Capitolo 7 - Will

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«Che c'è? Sorridi perché già sapevi che non sarei stata in grado di dirti di no?» mi chiede non appena mi avvicino a lei per aiutarla con i bagagli.
   È vero, sì, sto sorridendo. E sto sorridendo anche ampiamente e ho pure difficoltà a smettere. «In realtà non me l'aspettavo, anzi, ero convinto che non mi avresti aiutato».
    «Beh, allora perché continui a sorridere?»
  Metto tutto nel bagagliaio e mi volto a guardarla. «Perché sapevo che non avresti rinunciato alla dependance...»
    «E alla tua carta di credito», si affretta ad aggiungere.
    «Oh, okay», sgrano gli occhi e scoppio a ridere.
  «Tranquillo. Sto scherzando», mi sgomita su un fianco e mi passa la valigia.
    Chiudo il bagagliaio e ritorno ad essere serio, ma senza smettere di sorridere. «Puoi prenderti tutte le carte di credito che vuoi, ma sono contento di saperti finalmente lontana da questo posto. Ecco perché sorrido. E poi...» le apro la portiera e la invito ad accomodarsi. «Sono contento perché vieni a stare da me», ammetto sincero, ma lei diventa paonazza. Abbassa lo sguardo improvvisamente in imbarazzo e si infila in auto. E anche se non c'è abbastanza luce qui fuori, mi è sembrato di vedere le sue guance arrossire.
    Smetto di ridere all'istante, mentre lei chiude la portiera e rimango da solo fuori dall'auto. Forse non avrei dovuto dirlo? Mi avrà frainteso?
    Mi siedo al posto di guida con il respiro mozzato e, prima di avviare il motore, mi volto verso di lei che se ne sta rigida a guardare davanti a sé. «Perdonami se ti ho turbata...»
    «Oh no, no» si affretta a rispondere, voltandosi per guardarmi. «È tutt'okay».
     «Okay...» la fisso per cercare di capire se davvero è tutt'okay, ma non c'è più traccia di rossore sulle sue guance.
     «I tuoi sono a casa?» mi chiede e cambia discorso.
     «Sono a cena dai tuoi». Il mio cuore salta un battito, perché solo adesso mi rendo conto che a casa siamo completamente soli. E sappiamo entrambi che quando i nostri genitori sono a cena insieme, fanno sempre le ore piccole. «Prendiamo due pizze?» provo a restare calmo, anche se non capisco il motivo di questa agitazione.
      Non è la prima volta che restiamo da soli a casa mia, eppure adesso mi si attanaglia lo stomaco al pensiero.
     «Va bene», concorda con me, spiazzandomi. Pensavo che avrei dovuto implorarla per accettare di mangiare una pizza con me, e invece stasera è più che disponibile ad assecondarmi. Allora proseguo fino a Malibù, percorrendo la costa buia che affaccia sul mare. Ci fermiamo a comprare due pizze California-style formato extra, una con peperoni e salame e l'altra con pomodori e carciofi, e filiamo dritti a casa mia, che ci accoglie silenziosa e buia.
    «Mangiamo prima e dopo pensiamo a tirare fuori le cose dal bagagliaio», mi dice quando fermo l'auto sulla ghiaia, davanti al garage che si trova sul lato destro del giardino.
      Annuisco e ci avviamo all'ingresso, facendole strada nell'entrata ampia e buia. Accendo le luci e il salotto si illumina, pensando che abbia voglia di mangiare qui, sui divani, davanti alla tv. Ma invece lei prosegue, conoscendo bene la casa da cima a fondo.
     «Mangiamo fuori?» mi chiede, ma si è già avviata all'esterno, sul retro della casa, dove c'è la piscina. Si toglie le scarpe e cammina scalza sul gres porcellanato bianco che circonda la piscina fiocamente illuminata. Prende un tavolino e lo trascina sul bordo, per poggiarci sopra le pizze, e poi si arrotola i pantaloni fin sopra le ginocchia. «Dai, vai a prendere da bere», mi ordina e immerge le gambe nell'acqua, che ha tutta l'aria di essere paradisiaca.
