Prendere un tè con il signore degli Inferi.

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Per i semidei in genere la vita non è semplice. Ma se siete dei figli di Ade diciamo che le cose si complicano un po'.

Sapete no? Mostri che non ti lasciano un momento per respirare, prove da superare, la dislessia, l'iperattività... Bè anche il fatto di irradiare morte al passaggio potrebbe essere un problema, certo. 

Aggiungeteci pure che il cosiddetto semidio sia stato costretto dallo stesso padre a rimanere nell'ombra per anni e avete un scenario perfetto della vita di Rosalie Taylor.

Cioè me.  

Da quando avevo dodici anni, dopo un brutto incidente dove mia madre aveva perso la vita, passavo le giornate ad annoiarmi negli Inferi ed a giocare con Cerbero. 

A volte parlavo con qualche spirito che sembrava simpatico - anche se loro si limitavano a sospirare - o cercavo di andare d'accordo con Persefone, la moglie di Ade.

Nonostante tutto, le giornate rimanevano maledettamente lunghe e vuote. Avevo provato a chiedere al dio di farmi uscire e di visitare il Campo mezzosangue di cui avevo tanto sentito parlare, ma Ade rispondeva sempre allo stesso modo 

– Ah! Il Campo, certo! Non andrai finché non sarai pronta. – e io non potevo evitare di pensare se sarei mai stata pronta. 

Eppure, mi allenavo con dedizione tutti i giorni. Ogni spirito mi aiutava a controllare i miei poteri, alcune creature di mio padre combattevano contro di me, senza uccidersi è chiaro, potenziando i riflessi e la forza. Ma sembrava tutto inutile, per il dio non era mai abbastanza.

Ed ecco il punto a cui volevo arrivare. Ovvero quando la mia vita prese una via inaspettata.

Un giorno, mentre giocavo con Cerbero, udii un gruppo di giovani spiriti che parlavano di uno scontro memorabile svolto nel mondo mortale e di un certo semidio in gamba; o perlomeno è quello che affermavano loro. Continuai ad origliare finché gli spiriti scomparvero sotto le zampe del grande cane a tre teste. Guardai il mio compagno – Tu lo conosci questo, ehm, come hanno detto che si chiama.. Ah sì! Percy Jackson? – Cerbero guaì, quasi fosse malinconico, ma fece segno di no con la testa.

–Ti manca solo la parola, bestione –  risi scrollando le spalle e accantonai Percy Jackson in un angolino della mente.

All'improvviso un suono alle mie spalle mi fece voltare di scatto. Tutto quello che vidi fu una vecchia megera con delle spaventose ali da pipistrello.

Una delle Furie venne verso di noi gracchiando, era Alecto. 

Scrutò il terreno come se fosse alla ricerca di una succulenta preda, purtroppo non era la prima volta che avevo a che fare con una di loro. Sapevo, in un certo senso, di essere protetta dal mio stesso sangue, ma non potevo evitare di avere i brividi sulla pelle ogni volta che incontravo quegli occhietti malefici assetati di carne semidivina. 

Alecto sembrava aver trovato quello che cercava, me

Gracchiò soddisfatta dirigendosi in picchiata verso di noi. Trattenni il respiro mentre gli artigli della Furia si conficcavano nel terreno.  

– Alecto – dissi cercando di sembrare sicura. – Cosa vuoi? – chiesi.

– Ade desidera parlare con te – annunciò la creatura con una smorfia disgustata. Trasalii e spostai lo sguardo verso Cerbero.

Desidera? Pretendeva era più corretto.

– Va bene, arrivo. – dissi congedandola con un gesto secco della mano.

Attesi che la Furia prendesse il volo e si allontanasse il più possibile da noi, metteva i brividi. "Strano per una che parla con i morti" pensai sospirando.  

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