Lo stage con Sophia Warden si stava rivelando più faticoso del previsto. Uscivo di casa la mattina presto e tornavo la sera tardi, stanca per essere stata in piedi tutto il giorno e per aver corso da una parte all’altra della città per fare commissioni per la fotografa. Poi mi davo una rinfrescata veloce, mangiavo qualcosa e andavo a lavorare in un bar non lontano dall’appartamento fino alle prime ore del mattino.
“Candice!” Urlò Sophia quel giorno. Mi guardai intorno, alla ricerca di un’altra ragazza, ma nella stanza eravamo solo noi. “Candice, vuoi un invito scritto? Vieni qui, per favore!” Disse poi la donna, fissandomi negli occhi.
“Sono Kim.” Borbottai a bassa voce prima di raggiungerla. Sophia scosse la testa e sbuffò.
“Dobbiamo parlare.” Continuò lei, aggiustandosi gli occhiali sul naso e appoggiando la macchina fotografica che stava utilizzando per fare degli scatti di prova su una sedia dietro di lei.
Uh-oh. Pensai. ‘Dobbiamo parlare’ non promette mai niente di buono.
“Certo.” Dissi, sperando che non avesse deciso di mandarmi via perché non era soddisfatta.
“Parliamoci chiaro. Tu sei venuta qui per uno stage, per imparare il lavoro, ma io non ho minimamente tempo per occuparmi di te. Non adesso che il mio assistente personale se n’è andato.” La donna cominciò a camminare intorno alla stanza e raggiunse la finestra che dava sulla strada.
No, no, no, no, no. Iniziai a ripetere quella parola nella mia mente come un mantra. Sono qui solo da due settimane, non posso andarmene così.
“Però sei brava, in questi giorni ti sei dimostrata in gamba e voglio darti una possibilità. Credo che impareresti molto di più se tu prendessi il posto del mio assistente personale full time. Ti pagherei, ovviamente. E in questo modo saremmo a posto entrambe: io avrei di nuovo un assistente personale e tu impareresti il lavoro.” Continuò Sophia, rivolgendo lo sguardo verso di me dopo aver osservato il traffico di Manhattan per qualche minuto.
“Lavorare per lei?” Domandai, incredula. Avrei dovuto lasciare il lavoro al bar che avevo di sera, ma ne valeva la pena.
“Sì. E ti assicuro che poi potrai trovare lavoro ovunque, se avrai la mia raccomandazione. Potresti anche aprire un tuo studio fotografico a Londra e ti aiuterei ad avere clienti.” Rispose. “Lo stipendio base è di trentamila dollari.” Concluse.
Trentamila dollari. Trentamila dollari? La mia mente cominciò a lavorare freneticamente. Significava guadagnare duemilacinquecento dollari al mese. Cioè milletrecento in più di quelli che guadagnavo al bar. E avrei lavorato per la mia fotografa preferita, che mi avrebbe insegnato cose molto utili.
“Ci sto.” Dissi immediatamente. Era un’offerta che non avrei potuto farmi scappare per nessun motivo al mondo.
“Ti avviso, Cam: il lavoro da assistente personale non è tutto rose e fiori. Non è semplice come sembra. Dovrai impegnarti e fare tutto quello che ti chiederò senza fare alcuna domanda. Dovrai andare a prendermi il caffè la mattina e dovrai anche gestire i miei appuntamenti, la mia agenda, intrattenere i clienti e assicurarti che la loro esperienza in questo studio sia la migliore della loro vita, portarmi l’attrezzatura e potrei anche chiederti di andare fino al mio appartamento per portare il mio cane a fare una passeggiata.”
Cercai con tutte le mie forze di non strabuzzare gli occhi. Okay, erano tante cose, ma ne valeva la pena. Stavamo parlando di trentamila dollari in un anno. Certo, a Manhattan la vita era cara, ma… trentamila dollari.
“Non ho molte regole. Anzi, in realtà ne ho solo due. La prima è semplice: ascolta sempre quello che ti dico ed esegui gli ordini e andrà tutto bene.” Continuò lei.
“D’accordo.” Dissi. Nulla di troppo difficile.
“E la seconda è questa: non uscire mai con uno dei miei clienti. Conoscerai persone famose, modelli, presentatori, cantanti, attori, artisti. Conoscerai molte persone attraenti, ma non voglio che nessuno in questo studio abbia una brutta reputazione. Quindi sappi che i clienti sono off limits.” Aggiunse.
“Okay, nessun problema.” Replicai. Tanto non ero andata a New York per cominciare a uscire con mille uomini diversi. Ero andata in America per lavorare, per imparare quello che mi piaceva fare. “Sono pronta a fare tutto quello che c’è bisogno di fare, signora Warden.” Aggiunsi.
Sophia mi rivolse un’occhiata scettica e poi annuì.
“D’accordo, vedremo quanto durerai prima di scappare come ha fatto quel codardo del mio ultimo assistente.” Replicò lei, tornando a guardare fuori dalla finestra.
La osservai per qualche secondo. Come poteva essere così forte una donna che sembrava così fragile? La sua figura esile sembrava potersi spezzare da un momento all’altro sotto il peso della macchina fotografica che portava al collo. Aveva i capelli ricci biondo paglia e il naso un po’ adunco. Si vestiva in modo giovanile, indossava perennemente jeans che le fasciavano le gambe snelle e non si truccava molto.
Ce la farò, decisi. Sarò la migliore assistente personale che abbia mai avuto e riuscirò a renderla fiera di me. E a spiegarle che il mio nome è Kim e non Candice o Cam.
Tornando a casa dal lavoro, quella sera, incontrai una coppia di piccioncini sul vagone della metropolitana. Lei aveva i capelli castani raccolti in una treccia laterale e lui indossava una felpa verde neon ed entrambi non avevano più di quindici anni.
“Sai che bello avere il primo appuntamento a San Valentino? E’ una cosa che racconteremo ai nostri figli. Mamma e papà sono usciti insieme per la prima volta alla festa degli innamorati. Era destino!” Disse lui. Lei lo guardò con occhi sognanti e si avvicinò per dargli un bacio sulle labbra.
Resistetti a stento all’istinto di voltarmi dall’altra parte e fare finta di vomitare. Che schifo le coppie innamorate. Poi, contro la mia volontà, il mio pensiero si fermò sul mio primo fidanzato, Alan.
Avevo quattordici anni e frequentavo il primo anno delle scuole superiori. Tutte le mie compagne di classe avevano già avuto esperienze con i ragazzi ed io ero l’unica a non avere ancora dato il primo bacio. Le mie ‘amiche’ non perdevano mai l’occasione per ricordarmelo e per prendermi in giro ed io non le sopportavo più.
Alan aveva quindici anni e frequentava la seconda superiore nella mia stessa scuola. Mi aveva notata durante una gita scolastica a un museo e aveva chiesto a una sua amica – mia compagna di classe – di presentarci. Non era il più bel ragazzo che avessi mai visto, ma poteva andare bene.
Avevo deciso di accettare il suo invito a uscire perché volevo provare le esperienze di cui tutte le mie compagne di classe parlavano. Non significava che ci saremmo sposati, no?
Il nostro primo appuntamento era stato un disastro totale. Mi aveva portata a mangiare in un fast food vicino alla nostra scuola e aveva pagato per entrambi – quella era stato l’unico lato positivo di quel giorno – ma il resto del pomeriggio non era andato affatto bene. Mi aveva portata al parco e ci eravamo seduti su una panchina di fronte al lago artificiale. Il che avrebbe anche potuto essere romantico, ma lui aveva cominciato a parlare ininterrottamente delle sue ex ragazze. Mi aveva spiegato tutto quello che era successo nelle sue storie precedenti e si era premurato di farmi sapere quanta esperienza avesse in quel campo. Ma non erano argomenti da evitare durante il primo appuntamento?
Evidentemente Alan non lo sapeva, e non aveva nemmeno idea che il matrimonio e i figli fossero altre cose da evitare sapientemente. Mi aveva detto che ci vedeva già il giorno del nostro matrimonio e che voleva che avessimo due figli, un maschio e una femmina. Inoltre mi aveva detto che voleva portarmi in un posto speciale a San Valentino (e il nostro primo appuntamento era stato in ottobre) e che non vedeva l’ora che vedessi quello che aveva in mente di preparare per me. Era come se avesse già pianificato tutto. Era terrificante.
Ma io ero una teenager, avevo quattordici anni e una voglia incredibile di fare esperienza e di vedere le mie compagne di classe chiudere il becco una volta per tutte, così avevo ignorato tutto quello che mi aveva detto e avevo deciso di sopportarlo ulteriormente. Anche perché alla fine della giornata, dopo avermi accompagnata a casa, non mi aveva nemmeno dato un bacio. Ed era quello che volevo.
Il giorno dopo il nostro primo appuntamento mi aveva chiesto di uscire durante una lezione e mi aveva baciata contro il muro del corridoio fuori dalla mia classe appena mi aveva vista. Era stato bacio umido e abbastanza disgustoso che non avevo mai dimenticato. Un bacio davanti al bidello, che aveva applaudito e mi aveva fatta sentire davvero in imbarazzo. Chi voleva avere il primo bacio davanti a un quasi-sconosciuto? Non io, di sicuro.
Avevo resistito esattamente due settimane insieme ad Alan. Poi gli avevo detto ‘arrivederci’ e me l’ero filata a gambe levate. Non sopportavo il suo continuo blaterare su quale band fosse davvero rock e quale fosse composta da ‘poser’ e non sopportavo le sue mani addosso qualunque cosa facessimo. Come quella volta che avevamo provato ad andare al cinema. Ero davvero interessata a quel film indie di dubbio gusto – principalmente perché c’era un attore per cui avevo una cotta gigantesca ai tempi (ed era il totale opposto di Alan) – ma non c’era stato verso di guardarne nemmeno un minuto, perché lui aveva cominciato a baciarmi appena si erano spente le luci e aveva smesso solo quando avevo finto di avere un gran mal di testa e avevo voluto tornare a casa prima che finisse il film.
Cassie era rimasta leggermente sconvolta dalla durata della mia prima storia e mi aveva chiesto se non mi fosse dispiaciuto lasciarlo.
“Ma non provi qualcosa per lui?” Mi aveva chiesto.
“Sì, odio profondo.” Avevo risposto e quello aveva messo fine a quella conversazione per sempre.
Non avevo mai provato nulla per Alan, nemmeno una farfalla solitaria nello stomaco. Avevo sempre e solo provato un grande fastidio in sua presenza.
Il giorno successivo, dopo aver comprato una bottiglia di vino scadente e averla bevuta insieme alle mie coinquiline per festeggiare la notizia del mio nuovo impiego, arrivai al lavoro molto presto e comprai un enorme caffè per Sophia, sperando che gradisse. Mi sedetti alla scrivania dove di solito modificava e sceglieva le foto e aspettai che arrivasse. Invece ricevetti un messaggio che diceva:
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The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]
FanficKimberly Fletcher ha vent'anni, viene da Londra ed è una ragazza cinica. Non crede nell'amore e odia le manifestazioni d'affetto pubbliche. Ha una sorella gemella, Cassie, che è il suo totale opposto. Insieme stanno per intraprendere una nuova av...