Guardai Brian negli occhi per qualche secondo. C’era una luce strana nel suo sguardo, qualcosa che non mi piaceva. Ci avevo riflettuto per qualche minuto. Sì, certo, avrei potuto andare a cena con lui una volta e non vederlo mai più, ma perché avrei dovuto? Io non volevo avere niente a che fare con quel pallone gonfiato.
Avrei voluto essere una di quelle persone in grado di perdonare e dimenticare, ma la realtà era che io non ero così. Non lo sarei mai diventata. Non potevo e non volevo perdonare Brian per quello che era successo anni prima.
“Mi dispiace, ma non voglio venire a cena con te.” Dissi.
“Perché no? Hai paura di provare qualcosa per me e di tradire il tuo fidanzato? Se poi ne hai uno, perché magari te lo sei inventata per non fare brutta figura.”
In pochissimi secondi si era trasformato nello stronzo che avevo incontrato in caffetteria.
“Vai al diavolo, Brian.” Mormorai. Poi ricominciai a camminare e mi avviai verso il supermercato per andare a comprare il pranzo.
Non raccontai nulla a Harry, perché non volevo che si arrabbiasse per niente. Brian era uno stronzo. Lo era sempre stato e non c’era nemmeno bisogno di sprecare parole su di lui.
Il pomeriggio successivo sentii Amber chiamare Sophia dalla sua scrivania e, dopo pochi secondi, un boato.
“KIMBERLY!”
Abbandonai immediatamente tutto quello che stavo facendo e raggiunsi la fotografa e la receptionist. Sophia aveva il viso rosso ed era furiosa. Non l’avevo mai vista in quelle condizioni e, francamente, ero un po’ spaventata.
“S-sì?” Risposi. Cercai di rendermi invisibile. Non era una donna particolarmente alta o imponente, ma vederla in quelle condizioni mi terrorizzava.
“Che diavolo hai fatto?” Urlò lei. “Lo vedi quello? LO VEDI?”
Si spostò appena per farmi vedere l’oggetto che l’aveva resa così arrabbiata. Quando mi resi conto di quello che stavo guardando, sbiancai. Lo scatolone con il filmato e il proiettore che avrebbero dovuto arrivare allo studio del suo amico tassativamente entro quella sera. Quello che avevo spedito io. Cos’era andato storto?
Amber, di fianco a Sophia, aveva gli occhi sgranati e sembrava impaurita.
“S-sì.” Ripetei. La mia voce era così bassa che non ero sicura che la donna mi avesse sentita.
“Come diavolo hai potuto sbagliare una cosa così semplice? Hai messo il nostro indirizzo al posto del destinatario e quello dello studio di Alec al posto del mittente! Sai cosa vuol dire questo? SAI COSA VUOL DIRE?”
“C-che ho sbagliato e mi dispiace tantissimo.” Mormorai, abbassando lo sguardo. Come potevo aver fatto un errore così grande?
“Questo vuol dire che Alec non avrà il filmato! Questo vuol dire che la moglie di Alec non avrà il giorno perfetto che si meritava! Questo vuol dire che, per colpa tua, il matrimonio di due miei cari amici è stato rovinato!” Esclamò.
Sentii le guance avvampare e gli occhi cominciarono a bruciarmi. Non potevo piangere in quella situazione. Non dovevo. Avevo fatto un errore e dovevo assumermi la responsabilità.
“Mi dispiace, Sophia.” Dissi. “Mi dispiace tantissimo.”
“Sappi che devi risolvere questo problema. Non mi interessa come farai, ma dovrai risolverlo altrimenti potrai considerarti licenziata.” Replicò la donna a denti stretti.
Cominciai a riflettere. Lo studio di Alec era a Philadelphia. Il giorno prima avevo controllato su Google la distanza e sapevo che in auto ci si mettevano più o meno due ore. Il problema era che io non avevo un’auto e non avrei nemmeno saputo come guidare dall’altra parte della strada.
Sophia si chiuse nel suo studio e mi disse di non disturbarla per nessun motivo e di concentrarmi sul trovare un modo per risolvere quel casino.
“Amber, tu hai una macchina?” Domandai. La ragazza scosse la testa.
“No, tesoro, mi dispiace. Sono nata e cresciuta a Manhattan, ho sempre e solo usato i mezzi pubblici. Non ho mai nemmeno fatto la patente.” Rispose lei.
Mi sedetti su una delle poltroncine nella zona adibita a sala d’attesa e presi la testa tra le mani. Come avrei potuto risolvere quella situazione? Un taxi da New York a Philadelphia mi sarebbe costato tantissimo.
Poi mi tornò in mente Harry, che pochi giorni prima mi aveva detto che aveva intenzione di affittare un’auto. Lui sapeva guidare in America. Recuperai velocemente il mio telefono, uscii dallo studio – non volevo farmi sentire da Amber – e lo chiamai.
“Ehi!” Esclamò lui. “Stavo per mandarti un messaggio.”
“Harry, sono nei guai.” Dissi immediatamente. Non c’era tempo per i convenevoli.
“Che succede?”
“Ho fatto un casino al lavoro e verrò licenziata se non lo risolverò. Tu… tu hai affittato l’auto di cui mi parlavi? Perché dovrei andare a Philadelphia entro questa sera e non so come fare, io…”
“Kim?” Il ragazzo richiamò la mia attenzione. “Amore, calmati.”
Nonostante l’agitazione per il disastro che avevo combinato, non riuscii a non notare che mi aveva appena chiamata amore. Ma non era il momento di perdere la testa per quello.
“Scusa.” Mormorai.
“Sei al lavoro? Vengo a prenderti immediatamente e partiamo.”
“Sì. Grazie, Harry. Mi salvi la vita.”
Fossette mi salvò davvero dal licenziamento. Sophia mi aveva detto che avrei potuto fare tre grandi errori prima di essere lasciata a casa, ma sapevo che rovinare il matrimonio di due suoi cari amici contava come almeno dieci enormi sbagli tutti insieme.
Una volta consegnato lo scatolone con la pellicola e il proiettore chiamai la fotografa per assicurarle che tutto era andato a buon fine.
“Sei stata davvero fortunata e per questa volta non ti licenzio.” Disse lei. “Ma sappi che conterò questo come il tuo primo grande errore anche se hai risolto. Ne hai ancora due e poi sei fuori.” Aggiunse prima di riagganciare.
Mi appoggiai allo schienale della Range Rover nera che aveva affittato Harry e sospirai.
“Cosa ti ha detto?” Mi chiese il ragazzo, spostando una mano dal volante alla mia gamba. La strinse leggermente e poi la riappoggiò sul cambio.
“Che per questa volta non mi licenzia, ma ancora due cazzate del genere e sono fuori.”
Una cazzata, in realtà. Pensai. Stare con Harry era stato il mio vero primo grande errore ed ero sicura che prima o poi Sophia l’avrebbe scoperto. Anzi, forse avrei dovuto confessare io, visto che le cose stavano diventando serie. Magari mi avrebbe permesso di continuare a lavorare con lei se gliel’avessi detto direttamente io. Speravo che potesse apprezzare la mia onestà.
“Per fortuna.” Commentò lui.
“Non hai idea di quanto mi abbia terrorizzata vederla in quel modo. Sembrava che stesse per esploderle il cervello da un momento all’altro.”
Rabbrividii al pensiero di aver fatto arrabbiare una persona così tanto. Tutti sapevano che Sophia era un po’ isterica – la sua reputazione spesso la precedeva – ma non avevo mai pensato di vederla così.
“Posso immaginare.” Disse lui. “Ehi, che ne dici se questa notte rimango da te?” Propose pochi minuti dopo.
Non avevo idea di quanta strada ci fosse ancora per arrivare a New York, ma speravo non molta. La tensione si era sciolta e mi sentivo stanchissima.
“Aspetta che mando un messaggio a Cassie.” Replicai, prendendo il telefono.
“Non ce n’è bisogno. Stanotte starà con Zayn.” Disse. Lo guardai per qualche secondo, in attesa di una spiegazione. “Quando sono uscito per venire a prenderti lei era appena arrivata e l’ho sentito dire agli altri che non sarebbe uscito con loro questa sera, perché voleva stare un po’ con lei.” Aggiunse.
“Oh.” Commentai. Poi sorrisi, perché la mia gemella si stava proprio divertendo con l’amico di Harry. Nessuna delle due aveva mai immaginato che lei potesse apprezzare storie del genere, ma mi aveva detto più volte che non si era mai sentita più viva o felice di quel momento.
A Manhattan era quasi impossibile trovare un parcheggio. Quando finalmente raggiungemmo il palazzo in cui abitavo, io cominciai a scendere dall’auto, mentre Harry andò a cercare un posto in cui lasciarla. Era quasi mezzanotte e non vedevo l’ora di sdraiarmi sul mio letto, perché ero stanchissima.
“Kim, sei tu?” Mi voltai immediatamente e vidi la sagoma di un ragazzo in penombra. Aveva una voce familiare. Era di nuovo Brian. Cosa faceva davanti a casa mia a mezzanotte? Cominciava davvero a spaventarmi.
“Che cosa diavolo fai qui?” Domandai, spaventata. “Come mi hai trovata anche qui?”
Lui si avvicinò e la luce di un lampione colpì il suo viso. Aveva un’espressione strana. Non mi piaceva.
“Da quando ho letto su Facebook che ti sei trasferita a New York non ho smesso di pensare a te per un minuto.” Disse.
“Noi non siamo amici su Facebook.” Replicai cautamente. Mi sarei ricordata di averlo aggiunto. E anzi, avevo visto più volte il suo profilo nella sezione “persone che potresti conoscere” e l’avevo accuratamente evitato, perché non volevo avere nulla a che fare con lui.
“Sì che lo siamo, solo che non lo sai.” Disse. “Sono Barbara Reed.”
Lo fissai per qualche secondo, confusa.
“Ti sei impossessato dell’identità di una nostra vecchia compagna di classe?” Domandai.
“Sì, sapevo che non mi avresti mai aggiunto con il mio nome.”
“Quindi stavo parlando con te quando… sei stato tu a chiedermi perché sarei andata a New York per un anno. Non Barbara. Sapevi già tutto quando ci siamo incontrati in caffetteria.” Dissi. Indietreggiai di qualche passo. “A proposito dell’incontro… Non è stato casuale, vero?”
Lui scosse la testa, avvicinandosi.
“No, hai fatto check-in su Facebook in quel posto. Io ero nei dintorni e sono corso lì per incontrarti di persona. Volevo vederti e volevo parlarti.”
“Stai lontano da me.” Lo avvertii, indietreggiando ulteriormente. Lui si fermò e mi rivolse un’espressione ferita.
“Non ti farei mai del male, Kim.”
Lo ignorai. Non avevo bisogno di aggiungere un altro problema alla mia vita.
“Lasciami stare e sparisci, Brian.”
Inserii la chiave nella serratura del portone del palazzo e il ragazzo mi prese per un polso. Mi diede uno strattone e mi fece voltare verso di lui.
“Ti chiedo solo di ascoltarmi, Kim. Dedicami cinque minuti.”
“Non ho neanche un secondo da perdere per te.” Risposi a denti stretti. “Lasciami il polso, mi stai facendo male.”
Brian allentò leggermente la presa, ma non mi lasciò andare.
“Voglio solo che tu sappia quanto mi dispiace per quello che è successo con Aria. Non avrei mai dovuto chiedere a lei di uscire. Avrei dovuto scegliere te. Avrei dovuto scegliere te.” Mormorò.
Mi guardai intorno, cercando una via d’uscita da quella situazione. Abitavo in una zona abbastanza residenziale e non stava passando nessun pedone in quel momento. Solo qualche automobilista, ma sicuramente non mi avrebbe sentita se avessi cominciato a urlare.
“Lo so.” Dissi. Forse avrei potuto persuaderlo a lasciarmi andare. “Dispiace anche a me, ma ormai è successo, Brian. Non possiamo cambiare il passato.”
“Ma possiamo cambiare il presente!” Esclamò lui, alzando improvvisamente la voce. “Puoi darmi una possibilità e possiamo sistemare tutto!”
La sua presa sul mio polso si strinse. Chiusi gli occhi e deglutii. No, non avevo idea di come scappare da lì.
“Ehi, cosa sta succedendo qui?” Sentii la voce di Harry. Voltai il viso e lo vidi avvicinarsi velocemente.
Grazie, grazie, grazie, grazie.
“Non sono affari tuoi. Sparisci.” Rispose Brian.
“Certo che sono affari miei. Quella è la mia ragazza e ti consiglio di allontanarti immediatamente da lei, prima che io chiami la polizia.” Replicò Fossette.
La stretta al mio polso si allentò e Brian si allontanò di qualche passo. Si avvicinò a Harry e lo osservò per qualche secondo con aria di sfida.
“Questo clown è il tuo ragazzo?” Mi domandò poi.
“Sì.” Risposi.
“Il cantante degli One Direction?” Chiese ancora, questa volta assumendo un tono ironico. “Ma fammi il favore…” Aggiunse.
Harry estrasse il cellulare, digitò ‘911’ sulla tastiera e mostrò lo schermo a Brian.
“Sto per chiamare.” Annunciò.
L’altro ragazzo assunse un’espressione spaventata e indietreggiò.
“Non voglio farti del male, Kim. Voglio solo parlarti.” Disse velocemente.
“Ed io non ho nessuna intenzione di ascoltarti, quindi vattene immediatamente. Non voglio mai più vederti.” Replicai.
Harry mi mise un braccio intorno alle spalle con fare protettivo, il telefono in mano e il numero della polizia pronto, e osservò Brian finché non decise di andarsene.
Quando riuscii ad entrare nell’ingresso del palazzo e a chiudere la porta dietro di me, mi sentii immediatamente più sicura. Tirai un sospiro di sollievo e lasciai che Fossette mi abbracciasse stretta.
“Chi era quello?” Mi chiese mentre eravamo in ascensore.
“Brian.” Dissi con tono piatto. “Un mio ex compagno di classe in Inghilterra. Uno stronzo epico.” Aggiunsi.
Fossette ed io ci sistemammo finalmente a letto e lui ascoltò pazientemente e attentamente tutto quello che gli raccontai, stringendomi ogni tanto per farmi capire che lui era lì e che non mi sarebbe successo nulla.
“Non riesco a capire perché si sta comportando in questo modo.” Dissi. “Anni fa è stato lui a illudermi e a spezzarmi il cuore. È stato lui a scegliere la mia amica al mio posto. È stato lui a non volermi. E adesso cosa pretende da me?” Domandai.
“Non lo so. Ma non ti succederà nulla, perché affronteremo questa cosa insieme.” Sussurrò Harry, accarezzandomi i capelli.
Sospirai e appoggiai la testa al suo petto. Nessuno dei due disse più nulla e cominciai a sentire gli occhi pesanti e la mente meno lucida.
Poi, tutto d’un tratto, un pensiero mi svegliò completamente.
“Harry?” Chiamai. Alzai la testa e lo guardai. Lui aprì leggermente gli occhi. “Harry, e se Brian dicesse in giro che tu hai detto di essere il mio ragazzo? E se qualcuno venisse a sapere che stiamo insieme? Devo dirlo a Sophia prima che lo scopra da sola.”
Fossette aprì completamente gli occhi e mi fissò, preoccupato. Non potevo prevedere quello che avrebbe fatto Brian, ma non mi sembrava una persona affidabile. Aveva finto di essere una mia vecchia compagna di classe per scoprire delle cose su di me, aveva controllato i miei movimenti su Facebook e aveva fatto in modo che ci incontrassimo già tre volte. Se avesse detto a qualche giornale di quella storia, sarei stata completamente fregata.
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The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]
FanficKimberly Fletcher ha vent'anni, viene da Londra ed è una ragazza cinica. Non crede nell'amore e odia le manifestazioni d'affetto pubbliche. Ha una sorella gemella, Cassie, che è il suo totale opposto. Insieme stanno per intraprendere una nuova av...