Capitolo 5

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Quando si svegliò la mattina dopo, la prima cosa che Steve percepì fu l'odore di Bucky placidamente addormento a pochi centimetri da lui. Nella notte i lividi erano venuti fuori e la faccia era ormai cosparsa da innumerevoli macchie violacee. L'occhio sinistro poi, era gonfio, così come la mandibola. Eppure tutto quell'orrore non sembrava disturbare Bucky che continuava a dormire tranquillo, con un mezzo sorriso sulle labbra. Steve sorrise, istintivamente felice, malgrado tutto, di saperlo al sicuro dopo gli ultimi mesi passati nell'incertezza.

Si riscosse dopo quei primi attimi di meraviglia: Nat era stata chiara, Bucky aveva bisogno di mangiare per rimettersi in forze. Perciò si sarebbe alzato e avrebbe preparato la colazione per entrambi. Poi lo avrebbe svegliato e avrebbero fatto colazione a letto. Convinto del suo piano, si alzò stando attento a essere il più silenzioso possibile. Si infilò la prima tuta che riuscì a trovare nell'armadio e si diresse in cucina.

Stava cucinando ormai da venti minuti buoni, attento a non fare rumore, quando un grido strozzato gli fece gelare il sangue nelle vene.

"Steve!"

In un istante lasciò ciò che stava facendo e volò in direzione della camera. Bucky era appoggiato allo stipite della porta che si reggeva il fianco sinistro, evidentemente bloccato sul posto da una fitta lancinante che gli impediva di muoversi e gli rendeva difficile anche il solo stare in piedi.

"Bucky. Ma cosa fai? Non lo vedi che non riesci nemmeno a stare in piedi? Vieni appoggiati a me. Forza." Steve gli si parò subito davanti, circondandogli il torace con le proprie braccia per evitare che cadesse. "Su appoggiati a me." Gli ripeté, facendo in modo che Bucky si appoggiasse al suo torace, toccandolo il più delicatamente possibile per evitare di fargli ancora più male.

Bucky non rispondeva, con gli occhi chiusi e il respiro accelerato, stava cercando di tenere a bada il dolore che era esploso partendo da chissà quale della miriade di contusioni che si portava addosso dalla sera precedente. "Su cerca di respirare. Tra un attimo passa. Respira lentamente. Tranquillo, ti tengo io, non cadi." Disse quando si rese conto che Bucky aveva mollato lo stipite della porta e si era aggrappato alle sue braccia. "Bravo così. Sta passando vero?" Continuò quando, parecchi secondi dopo, si rese conto che l'omega era di nuovo in grado di controllare il proprio respiro.

"Ma cosa credevi di fare? Ti hanno pestato solo dodici ore fa. Non sei ancora in grado di alzarti dal letto da solo..." Riprese Steve quando Bucky aprì gli occhi e accennò un mezzo sorriso di assenso.

"Mi sono svegliato e tu non c'eri. Mi è preso il panico. Scusa. Sono un idiota. Ti stavo venendo a cercare." Al dire quelle parole le gote di Bucky si colorarono leggermente di rosa; una grossa novità visto il colorito cadaverico che lo accompagnava da quando Steve lo aveva trovato la sera precedente.

"Ero solo andato a preparare la colazione. Nat ha detto che devi mangiare spesso, e poi ci sono l'antidolorifico e l'antibiotico da prendere. Non puoi prenderli a stomaco vuoto."

"Te l'ho detto, sono un'idiota. Scusami. Davvero."

"Ok, ok. Però la prossima volta che ti devi alzare chiamami. O dovrò iniziare ad utilizzare il mio tono da alpha?" Scherzare su quell'aspetto era diventata già una piccola abitudine che riuscì a strappare una mezza risata anche a Bucky.

"Allora cosa suggerisci, alpha? Come usciamo da questa situazione?" Chiese Bucky indicando con un'occhiata le loro braccia avvinghiate. "Ho quasi paura a muovermi. La fitta di prima mi ha tolto il fiato."

"Mettimi il braccio sinistro intorno al collo e lasciati andare, ti porto io."

"Così mi metti in imbarazzo." Il rosa delle gote di Bucky si fece di una tonalità ancora più accesa.

"Non vedo soluzioni alternative, genio. Questa non mi sembra una buona posizione per fare colazione."

"Ok, ok. Vada anche per questa volta." Rispose Bucky dando il via libera alla manovra che, malgrado le attenzioni di Steve, lo costrinse comunque a strizzare gli occhi e a mordersi le labbra per il dolore. Una volta adagiato di nuovo sul letto, appoggiato ai cuscini che Steve sistemò per farlo stare seduto, Bucky impiegò ancora qualche secondo prima di aprire gli occhi e tirare un respiro di sollievo.

"Forza, adesso mangiamo. Avevo praticamente finito di preparare. Se ti fa piacere, posso venire anche io a fare colazione qui al letto. In fondo sono in ferie..."

"Ma certo che mi fa piacere se vieni a fare colazione qui anche tu." Rispose Bucky in fretta, ricevendo di risposta un luminoso sorriso da parte di Steve, il quale si mosse rapidamente in direzione della cucina.

Nel giro di pochi minuti erano entrambi seduti sul letto, appoggiati ad un'enorme pila di cuscini che Steve aveva tirato fuori dall'armadio, due vassoi da colazione appoggiati sulle gambe, con sopra pancake irrorati da sciroppo d'acero, banane e fragole tagliate a pezzetti e due enormi bicchieri di latte per buttare giù il tutto. Per un attimo Bucky si era fermato a guardare tutto quel ben di Dio, senza avere la forza di dire niente. "Non ti piacciono i pancake?" Aveva chiesto Steve fraintendendo il sorriso triste dell'altro.

"No. Certo che mi piacciono i pancake. È solo che mi è tornata in mente una cosa..."

Steve avrebbe voluto sapere cosa gli fosse tornato in mente, avrebbe voluto sapere di più di quello strano omega indipendente sdraiato lì accanto a lui sul suo letto. Ma non gli avrebbe chiesto niente. Sarebbe stato Bucky a raccontargli tutto quando avesse voluto.
Solo quando avesse voluto e se mai avesse voluto.
"Dai adesso mangiamo." Si affrettò a dire per evitare di metterlo in imbarazzo.

"Giusto." Rispose Bucky iniziando per primo.

Mangiarono in silenzio. In uno di quei silenzi tranquilli che ti puoi permettere solo quando la confidenza che hai con l'altro ti consente di non tirare avanti una conversazione solo per il dovere di farlo. Ogni tanto Steve si voltava verso l'altro, felice di vedere quanto mangiasse con gusto. Se continuava in quel modo, si sarebbe rimesso in forze rapidamente.

Una volta finito, Steve spostò i vassoi a terra e aprì la finestra. "Teniamo aperto dieci minuti, giusto il tempo di cambiare aria alla stanza. Tieni, metti anche questa coperta fino a che non chiudiamo." E dopo aver sistemato la coperta in modo che Bucky non prendesse freddo, si sdraiò di nuovo sul letto guardando fuori la neve che cadeva ancora.

"Grazie." Rispose l'omega con un tono di voce particolarmente basso.

"Ma ti pare. Nessun problema." Si affrettò a rispondere Steve per uscire subito da una conversazione che poteva diventare rapidamente imbarazzante. Ma Bucky non mollò la presa.

"No davvero Steve. Grazie. Di tutto. Ieri sera non ti ho ringraziato abbastanza. E non ho ringraziato nemmeno Natasha a dire il vero. Se tu non fossi passato per caso da quel vicolo adesso... adesso... Ecco io non so cosa sarebbe successo." Lo sguardo di Bucky di nuovo basso, a guardarsi le mani che aveva intrecciate in grembo.