    Faccio come dice e corro in cucina. Arraffo varie cose dal frigo: due bibite gassate, una bottiglia di vino rosso, una bottiglia di champagne e tre bottigliette d'acqua. E quando torno in piscina, Skye scoppia a ridere.
     «Va bene anche solo l'acqua, Will».
     «Credevo preferissi anche altro». Poso tutto sul tavolino che lei ha preparato e immergo anche io le mie gambe nell'acqua, dopo essermi tolto le sneakers e aver ripiegato i jeans fino alle ginocchia.
      Il tavolino è posizionato tra di noi, e forse è un bene, perché ancora non sono a mio agio. Insomma, è bello vederla di nuovo qui, ma è come se qualcosa però stonasse in tutto questo ritorno alla normalità.
    «Allora? Vuoi raccontarmi qualcosa?» mi chiede dopo un po', mentre afferra un pezzo di pizza.
    Guardo il suo profilo, illuminato debolmente dalle luci all'interno della piscina. Si è legata i capelli, le lentiggini sono più accentuate, il nasino all'insù mi fa sorridere e le labbra piccole sono tenerissime. Mi coglie sul fatto non appena si gira per capire il motivo del mio silenzio e io distolgo subito lo sguardo. «Cosa vuoi che ti racconti?» deglutisco e prendo un pezzo di pizza per mascherare quest'attimo di disagio.
     «Non lo so. Quello che vuoi. Quello che hai fatto in questi due anni», dice con la bocca piena.
     «Beh, nulla di straordinario. Ho lavorato con mio padre e mio fratello, ho buttato giù qualche idea pubblicitaria e ne ho realizzate altrettante. In alcune ne ho preso parte e in altre sono rimasto dietro le quinte, ma lo sai che...» sospiro. «Il mio posto non è qui».
    «Da quanto manchi al Maisha?»
    «Qualche mese».
    «Pensi di ritornarci?»
    «Sì, tu?» mi volto a guardarla.
    «Certo che ci ritornerei», mi sorride. «Conto di stabilirmi lì prima o poi».
     Già, questo era il nostro secondo sogno in comune: trasferirci al Maisha per tutta la vita. «Anche io», mormoro e il mio tono di voce cela un certo rimpianto.
     «Olivia non ti appoggia?» mi chiede senza guardarmi, puntando lo sguardo sulle sue gambe che si muovono lentamente sott'acqua.
     «No. Non ama la vita selvaggia...»
    Non commenta e preferisce far piombare un pesante e strano silenzio tra di noi.
    «Perché non prenotiamo un volo per la settimana prossima?» azzardo per ripristinare l'atmosfera. Ho capito che parlare di Olivia la mette a disagio. O meglio, la infastidisce.
     «Vuoi partire per l'Africa?» mi guarda confusa.
     «Sì...»
     «Non c'è una cena prematrimoniale tra quindici giorni. L'hai scordato?» mi rimbecca e io sospiro.
     «Wow, vedo che sei informata».
    «Colpa di mia madre che mi tiene aggiornata con continui messaggi».
    Scuoto la testa e riprendo il discorso della partenza. «Comunque possiamo restare al Maisha per... cinque, sette giorni? Che ne dici?»
    «No», non si serve neanche di qualche secondo per rispondere. Il suo no è secco e deciso.
    «Perché?»
    «Perché non è il momento». Si volta a guardare nuovamente la piscina e si capisce chiaramente che non ha voglia di continuare il discorso.
    «E quale sarebbe il momento?» insisto.
    «Non lo so, ma non adesso. Voglio prima risolvere tutte le mie questioni in sospeso qui a Malibù e poi... posso partire col cuore leggero», fa spallucce e un sorriso che sa di nostalgia.
    Mi perdo ancora a fissare il suo profilo e mi maledico per tutte le volte che l'ho guardata in passato e non ho mai visto quanto cazzo è bella.
    Distolgo lo sguardo e deglutisco. «Quali questioni in sospeso?»
     Stavolta ci mette un po' per rispondermi. «Con i miei, con Judy e mio fratello... con te».
   Con me? Il mio cuore salta un battito. «Mi dirai mai cosa ti ho fatto di così brutto?» le chiedo quasi senza fiato e riprendo a fissarla con lo stomaco che si stritola dall'ansia.
   Scuote la testa, ma continua a sorridere tristemente. «Posso dare un'occhiata alla tua camera?» preferisce chiudere completamente il discorso e io digrigno i denti. Mi fa rabbia questo suo chiudersi in sé stessa e rifiutarsi di parlarmi per cercare di risolvere la questione. Voglio sapere cosa diavolo è successo quella sera! Cosa cazzo ho fatto per farla infuriare. Sono disposto a chiederle scusa, a rimediare, a mettermi perfino in ginocchio sulle pietre se servisse a farmi perdonare. E prendo fiato per dirle tutto quello che sto pensando adesso, ma mi esce solo un «Sì, certo». Sono troppo codardo per iniziare una discussione che potrebbe finire male e rischiare di perderla di nuovo ora che finalmente è qui, a casa mia.
     La vedo alzarsi di corsa e correre in casa con i piedi bagnati. Non posso fare a meno di seguirla e... di sorridere. Metto da parte il passato per questa sera e mi godo il suo ritorno, sperando che non cambi repentinamente umore. E me ne frego se si rifiuterà di aiutarmi a scoprire qualcosa su Olivia, l'importante è che è ritornata qui, dove volevo che stesse: nella mia vita!
    Guardo le impronte che ha lasciato sul pavimento e sulle scale che portano alle camere da letto. Ci lascio le mie accanto alle sue e mi fermo a guardarla sulla soglia della porta.
     «Non hai cambiato nulla!» dice stupita.
     «Perché? Cosa avrei dovuto cambiare?»
    Alza le spalle. «Le nostre foto. E magari rimpiazzarle con quelle di Olivia».
     Mi acciglio ed entro nella stanza per avvicinarmi a lei. «E perché mai? Sono i miei ricordi più belli questi». Prendo una cornice dalla grande console che si trova sotto la finestra. Le tende bianche e leggere si muovono sinuosamente per la brezza che passa attraverso le imposte quasi socchiuse, e da fuori entra un leggero bagliore argenteo.
     La mia camera è abbastanza scura, ma parecchio ampia, sui toni blu e oro. L'unica cosa che luccica è il grande lampadario di cristallo al centro della stanza. Se c'è una cosa per cui mia madre va pazza è decisamente quella di arredare le camere da letto di questa casa come eleganti suite di camere d'albergo. Si sbizzarrisce a combinare colori e stili, acquistando pezzi di arredamento esclusivi, particolari e super lussuosi.
     Poso lo sguardo sulla foto che ho preso e accendo l'abat-jour sul comodino. Ci siamo io e Skye in Africa, seduti tra i leoni che abbiamo allevato. Ridiamo felici, ma i miei occhi sono rivolti su di lei, mentre i suoi sono rivolti all'obiettivo.
      «Qui è stata l'ultima volta al Maisha... insieme» mormoro nostalgico e mi rendo conto che quella foto risale a due anni fa, pochi mesi prima che quella fatidica sera ci ha allontanati.
     «Oh, ti ricordi questa?» ma ecco che ribalta nuovamente il discorso, sfuggendo a qualsiasi cosa ci ricolleghi a quel maledetto giorno.
     Poso la cornice che ho tra le mani per guardare quella che ha preso lei. Avevamo cinque anni ed eravamo mascherati da leoni la sera di Halloween. Io stavo piangendo perché lei aveva rubato le caramelle che più mi piacevano dal mio cestino a forma di zucca. «Avevo mangiato tutte le tue caramelle», dice ridendo.
    «Non è stato divertente!» la spintono un po'.
    «Ma tu me la facesti pagare però, ricordi?»
    «Cominciai a sputare su tutto quello che dovevi mangiare», scoppio a ridere.
     «L'hai fatto per tre mesi!» mi ricambia la spinta e poi posa la foto, passando a rassegna tutte le altre.
     Ce ne sono alcune insieme ai nostri genitori, al mare e in barca. Altre da piccoli vestiti a festa per il giorno del nostro compleanno che abbiamo sempre festeggiato insieme... fino a due anni fa. Poi da grandi mentre ci facciamo le boccacce o sorridiamo davanti a qualche monumento in uno dei tanti viaggi fatti con le nostre famiglie. E al Maisha con i nostri animali, non solo i leoni.
     «Non c'è un solo ricordo in cui tu non sia presente» osservo con un sorriso. Tutta la mia vita l'ho condivisa con lei. Ad ogni compleanno, giorno di scuola, festività e viaggi, lei è sempre stata al mio fianco.
      Posa l'ultima cornice e si volta a guardarmi con un sorriso malinconico. «Ma ne hai costruiti di nuovi in questi due anni senza di me, no?»
     La guardo e mi manca il fiato. «Non belli come quelli che abbiamo condiviso io e te».
     Sussulta a queste parole e fa un passo indietro. Apre la bocca per dire qualcosa, ma si zittisce all'istante e si volta per impedirmi di vedere i suoi occhi lucidi.
     Non so perché ora è triste, ma odio vederla così.
     «Po-posso abbracciarti?» chiedo intimorito.
    Raddrizza le spalle e la sento tirare su col naso in maniera appena percettibile. Si volta verso di me e mi regala un sorriso radioso, nonostante la punta rossa del suo naso all'insù e gli occhi umidi. «Hai mai dovuto chiedere il permesso?»
    Non le do il tempo di completare la frase che in un'ampia falcata la raggiungo e la stringo a me.
     Le sue mani stringono il retro della mia maglietta, all'altezza delle scapole, mentre una mia mano si infila nei suoi capelli legati e l'altro braccio le avvolge le spalle. Posa la testa sul mio petto e le bacio una tempia, ripetutamente. E credo stia sentendo quanto forte sta battendo il mio cuore in questo momento, ma prima che riesca a dirle quanto sono felice di vederla qui, lei si scosta.
     «Forse è meglio che vada a riposare adesso. Sono in piedi da più di sedici ore», dice con un sorriso strano. Uno di quei sorrisi fatti per mascherare qualcosa di grave, qualcosa di doloroso. E la fisso mentre le mie labbra fremono ancora per il contatto con la sua pelle e cerco di riprendere fiato. Ma mentre sto per compiere un passo verso di lei e per aprire bocca per dire qualcosa, mi blocco e sudo.
     Ora mi rendo conto di tutto!
    Il suo petto ansante, gli occhi lucidi, il viso arrossato e il disagio che la sta facendo tremare indicano solo una cosa, quella che io avrei dovuto capire tempo fa: Skye prova qualcosa per me. Qualcosa che va oltre l'amicizia.
      E tremo anche io. Lo stomaco mi si contorce. I capelli mi si appiccicano sulla fronte e il cuore sembra volermi fracassare la cassa toracica, perché non è la sola a provare qualcosa. Ma anche io. E l'avevo capito la sera della festa, quando la desideravano più di ogni altra cosa. Solo che ho dato la colpa all'alcol per tutto questo tempo. Mi dicevo che avevo esagerato e che la mia avventatezza l'aveva fatta allontanare... ma mi sbagliavo. L'ho distrutta andando a letto con la sua migliore amica e adesso ha tutto il diritto di avercela con me.
     Non so cosa fare per riparare il danno e qualcosa dentro di me si rompe non appena vedo che abbassa lo sguardo e mi supera per uscire dalla mia camera.
     Resto fermo nonostante la voglia di afferrarle un braccio sia tanta, ma ormai è inutile... perché è troppo tardi.

SAVAGE LIES (storia incompleta) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora