapevo quanto sarei sembrato precipitoso.

Mi mordicchiai il labbro trattenendomi nel rubarle il sorriso con un bacio, solo per sentirne il sapore.

Il tocco dell'angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora