08 - The Moonlight Talk

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Scossi la testa e cercai di ignorare la fastidiosa sensazione che stavo provando. Ormai era come se le farfalle fossero state investite da un tornado, che le spostava tutte violentemente da una parte all’altra del mio stomaco, facendole sbattere contro le pareti.
“Di cosa vuoi parlare?” Chiesi.
Lui emise un verso a metà tra una risata e uno sbuffo, poi mi guardò.
“Non sono abituato ad avere conversazioni del genere. Da… da quando faccio parte della band mi sento sempre a disagio quando parlo con una persona nuova, perché non ho la minima idea di cosa sappia già di me. Tutti leggono ai gossip e credono a quello che scrivono su di me. E’ come se partissi svantaggiato.” Mi confessò. La vulnerabilità che mi mostrò in quel momento mi fece provare una stretta al cuore.
“Hai avuto brutte esperienze?” Domandai. Lui annuì e spostò di nuovo lo sguardo all’orizzonte, come se stesse ricordando qualcosa. “Beh, io posso dirti che di te so che ti chiami Harry Styles, sei del Cheshire, canti in una band chiamata One Direction e… la tua libreria preferita è Foyles al centro commerciale Westfield.” Dissi. “Oh, e so più o meno la tua età. So che siamo vicini con gli anni, ma non so esattamente quanti ne hai.” Aggiunsi dopo qualche secondo.
“Sono del Novantaquattro, ho fatto vent’anni da poco.” Rispose lui.
“Oh, anch’io.” Dissi.
“Quindi adesso so che ti chiami Kimberly Fletcher, hai la mia stessa età, sei di Londra, fai l’assistente personale di Sophia Warden e la tua libreria preferita è Foyles al centro commerciale Westfield.” Replicò lui con un sorriso.
“Visto? Siamo pari.”
“Anzi no, potrei aver sentito che hai una sorella gemella, mentre eravamo a cena.”
“Sì, si chiama Cassandra, ma odia il suo nome completo.” Risposi, pensando a lei e sorridendo. “Tu hai fratelli o sorelle?”
“Una più grande, si chiama Gemma. Siamo molto uniti, spesso viene in tour con noi.” Disse lui. Eravamo entrambi seduti sulla stessa sdraio ed eravamo così vicini che le nostre spalle si toccavano. “Ho anche un fratellastro dalla parte di mio padre. I miei hanno divorziato quando ero un bambino.” Aggiunse.
Annuii in silenzio. Eravamo arrivati alla parte che odiavo di più quando conoscevo qualcuno di nuovo: parlare delle famiglie. Solitamente succedevano due cose quando raccontavo quello che mi era successo. La metà delle persone mi guardava con finta compassione e non sapeva più cosa dire. L’altra metà mi considerava merce danneggiata, perché avevo passato gran parte della mia vita in Case Famiglia e i miei genitori erano persone orribili.
Non parlai per qualche minuto, finché Harry prese coraggio e mi fece una domanda.
“I tuoi genitori sono ancora insieme?”
“No.” Dissi. “Ehm… quelli naturali non sono mai stati insieme. Non proprio. E quelli adottivi hanno divorziato quando avevo diciotto anni.”
Attesi la sua reazione. Mi aspettavo che mi guardasse con un’espressione da cucciolo ferito o da cerbiatto davanti ai fari di un’auto in mezzo alla strada. Invece mi rivolse un mezzo sorriso e appoggiò una mano sulla mia.
“Al giorno d’oggi è difficile trovare una coppia ancora sposata, vero?”
“Quasi impossibile.” Dissi.
“Sembra quasi che l’amore vero non esista più.”
Calò di nuovo il silenzio tra di noi, poi Harry si schiarì la voce e mi guardò negli occhi.
“Immagino che tu e tua sorella ne abbiate passate tante insieme, sono felice di sapere che state entrambe inseguendo i vostri sogni adesso.”
“Grazie.” Dissi. “E’ bello sapere che anche tu stai vivendo il tuo.” Aggiunsi con un sorriso.