"Non sono passato da quel vicolo per caso, Bucky." Confessò Steve. Le bugie non gli erano mai piaciute e aveva sempre pensato che l'onesta fosse alla base di ogni una buona amicizia. Quindi si fece coraggio e continuò. "Sono sceso dalla macchina e ho sentito il tuo odore nell'aria. Volevo rientrare in casa e far finta di niente. In fondo, sapevi dove abitavo... Se tu fossi voluto tornare, sapevi dove trovarmi... Ma poi ho sentito qualcosa che non andava. Il tuo odore... non era lo stesso della prima volta che ci siamo incontrati. C'era una nota amara nel tuo odore che mi ha fatto pensare che tu fossi nei guai. Allora ho annusato il vento come un cretino e ti ho trovato... Giusto in tempo."
Malgrado Steve avesse cercato di sdrammatizzare per un attimo la situazione, un fremito di rabbia lo attraversò di nuovo quando gli tornò in mente la scena che gli si era parata davanti gli occhi la sera prima. "Fortuna che eri vicino a casa mia e che sono riuscito a percepire il tuo odore." Fu l'unica cosa che riuscì a dire.

Bucky alzò lo sguardo dalle proprie mani e si mise a guardare fuori dalla finestra, facendo ben attenzione a non incrociare lo sguardo di Steve. "Non è stata fortuna."

"Cosa vuoi dire?"

"Voglio dire che non è stata fortuna. Camminavo volutamente per gli isolati vicino a casa tua. L'ho fatto spesso in questi mesi. Di solito a notte fonda, quando eri sicuramente già rientrato in casa. Ma non troppo tardi, in modo che la mattina dopo quando uscivi di casa il mio odore si fosse già dissolto e tu non potessi accorgerti della mia presenza. Non so perché lo facessi... Forse per ricordare quelle poche ore in cui ero stato a casa tua... o forse perché stupidamente l'essere vicino a casa tua mi faceva sentire in qualche modo al sicuro."

Steve deglutì a vuoto due o tre volte. Allora anche Bucky aveva pensato a lui in quei mesi, proprio come lui non era riuscito a togliersi Bucky dalla mente. "Ma ieri sera non era notte fonda, erano passate da poco le 22.00..." Il suo istinto da poliziotto non poté fare a meno di notare quel dettaglio.

Bucky continuò imperterrito a guardare fuori, ma rispose. "Hai ragione. Ieri sera ho violato la regola e mi sono avvicinato a casa tua molto prima del solito." Soppesò per un attimo le parole e poi continuò. "Il fatto è che la settimana passata ero in calore. Mi succede circa ogni tre, quattro mesi e dura quattro, cinque giorni. Fortunatamente me ne rendo conto alcuni giorni prima, così ho modo di trovare un posto isolato e sicuro, lontano da tutti, e di procurarmi acqua e cibo per la sua intera durata. Quando vado in calore non sono in grado di vedere nessuno, tanto meno di andare in giro a cercare viveri. Se poi un alpha mi trovasse... beh... Ti puoi immaginare da solo. Senza pensare che il primo alpha che mi trova sarebbe tranquillamente in grado di stabilire il legame con me. Non avrei alcun modo di oppormi, e questa è l'ultima cosa che voglio. Non voglio essere legato a nessuno, Steve. Per nessuna ragione al mondo. Ho visto cose che non riesco nemmeno a ricordare, figuriamoci ripeterle a voce alta... No, non voglio nessun legame nella mia vita. In qualche modo sono riuscito a cavarmela fino ad ora... Ci riuscirò anche in futuro." Dagli occhi di Bucky, ancora rivolti fuori dalla finestra, rotolò giù una singola lacrima che Steve fece finta di non vedere.

Ma Bucky continuò, come se avesse bisogno di raccontare a qualcuno la sua storia. "Il periodo del calore è difficile da sopportare, soprattutto da soli. C'è come un vuoto che ti scava dentro e che non puoi riempire in nessun modo. Nemmeno se ci provi con tutte le tue forze. Un vuoto talmente grande, da inghiottire tutto. A volte hai la sensazione che possa inghiottire anche te e hai l'impressione di non uscirne vivo, o almeno che non te ne importi."

Se avesse seguito l'istinto, Steve in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarlo e farlo sentire al sicuro. Ma non lo avrebbe fatto. Bucky era troppo indipendente e non voleva legami di nessun tipo. Era stato chiaro su quel punto. E lui avrebbe rispettato le sue scelte. Quindi rimase fermo immobile, stringendo le coperte con le mani, giusto per non lasciarle vuote. Ma alcune cose non quadravano in quel racconto.

"Nat ieri ha detto che non mangiavi da almeno tre giorni. Com'è possibile se ti eri procurato la scorta di cibo necessaria per superare il calore?" Era una domanda da poliziotto, lo sapeva, ma in quel momento era il suo modo per rimanere ancorato alla realtà, per imporsi di stare calmo e permettere alla ragione di avere la meglio sull'istinto.

"Un gruppo di omega mi ha trovato mentre ero in calore e mi hanno portato via tutto il cibo e l'acqua che avevo messo da parte. Devono aver seguito la mia scia... è facile trovarci quando siamo in calore. Nessun rifugio è mai abbastanza sicuro. Gli unici che non riescono a sentire la scia sono i beta... Loro almeno ci lasciano in pace." Rispose Bucky distogliendo lo sguardo da fuori la finestra e guardando finalmente Steve negli occhi. "Quando poi il calore finisce sei stremato. Avresti solo voglia di dormire per giorni... ma avevo fame. E sete. Mi sono fatto forza e sono uscito dal mio nascondiglio. Sono riuscito a trovare un po' di acqua da bere, ma quando quei due alpha hanno iniziato a seguirmi non avevo ancora trovato niente da mangiare."

Steve era rimasto senza parole. Aveva ascoltato quel racconto con il fiato sospeso, stringendo la coperta con tutte le sue forze quando avrebbe solamente voluto abbracciare Bucky con la medesima foga. Era un bisogno fisico che ormai andava ben oltre il semplice fatto che lui era un alpha e Bucky un omega. Steve se ne stata rendendo conto ogni ora più chiaramente. Avrebbe voluto consolare Bucky, dirgli che non sarebbe più successo. Avrebbe voluto dirgli un sacco di cose, ma non sapeva come fare, per il timore che, una volta iniziato a parlare, non sarebbe più stato in grado di arginare i propri sentimenti.

Il suono del campanello spezzò quella strana atmosfera. "Deve essere Nat. Ha detto che sarebbe passata più o meno a quest'ora." Disse chiudendo la finestra e uscendo dalla camera per andare ad aprire alla porta.

Non appena Natasha fu entrata, Steve gli fece un rapido resoconto di cosa fosse successo dalla sera precedente, mettendo in evidenza i dolori che ancora affliggevano Bucky e che lo avevano bloccato a metà del corridoio solo un paio di ore prima.

"È normale Steve. Ti avevo detto che i prossimi giorni sarebbero stati difficili. E ti avevo detto anche riposo assoluto per qualche giorno. Significa fermo a letto, al massimo divano. Adesso lo ripeto anche a lui... Mi sembra che ce ne sia bisogno." Disse Nat mentre si stava già dirigendo verso la camera per controllare le condizioni di Bucky.

Steve rimase in cucina, passando il tempo lavando e mettendo a posto le stoviglie. Stranamente sistemare la cucina era una cosa che lo aveva sempre aiutato a pensare. Una cosa normale, che lo aiutava a rimanere con i piedi per terra quando le cose intorno a lui si facevano troppo strane, ingarbugliate o dolorose.

Natasha fu di ritorno alcuni minuti dopo. "Ottime notizie. Tutto a gonfie vele. Se continuiamo di questo passo, tra qualche giorno sarà in grado di uscire per fare qualche passeggiata. Mi ha raccontato del periodo di calore che ha appena passato. Mi ha detto di averlo raccontato anche a te e adesso capisco perché fosse così debilitato. Considera che questo lo rende ancora più vulnerabile. Ma credo che questa sia una cosa di cui ti eri già reso conto." Nat si era appoggiata al lavello, cercando lo sguardo di Steve che si ostinava a lavare piatti e bicchieri.

Steve annuì in silenzio. Quando poi si rese conto che Natasha continuava a guardarlo fisso con aria interrogativa, si decise a parlare. "Grazie Nat."

Ma quelle due parole non cambiarono di una virgola lo sguardo interrogativo di Natasha. "Tu come stai, Steve?"

Steve sorrise triste. "A dir la verità un po' destabilizzato. Credo di iniziare a provare qualcosa, ma come è possibile? Lo conosco così poco... Vorrei solo abbracciarlo e tenerlo stretto tra le braccia, ma lui ha detto un sacco di cose, che non vuole legami, che vuole essere indipendente... E io non so cosa fare."

