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La differenza d'età è una cazzo di bestia. Non potevi uscire, non potevi fare tardi – mica come adesso che a 13 anni fanno mattino. Eri gelosa di tutto, delle mie ex, delle tipe che flirtavano con me per strada, delle mie colleghe, persino dei miei amici che dividevano la casa con me. Ma era quella gelosia fastidiosa, quella che mi tenevi il muso per due giorni e poi scoppiavi a piangere in silenzio, nel mezzo di una serata tranquilla.

Mi facevi incazzare.

E poi c'avevo la compagnia di imbecilli che mi davano il tormento: «Ale, stai con una bambina.»

E tu facevi la bambina, spesso. Avevi tutto il tuo mondo interiore – un universo complicatissimo – che pretendevi capissi per induzione mentre tu borbottavi cose incoerenti.

Ah, principessa, è stata dura.

Ma poi c'erano i momenti sì in cui facevi la voce piccola e mi guardavi con quell'adorazione negli occhi. Raccoglievi i soldi per farmi un regalo, o mi dedicavi una canzone. E a volte ti addormentavi col telefono all'orecchio e io ascoltavo il tuo respiro per un po' prima di mettere giù.

Finalmente, una volta soltanto, hai potuto star fuori tutta la notte. Abbiamo mangiato e siamo andati a ballare. Ti sei sentita "grande" per la prima volta: hai ballato in una discoteca, hai bevuto due cocktail e sembravi già brilla e mentre ti guardavo l'eyeliner che sbavava sui bordi pensavo che tu fossi bellissima.

Mi sarei preso a schiaffi, e avevo dentro la testa la voce dei miei amici che mi prendevano per il culo, ma eri bella, Vale. Eri bella in un modo che non aveva niente a che fare con l'aspetto. Non me ne fregava niente delle menate che ti facevi sul peso, sui brufoli o che ne so; c'erano una serie infinita di difetti che vedevi solo tu, ma per me eri la creatura più bella sulla faccia della terra.

Eravamo seduti su una panchina, era notte fonda e ti avevo dato la mia felpa perché avevi freddo e a te pareva una cosa bellissima. Hai sempre avuto questo genuino stupore per tutte le cose... Mi ci sono voluti anni per capire dipendeva dal fatto che non hai mai avuto niente.

Stavamo in silenzio, abbracciati, quando a un certo punto hai incominciato a piangere.

«Il fatto è che ho paura, Ale.»

«Paura? E di cosa?»

«Ho paura di essere troppo felice. Con te. Cioè, se tu un giorno ti guardassi intorno e capissi che io sono troppo piccola, troppo grassa, troppo lontana da te... Se un giorno ti stufassi di me, se capissi che non mi sopporti più... Cadrei dal cielo, capisci? Cadrei dal paradiso, di colpo.»

Quella notte, Vale, mi hai fatto male e bene.

È stato come se mi avessi dato uno schiaffo morale: cazzo dopo un anno che stavamo insieme tu dubitavi, ancora, di me.

Ma la verità nuda e cruda è che dubitavi di te. Non c'entravo io, non c'entrava l'impegno che mettevo nella nostra storia e probabilmente non c'entrava niente di reale. Tu dubiti sempre di te, vivi nell'idea di non essere abbastanza.

Se non avessi capito questo la nostra storia sarebbe finita quella sera: ero stufo di tutte le menate, dei tuoi silenzi e delle tue pare. Ma per fortuna ho visto la vera te, la bambina terrorizzata di perdermi.

Volevi che ti baciassi più di qualsiasi altra cosa, te lo leggevo in faccia. Sono scoppiato a ridere e ti ho accontentata. Ti ho tenuta stretta davvero, forse per la prima volta.

«Non mi stancherò mai di te.»

Ci credevo sul serio, principessa, era la cosa più vera che avessi mai detto e so che l'hai sentita, che avevo scalfito – finalmente – tutte le tue protezioni.

«Ti amo, Ale.»

Certo che mi amavi. Lo sentivo in ogni singola cosa che facevi o dicevi, nel modo in cui mi guardavi, in cui pendevi dalle mie labbra e cercavi di accontentarmi.

Però c'era sempre il problema del sesso. Cioè, il fatto che il sesso non esistesse.

Io lo capivo, giuro. Avevi diciassette anni, eri vergine, eri complessata, pure. Ma ti giuro che tutto quello che volevo era spogliarti e baciare ogni centimetro del tuo corpo, toccarti fino a farti sciogliere e farti mia, fino in fondo.

Ovviamente non te lo potevo dire.

E gli amici, quei maledetti bastardi, mi perculavano con crudeltà.

«La tua bambina non te la dà?» «Mordi il freno, Ale?» «Sei tornato a fare da solo?»

Ma che ne sapevano, loro, di noi? Della tua delicatezza, del modo in cui arrossivi quando ti toccavo? Dei tuoi occhi languidi e della voce che facevi sotto le mie carezze attraverso i jeans?

'Fanculo, principessa, a me bastava sfiorarti o farmi sfiorare da te.

Ne avevo avute a centinaia di scopate, di ragazze sbavanti ai miei piedi, di amanti focose... Avevo avuto di tutto, ma mai una come te. Una che fremeva sotto le mie mani, che mi guardava, che mi cercava con la bocca e col corpo.

Lo abbiamo fatto per la prima volta la notte del tuo diciottesimo compleanno. Era inverno e io avevo mandato le bestie fuori di casa. Mi ero preparato tutto un bello scenario, ma tu hai preso l'iniziativa mentre guardavamo la TV. Ero sconvolto: non ho dovuto fare niente, sei venuta a me in modo semplice, genuino, vero.

E in quel momento, nonostante tutte le ex, le scopate, nonostante avessi 24 anni, per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare.

Giuro che non lo avevo mai fatto così. Quelle carezze, quella paura di ferirti, di romperti il cuore, oltre che il corpo. È stato bello, e intenso. Per tutto il tempo ti ho guardato negli occhi, come uno sfigato vergine. E quando, dopo, ti sei sdraiata accanto a me, con la coperta arrotolata intorno al corpo, mi sono sentito veramente felice.

Ti sei rannicchiata contro di me e non credo che esista una connessione più forte di quella che avevo con te in quel momento.

«Non mi stancherò mai di te, principessa.»

Era la prima volta che ti chiamavo così e non credevo che potessero uscirmi parole del genere.

«Principessa?»

Ti ho baciato la fronte e ho pensato che ero perso. Niente, non c'era più niente da fare: ero perdutamente innamorato di te.

Sempre stato innamorato di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora