Reparto Follia - Parte 3

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Le luci a neon e il loro ronzio erano li, traboccanti chi sa quali schifezze dalle fenditure che il tempo aveva aperto nell'ormai opaco plexiglas. Il pavimento bianco, eccezion fatta per le rare irregolarità, la polvere ammassata da decenni negli angoli ed il sangue che continuava ad uscire copioso dalle voragini che mi si erano aperte sulle mani, non presentava alcun cambiamento evidente. Le porte delle stanze, due sigillate a sinistra e due socchiuse a destra ed appena visibili a causa della debole illuminazione, erano rimaste come la mia memoria le ricordava, con le griglie in ferro arrugginite sulla parte superiore. Ero sicuro che, se avessi avuto il coraggio di alzarmi ed avvicinarmi a quelle grate, vi avrei trovato scritta la storia delle persone che si erano succedute nell'occupazione dell'esiguo spazio delle celle che quelle porte chiudevano. Non oso immaginare i graffi, le ammaccature, l'odore rancido di sangue e carne che vi avrei trovato. No. Era già abbastanza quello che mi stavo trovando a vivere e non avrei sopportato di dover sperimentare la sofferenza d'altri che, seppur sepolta nel passato, era indissolubilmente legata a quel luogo. Anche il buio oltre le stanze era rimasto lo stesso. Cupo, magnetico ed indecifrabile, non faceva che osservarmi e prendersi gioco di me. Nel suo essere ignoto era una certezza persino per me, che di certezze, in quel momento, ne avevo poche. Mossi il testa a destra e a sinistra nel tentativo di individuare ciò che di nuovo avevo inconsciamente percepito, quando il mio sguardo cadde sul carrellino. A metà del corridoio, appena davanti alla porta dell'area comune alla mia sinistra, era comparso uno di quei carrellini che è facile trovare negli studi medici: due ripiani, le rotelle e quello che mi sembrava essere uno stetoscopio penzolante distavano ora qualche metro da me. Eppure, nonostante avessi capito che quella doveva essere stata una clinica in passato, non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che la strumentazione che avevo davanti fosse luccicante come se fosse stata portata li da poco. Come se quella dannata struttura non fosse in disuso da anni. Ma poi l'interrogativo più grande si fece spazio tra le nubi che mi affollavano la mente. Come ci era arrivata? Il fatto che avesse le rotelle mi fece pensare che magari (e, in un certo senso, ci speravo) l'edificio fosse in leggera pendenza e che questo potesse giustificare lo spostamento del carrello. Ma ero interiormente consapevole che quest'eventualità era troppo remota per poter essere reale. L'agitazione cominciò a crescermi gradualmente nel petto. Non riuscivo a respirare e muovevo il busto verso l'alto, appoggiandomi contro il muro, nel vano tentativo di impedire alle braccia di continuare il loro impetuoso movimento di autodistruzione e, forse, di trovare un appiglio, qualcosa che mi permettesse di alzarmi da terra e preparami ad affrontare un pericolo che ero certo stesse per presentarsi. La seconda luce emise un ultimo, flebile ronzio per poi spegnersi, lasciandomi negli occhi i contorni delle ultime immagini che aveva illuminato.

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