"Tu dagli tempo Steve. Non puoi fare altro che dargli tempo. Ha passato l'inferno. È ovvio che non voglia saperne di legami... Sei una persona eccezionale, Steve. Tu cerca solamente di essere te stesso e vedrai che anche Bucky se ne renderà conto. E quando se ne renderà conto si scoprirà innamorato perso."

Steve rise imbarazzato. "La fai sembrare facile tu."

"No Steve, non è facile. Ma sono sicura che andrà tutto per il meglio. Ci scommetto una pizza."

"Oh Nat, una delle tue improponibili pizze con sopra tutto ciò che ti viene in mente?"

"Esatto, proprio una di quelle. Ci voglio quattro formaggi, peperoni, salsiccia, cipolla..."

"OK, ok. Va bene. Ma adesso fermati o mi farai venire la nausea. Abbiamo fatto colazione da poco. Ho ancora il sapore dello sciroppo d'acero in bocca." Rispose Steve ridendo.

"Ecco, così va meglio Capitano. Adesso vado, devo rientrare a lavoro. Ripasso domani. Fate attenzione, anche se si sente meglio è ancora parecchio debole. Deve riposare. Ok?" Poi abbracciando Steve per salutarlo, continuò. "Il cellulare è sempre acceso. Chiama per qualsiasi cosa."

"Grazie ancora Nat."

"Nessun problema Capitano. Lo faccio volentieri. Lo sai... Quando posso far qualcosa per dare una mano..."

"Lo so Nat, lo so. Sei un tesoro. Dai... adesso vai o farai tardi a lavoro."

"Ok Steve. Ci vediamo domani."

"Saluta Clint e dai un bacio a Rebecca da parte mia." Disse infine Steve quando Nat era ormai in ascensore.

Finì di riordinare la cucina e poi si affacciò piano alla porta della camera, sperando che Bucky stesse effettivamente riposando. Quando lo vide sveglio che guardava pensieroso fuori dalla finestra, per un momento pensò di non disturbarlo. Ma l'espressione triste che aveva disegnata sul volto lo convinsero ad entrare. "Ehi." Disse dallo specchio della porta mentre si asciugava le mani con uno strofinaccio che si era portato dietro dalla cucina. "Pensavo tu stessi dormendo."

"No, per adesso non mi va." Rispose voltandosi verso Steve e provando a sorridere, ma senza grande successo. "Stavo pensando." Continuò come per spiegare il suo stato d'animo.

"Cosa c'è che ti preoccupa? Nat ha detto che stai andando bene... Vedo che ha cambiato anche la medicazione sopra l'occhio.'

"Si', ha cambiato anche quella. È un tesoro quella ragazza."

"Puoi dirlo forte. Clint è fortunato. Dovresti vedere la loro bambina..."

"Immagino..."

Poi Steve decise di tornare alla domanda principale. Avrebbe voluto evitare l'argomento. Temeva di sapere dove avrebbe portato quel discorso, ma andava comunque affrontato. "Dai su... dimmi cosa c'è che ti preoccupa." Ripeté.

Bucky lo guardò fisso negli occhi per qualche istante, come a cercare di racimolare il coraggio necessario per parlare, poi disse tra i denti. "Pensavo a dopo."

Tre parole.
Erano solo tre parole, ma a Steve parvero un inferno.

Era da quella mattina che ci pensava e ci pensava, senza avere il coraggio di parlarne. Fino ad allora aveva preferito far finta che il problema non ci fosse, che quella situazione potesse andare in qualche modo avanti all'infinito. Bucky, invece, aveva avuto più coraggio di lui ed era riuscito a parlarne ad alta voce.

Steve sospirò, appoggiò lo strofinaccio su una sedia accanto alla porta e tornò a sedersi sul letto, guardando fuori dalla finestra in modo da non dover guardare Bucky negli occhi. Un'idea gli frullava in testa, trovare il coraggio per tirarla fuori era tutta un'altra cosa. Ma se Bucky aveva avuto il coraggio di tirar fuori il problema, lui poteva trovare il coraggio necessario per fare quella proposta.

"Hai qualche idea su cosa fare?" Non importava specificare di più, Bucky avrebbe capito.

"Nessuna." L'unica risposta che Bucky fu in grado di dare.

Steve chiuse gli occhi e prese fiato. "Non voglio che tu te ne vada."

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E adesso cosa avrebbe dovuto rispondere?
Nemmeno io voglio andarmene?
Perché questa era la fottuta realtà.
Lui non se ne voleva andare.


Perché quelle quattro mura erano diventato quanto di più simile a una casa avesse sperimentato negli ultimi anni. Forse nella sua intera vita. Perché Steve lo faceva sentire al sicuro quanto nessun'altro era mai stato capace.
E poi Steve non lo forzava, gli lasciava i suoi tempi, i suoi spazi. Era presente, sempre pronto a dare una mano, ma senza essere assillante e senza farlo pesare.
Con lui si sentiva al sicuro, ma libero comunque di vivere la sua vita.

No.
Certo che non se ne voleva andare.
Andare avrebbe significato lasciare lì un pezzo di sé, forse la sua parte migliore.
Perché Steve si meritava la parte migliore.

Ma lui era un nodo di problemi, incapace di fidarsi fino in fondo di qualcuno.
Roso dagli incubi, segnato a vita dal suo passato che, a distanza di anni, pesava ancora come una pietra attaccata al collo.

Lui era solo un omega.
Solo un omega.
Per di più un omega che non voleva legami, terrorizzato dall'idea di legarsi a qualcuno.
No. Steve meritava molto di più.

E allora cosa avrebbe dovuto rispondere?
La verità. Si disse.
Solo la verità.

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"Nemmeno io voglio andar via, Steve." Disse voltando lo sguardo e guardandolo negli occhi. "Ma non posso restare. Non posso rimanere qui pensando di essere un peso per te. Non voglio essere oggetto della tua carità. Lo capisci vero? Dimmi che sei in grado di capire..."

"Certo che lo capisco. Bucky. Lo capisco." Rispose con un sorriso luminoso sul volto e gli occhi pieni di speranza. "Ma per adesso, il fatto che tu non voglia andartene mi basta. Sono sicuro che troveremo una soluzione. Non so ancora in che modo faremo, ma troveremo una soluzione. Solo che..."

"Cosa?" Lo incoraggiò Bucky.

"Promettimi che non te ne andrai come l'altra volta. Ti prego..."

Un attimo di silenzio cadde tra loro. Steve stava praticamente trattenendo il fiato in attesa di una risposta da parte dell'altro. Poi Bucky sorrise.

"Ok. Promesso. Non me ne vado. Devo ancora trovare il modo per scusarmi dell'altra volta. È solo che mi prese il panico... Ma stavolta no. Non me ne vado. Ma... Sei sicuro Steve? Non sono un tipo semplice da gestire. Poi te l'ho già detto. Non voglio legarmi a nessuno. Questo deve essere chiaro. Sei comunque sicuro di volermi tra i piedi?"

Un cenno di assenso da parte di Steve fu sufficiente.

"Oh Steve, tu sei matto..."

"Anche tu non mi sembri troppo normale..." Rispose Steve mettendosi a ridere, felice di aver affrontato il problema. Poi, quando la risata si spense, trovò il coraggio di fare l'ultima domanda che gli premeva in fondo alla gola. "Ho capito, nessun legame. Mi sta bene. Ma... posso abbracciarti ogni tanto? Solo con il tuo permesso, è ovvio..." Chiese guardandosi improvvisamente le mani.

"Certo che sei uno strano alpha tu..."

"È solo che non voglio essere invadente.'

"Stavo scherzando, scemo... Certo che mi puoi abbracciare ogni tanto. Dopo ieri sera mi sembrava una cosa assodata... A dir la verità, potresti farlo anche adesso." Disse mentre uno splendido sorriso sbarazzino gli illuminava il volto.

Senza farselo ripetere due volte, Steve si fece più vicino e Bucky semplicemente si spostò appoggiandosi al suo petto invece che ai cuscini.

Rimasero lì in silenzio per molto tempo, godendo semplicemente della vicinanza reciproca, fino a quando lo stomaco di Bucky non iniziò a brontolare riportandoli bruscamente alla realtà.

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