Avevi ventun anni quando abbiamo lasciato la casa con i miei amici e lo sai, principessa? Quei bastardi, quegli stronzi che prima nemmeno ti volevano, quando te ne sei andata hanno pianto come dei ragazzini.
E ce li siamo ritrovati tra le palle ogni week end, ma ci hanno anche aiutato in ogni trasloco. Abbiamo fatte le cene con le loro fidanzate e abbiamo bevuto birra quando la fidanzata diventava ex. È stato bello veder crescere anche loro, costruirsi la loro vita, ma rimanere sempre attaccati a noi – a te.
Tu cominciavi appena a diventare donna quando hai scoperto che non potevi avere figli. Ed è una cosa estremamente ridicola che non mi sia mai inginocchiato per chiederti di sposarmi, ma mi sia inginocchiato dietro la porta del bagno per ascoltarti piangere.
Ti sei chiusa in te stessa più ermeticamente che mai e non mi hai lasciato entrare per giorni, ma se hai imparato a conoscermi sai che non mi sono mai fatto spaventare dai tuoi silenzi. Ti ho lasciato cuocere per un po', poi ho deciso che non potevo perderti in quel mare di lacrime. Ho messo da parte il mio dolore, l'ho metabolizzato come se fosse un lutto e l'ho superato.
Ho comprato una scatola di lindor e un cacciavite e ho scardinato la serratura.
Eri seduta per terra, così rotta come non ti avevo mai vista. Mi sono chinato a raccogliere i pezzi, abbiamo mangiato cioccolato e lacrime, e abbiamo parlato notte e giorno.
«Volevo creare la nostra famiglia, Ale», mi hai detto.
Avevo il cuore spezzato anch'io, ma tu eri l'unica persona che poteva ricomporlo. Ti ho abbracciato e ti ho baciato i capelli, come piace a te.
«Siamo già una famiglia, principessa.»
E ci credevo, Vale. Ci credevo dal profondo del cuore. Ti guardo adesso, dopo trent'anni che stiamo insieme e ci credo ancora. Ti guardo dopo trent'anni e ti vedo ancora bellissima. Mi sorridi nel sonno, dopo trent'anni, e arrossisci quando ti faccio un complimento o un apprezzamento piccante davanti alla gente. Facciamo sesso, ancora, e non ho perso la voglia di te, del tuo sapore. Sei ancora mia come vent'anni fa e lo vedo che per te è lo stesso. Hai lo stesso modo di allora di guardarmi adorante, di sistemare il mio lato del letto e lo so che ti rannicchi per annusare il mio cuscino quando credi che non ti stia guardando.
E, in qualche modo, credo che siamo andati avanti. Ci siamo tatuati entrambi un'ancora sull'anulare, siamo andati ai matrimoni dei nostri amici, abbiamo fatto da padrini a un gran numero di bambini, abbiamo preso un cane che dorme sul letto in mezzo a noi.
Tu hai trovato un buon lavoro e ti sei fatta delle amiche vere e, credimi, sono felice quando vai a fare shopping con loro, quando sorridi a un messaggio o stai al telefono un'ora e un quarto.
Alla veneranda età di quarantatré anni posso dire di essere un uomo felice e realizzato e lo so che lo pensi anche tu. So che sei felice di te, sei felice di noi. Siamo stati bravi, no, principessa? Ne abbiamo passate tante e siamo sempre sopravvissuti senza perderci ed è per questo che non ce l'ho fatta a dirtelo.
Come faccio a dirti che sto morendo, Vale?
Non ti ho detto che pisciavo sangue perché tendi sempre a spaventarti troppo. Ho fatto un paio di visite di nascosto e i risultati erano sempre peggiori, così ho aspettato, e aspettato, e aspettato. Continuavo a rimandare, pensavo che te lo avrei detto poi, dopo, più in là, ma quando ho scoperto che era un tumore era troppo tardi per parlare.
Cosa dovrei dirti? Non c'è un modo giusto per prepararti alla malattia, alle giornate no, al dolore. Non c'è un modo giusto per dirti che mi resta poco, che non è operabile perché è iniziata la metastasi, che me ne andrò e ti lascerò da sola. Non trovo le parole né il coraggio per spezzare l'incanto della nostra storia, della nostra vita.
Che faresti, se sapessi? Lasceresti il lavoro per dedicarti completamente a me? Inizieresti a seguire dei corsi? Mi costringeresti a sentire cento altri pareri?
E, comunque, questo sarebbe il meno. So che smetteresti di guardarmi con desiderio, che non ti metteresti più sopra di me quando lo facciamo, che non mi ruberesti più l'ultima fragola sciroppata. Non sarei più il tuo uomo, ma diventerei il tuo paziente, qualcosa di fragile che avresti paura a toccare. Così io passerei gli ultimi momenti della mia vita senza i tuoi capelli sulla faccia o le cuscinate, senza i morsi dietro il collo o le unghiate sulla schiena.
Sono un egoista, lo sai. Non ce la faccio a distruggere l'immagine che ti sei fatta di me, non ce la faccio a diventare debole e spegnermi piano, pisciandomi addosso senza dignità. Ti amo, Vale, ma ho scelto l'orgoglio, ho scelto di andarmene a modo mio. Se potrai mai perdonarmi, forse un giorno capirai che è proprio una cosa da me.
Conserverò il tuo sorriso nei ricordi fino all'ultimo, principessa. Le risate, l'amore, i tuoi occhi languidi che mi guardano. Porterò con me ogni immagine di te che riuscirò a conservare e sarai sempre e per sempre mia.
Quando leggerai questa lettera io per il mondo sarò il paziente della 1057 di una struttura di Ginevra, morto grazie al suicidio assistito, ma tu saprai la verità: io sono Alessandro e sono sempre stato, dal primo sguardo, innamorato di te.
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