Da quel momento fu più facile parlare con lui e la conversazione non si fermò mai. Passammo da un argomento all’altro facilmente e scoprimmo di avere tantissime cose in comune.
Poi il discorso tornò su di me e mi ritrovai a raccontargli la mia storia senza avere paura della sua reazione.
“Non abbiamo mai conosciuto il nostro vero padre, perché se ne è andato ancora prima che Cassie ed io nascessimo. Nostra madre non ci ha mai parlato di lui, anche perché è sempre stata troppo impegnata a bere e a intrattenere tutti i suoi nuovi amici.” Spiegai.
“E’ stata arrestata quando avevamo sei anni, perché si è messa al volante ubriaca e ha investito un passante, uccidendolo. Da quel momento Cassie ed io siamo entrate nel sistema e siamo state spostate in varie Case Famiglia. Non è stato facile, all’inizio, perché nessuna delle due capiva quello che stava succedendo.”
Guardai le lettere illuminate sopra di noi e sospirai.
“Tutti i bambini più piccoli di noi venivano adottati immediatamente e nessuno veniva mai a portarci via. Ogni volta che arrivava qualcuno speravamo che fosse arrivato il nostro momento e invece niente. Siamo state affidate a qualche coppia, ma finivano puntualmente tutti per riportarci alla Casa Famiglia, dicendo che le cose non avevano funzionato.”
Ricordai la prima volta che Cassie ed io eravamo state affidate a una coppia. Era stato terrificante, ma bello allo stesso momento. I signori Jenkins avrebbero potuto diventare la nostra famiglia. Cassie ed io avevamo cercato di comportarci al meglio, ma quando io ero stata sospesa da scuola perché una bambina mi aveva tirato i capelli ed io avevo reagito (l’avevo spinta via) non ne avevano voluto più sapere. Le maestre avevano visto solo il mio spintone e i Jenkins si erano convinti che fossi una bambina violenta.
“Poi abbiamo trovato i Fletcher. Siamo stati affidate a loro quando avevamo quindici anni e le cose hanno funzionato da subito. La nostra madre naturale aveva rinunciato ai suoi diritti dopo pochi mesi in carcere, quindi Cassie ed io eravamo candidate per l’adozione vera e propria.”
“Quindi i Fletcher vi hanno detto che vi avrebbero adottate?” Domandò Harry, che non aveva smesso di ascoltare la mia storia per un solo secondo. Si era mostrato interessato e mi aveva guardata negli occhi per tutto il tempo. E probabilmente stava solo facendo la persona educata e non gliene fregava nulla, ma in quel momento mi aveva fatta sentire a mio agio.
“Sì.” Replicai. “Ce l’hanno detto un pomeriggio. Eravamo appena tornate entrambe da scuola ed io stavo vivendo un periodo un po’ brutto. Abbiamo pranzato tutti insieme – cosa che non succedeva quasi mai durante la settimana, perché entrambi lavoravano – e ci hanno dato la notizia.”
“Deve essere stato un momento fantastico.” Commentò il ragazzo.
Annuii, ricordando quel giorno.
“E’ stato emozionante.” Raccontai. “Ci sono state tante lacrime di gioia, tanti abbracci e poi i Fletcher hanno permesso a Cassie e me di scegliere il colore per dipingere le nostre stanze e ci hanno portate in un negozio di mobili per scegliere qualcosa che ci piacesse davvero. Qualcosa di definitivo.”
Parlare con Harry mi provocava una sensazione strana. Non ero mai stata abituata a raccontare cose così personali della mia vita a qualcuno di sostanzialmente sconosciuto, ma lui mi faceva sentire come se potessimo parlare di tutto. Come se ci conoscessimo da tutta la vita e non ci fossimo incontrati solo la settimana precedente. Mi faceva battere il cuore più forte.
“Fammi indovinare, tu hai scelto il lilla.” Replicò lui. Lo guardai per qualche secondo, sorpresa.
“Come hai fatto a indovinare?” Domandai. Era vero, ma ero sicura di non averlo mai detto in sua presenza.
“Indossavi una maglietta lilla quando ti ho conosciuta e adesso hai il pigiama di quel colore. Ho tirato a indovinare.” Replicò lui.
Giusto, mi ero completamente dimenticata di essere sul tetto di un hotel insieme a Harry Styles e stavo indossando solo un paio di pantaloncini corti, una maglietta e un maglione lungo per proteggermi dall’aria fredda notturna di Los Angeles. Non ero certo vestita in modo adatto.
“Sei un osservatore.”
“Mi piace notare piccoli dettagli.” Replicò lui.
“Dimmi qualcosa di te.” Dissi improvvisamente.
“Cosa vuoi sapere?”
“Qualcosa di personale. Cosa rende Harry… beh, Harry?”
Il ragazzo mi guardò per qualche lungo istante, facendomi provare un brivido lungo la schiena.
“Sono una persona semplice. Mi piace stare con gli amici e il mio ideale di serata perfetta è rimanere a parlare per tutta la notte da qualche parte, magari seduti sotto un portico con una bottiglia di birra. E il fatto è che non sono più abituato a parlare di me stesso, perché alla maggior parte delle persone che frequento ultimamente non interessa un bel niente.” Rispose. “E beh, sono un ragazzo, noi non...”
“Non parlate di sentimenti e cose varie?”
“Ecco, sì.” Concluse lui.
“Allora ti renderò le cose più facili.” Dissi, sedendomi a gambe incrociate. Lui imitò la mia posizione e si sistemò di fronte a me. “Raccontami qualcosa della tua infanzia.”
“Oh, ero terribile da bambino. Amavo fare qualsiasi cosa che facesse sorridere la gente. Cantavo, facevo parte degli spettacoli della scuola e non stavo fermo un attimo. Mia madre è arrivata a chiudermi nello sgabuzzino delle scope pur di farmi stare zitto per un’ora.” Raccontò lui. “Mia sorella mi odiava profondamente. Tutto quello che voleva fare era stare nella sua camera a parlare con le sue amiche ed io non la lasciavo sola un secondo. Continuavo a irrompere nella sua stanza e cominciavo a cantare a squarciagola.”
Sorrisi, cercando di immaginare un piccolo Fossette che saltellava in giro per la casa e rompeva le scatole a tutta la sua famiglia. Chissà come sarebbero stati i nostri figli… Smettila di pensare a questa cazzate, Kim. Smettila.
“Poi, quando avevo sette anni, i miei hanno divorziato.” Continuò. “Ed io non sono mai stato un bambino particolarmente incline al pianto, ma ricordo di essere scoppiato in lacrime quel giorno. Mi sono chiuso in camera e non volevo più uscire, perché non capivo il motivo per cui i miei genitori non avrebbero più vissuto insieme.”
Guardai il suo sorriso incresparsi per pochi secondi, prima di ricomparire più luminoso di prima.
“Avevo un cane, si chiamava Max. E’ stato lui a farmi superare quel brutto periodo.” Concluse.
“Così ti piacciono di più i cani rispetto ai gatti?” Domandai.
“No, in realtà mi piacciono tutti gli animali. Ho avuto cani, gatti, criceti, pesci… insomma, tutto. E mi piacerebbe adottarne uno anche adesso, ma sono sempre in giro con la band e mi sembra crudele prendere un cane o un gatto e lasciarli sempre a casa da soli o affidarli a qualche parente.” Rispose.
“Già.”
“Tu, invece? Che cosa preferisci?”
“Cani.” Dissi con sicurezza. “Anche se non ho mai avuto la possibilità di tenerne. Ma un giorno, quando avrò il mio appartamento, ne avrò uno.”
“Sai già come lo chiamerai?”
“Oh, sì. Voglio una femmina e la chiamerò Zoey.”
“E’ un bel nome. E anche un bel piano. Credi che rimarrai a New York o tornerai a Londra?”
“Penso che tornerò in Inghilterra. Il mio sogno è quello di avere uno studio con sopra il mio appartamento.” Dissi. “Tu, invece, hai trovato una città preferita dopo aver girato tutto il mondo?”
“Londra rimarrà sempre nel mio cuore. E’ dove è iniziato tutto.” Replicò lui. “Ho anche comprato una casa là, ma per il momento la odio.”
“Perché?”
“E’ troppo grande e troppo vuota, non mi piace starci da solo.” Spiegò lui.
Per qualche minuto nessuno dei due disse più nulla, poi lui cominciò a guardare il cielo in lontananza e sorrise.
“A quanto pare abbiamo parlato tutta la notte.” Mi disse, indicando un punto alle mie spalle. Mi voltai e vidi il cielo diventare arancione, segno che il sole stava per sorgere.
“Già.” Replicai. Nessuno dei due dovette dire nulla, io mi voltai verso l’alba e lui mi permise di appoggiare la schiena al suo petto. Poi circondò la mia vita con le braccia e guardammo lo spettacolo insieme.
Era un momento perfetto, uno di quelli che non avrei mai pensato di vivere. Mi sembrava di essere in un film, invece ero proprio lì, sul tetto di quell’albergo in California, abbracciata a un cantante famoso in tutto il mondo. Ma in quel momento eravamo solo Kim e Fossette, non Kim e Harry Styles degli One Direction.
“Non è bellissimo?” Mi domandò il ragazzo dopo un po’, facendomi provare un brivido. Il sole era ormai alto in cielo, che era diventato azzurro e aveva perso le magnifiche tonalità di rosso e arancione di soli pochi minuti prima.
“Magico.” Replicai.
Harry spostò un po’ i miei capelli e appoggiò il viso alla mia spalla, provocando ulteriori brividi in tutto il mio corpo. Perché mi faceva quell’effetto? Non ero più abituata a nulla del genere e non sapevo come comportarmi, come reagire. Dovevo girarmi e baciarlo? Dovevo alzarmi da quella sdraio e scappare il più lontano possibile?
“Ehi, hai freddo?” Mi chiese.
Accidenti, l’aveva notato anche lui.
“No, non… non so cosa mi sia successo.” Risposi con sincerità. Non lo sapevo davvero. Dopo Chad avevo giurato che non avrei mai più permesso a nessun ragazzo di farmi sentire vulnerabile e invece ci ero cascata nuovamente.
Sentii qualcosa vibrare nella tasca del mio maglione e per qualche secondo non capii di cosa si trattasse.
“Kim? Credo che qualcuno stia cercando disperatamente di telefonarti.” Disse Harry, ridendo. “Oppure sei tu che stai vibrando?”
“E’ il telefono!” Esclamai, unendomi alla sua risata. Estrassi l’oggetto dalla tasca e mi si fermò il cuore per un secondo quando lessi il nome di Sophia sul display. “Pronto?” Risposi, facendo segno a Harry di non parlare.
“Kim, sei morta in camera? Sto bussando da dieci minuti, dove sei?” Disse la donna. Guardai velocemente l’orologio e notai che ero in ritardo di un quarto d’ora all’appuntamento con la fotografa. Dovevamo svegliarci presto per preparare tutto per la giornata di lavoro e invece avevo passato la notte a parlare con uno dei suoi clienti. Ero nei guai, lo sapevo.
“Ero sul tetto a prendere una boccata d’aria fresca, scendo subito.” Risposi velocemente, alzandomi dalla sdraio. “Devo andare.” Dissi poi, voltandomi verso Harry. Recuperai la macchina fotografica, chiusi il cavalletto e cercai di non andare in panico.
“Anch’io, in realtà.” Replicò lui, mettendosi in piedi e stiracchiandosi. “Avremo bisogno di molto caffè oggi.” Aggiunse con un sorriso.
Già. Caffè. E avevo bisogno di togliermi quell’espressione ebete dalla faccia.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora