L'aria fredda che fende la pelle e sembra attaccarvisi, i cigolii provenienti da ogni angolo,ogni mattonella, ogni ripiano, ma nessuno in particolare. Quel bianco, bianco ovunque. Gli occhi faticano ad abituarsi a tonalità così poco distinte di bianco nella penombra. Ora ho le mani sul pavimento. Sono rannicchiato in fondo al corridoio, accanto alle porte di una non più funzionante ascensore, le gambe mezze piegate davanti a me, quasi stessi tentando di creare col mio corpo una piccola trincea virtuale che potesse schermare tutte le ostilità chela mia mente andava generando. O non era solo la mia mente? I palmi ora aderivano perfettamente alla superficie liscia sotto di essi.Piastrelle bianche, forse costellate di piccole imperfezioni, graffi e scheggiature, nei sottili incavi che le separavano le une dalle altre. Avevo cominciato a muovere convulsamente le dita tra una mattonella e l'altra, andando a tastare con le unghie il cemento chele teneva insieme. I miei occhi erano fissi al buio in mezzo alle mie gambe, dall'altra parte del corridoio, dove la luce non funzionava più. Non avrei potuto immaginare da dove provenissero i rumori. Una delle stanze? La porta che dava sulla tromba delle scale? L'area comune che era ancora parzialmente visibile alla mia sinistra? Ma no,no. No! Cominciai, senza rendermene subito conto, a grattare istintivamente contro le irregolarità del pavimento, quasi mi ci volessi aggrappare per sfuggire all'indefinito pericolo che si celava nella penombra. Così lontano, eppure così vicino. Non c'erano molti posti da cui sarebbe potuto sbucare. Per quanto atleticamente fossi una frana, quel qualcosa avrebbe potuto farsi vivo solo da destra oda sinistra e penso che l'allegra popolazione di adrenalina che abitava il mio corpo mi avrebbe permesso di reagire con velocità. Su questo, nonostante il terrore, non nutrivo troppi dubbi. Ciò che invece i dubbi li alimentava era l'entità del mio misterioso inseguitore, di qualunque cosa si trattasse. Il convulso sfregare delle mie dita contro la superficie piastrellata stava aumentando d'intensità senza che me ne rendessi conto. Il dolore andava progressivamente aumentando e, per quanto mi sforzassi, per quanto fossi conscio del fatto che lasciare che l'ansia mi portasse all'autolesionismo potesse solo peggiorare la mia situazione, non riuscivo a smettere. Il neon accanto a quello che pendeva sulla mia testa cominciò a lampeggiare con un ronzio che lasciava presagire che non mi avrebbe accompagnato ancora per molto in quel terrificante viaggio. Beato lui. Cominciai a combattere contro i miei stessi muscoli pur di tenere le mani ferme, ma non ci riuscivo. Che cazzo avevo che non andava? Era il mio corpo, eppure... Avvertivo una strana sensazione sotto i palmi. La gelida impressione che il pavimento bianco mi lasciava sulle mani fino a qualche istante prima aveva lasciato posto alla viscosità di un liquido denso che mi faceva scivolare i palmi impazziti. Il dolore alle dita era diventato insostenibile. Il terrore e la consapevolezza cominciarono a farsi breccia nel mio cuore straziato e mi costrinsi a volgere lo sguardo allo spettacolo che mi si stava prefigurando nella mente. Abbassai gli occhi sulla mano destra, quella più vicina alle porte dell'ascensore e un urlo mi si spezzò in gola. L'esplosione di rosso quasi illuminava il pallore delle mattonelle circostanti. Le unghie erano completamente scorticate. Due giacevano distanti qualche metro da me e le restanti tre penzolavano dalle dita che continuavano a muoversi convulsamente contro la piatta superficie bianca generando e cancellando archi nel sangue fuoriuscito dagli squarci che nel frattempo si erano aperti sui miei polpastrelli straziati. Per quanto lo volessi, non riuscivo a fermarmi. Continuavo ad infierire su quelle povere dita e il terrore aumentava. Non ero io. Non era la paura. Era qualcosa che si era impossessato di me.
Angolo dell'autore:
L'idea originale era quella di far uscire in singolo episodio tutta la storia di "Reparto Follia", che, in quanto racconto breve, è proprio pensato per essere letto tutto d'un fiato. Pertanto ogni singola parte non è autoconclusiva e si ricollega direttamente alla precedente. Spero che coloro i quali finiranno a leggere la storia del nostro povero protagonista senza nome potranno apprezzare quello che quel misterioso luogo ha da offrire.
L'idea per "Reparto Follia" mi è ronzata in testa sin da quando vidi il bellissimo "The Ward - Il reparto" di John Carpenter ed ha cominciato a prendere forma dopo la lettura de "La psichiatra" di Wulf Dorn. Questo racconto non ha nulla in comune con le due opere appena citate (che vi consiglio caldamente di recuperare), se non l'ambientazione particolarmente interessante per uno sviluppo horror classico.
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Reparto Follia
HorrorTi svegli nel reparto di un ospedale psichiatrico abbandonato. Ti giri, ti rigiri, ti guardi intorno e non sai dove sei o come ci sei finito. La paura ti paralizza. E dopo? Dopo realizzi di essere nel reparto della follia.