Chapter VI.

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Erano le otto e cinquantasette minuti e il sole splendeva ancora basso sopra il cielo di Berna, irradiando con un tiepido calore la spalla di Harry, dolorante come il resto del suo corpo. Non tentò nemmeno di opporre resistenza e si lasciò scaldare, piacevolmente assopito- avrebbe dovuto ringraziare qualche bicchierino di scotch e Niall, ma sarebbe venuto dopo- iniziando a contare il tempo che mancava all'apertura. Non avevano mai tardato così ma, dopotutto, era la loro prima mostra ufficiale e non era cosa buona aprire troppo presto la chocolaterie, lasciando pochi clienti a spasso nel locale semi vuoto. Come avrebbe detto suo nonno, bisognava aprire le porte almeno mezz'ora dopo l'orario prestabilito, lasciando una piccola fila di curiosi ed esperti in attesa.
 La curiosità dell'ignoto aumentava il piacere dopotutto, no? 
Ecco fatto, pensò Harry, poteva vedere le loro teste dalla finestra accanto i vasi- facile, quando sei più o meno alto un metro e novanta- e tentò di contare il numero di persone messe in fila. Sembravano tante e lui si sentiva nervoso ai limiti dei ridicolo: avrebbe dovuto indossare un maglione casual o sarebbe stato meglio tenere il grembiule, giusto per avere un'aria più credibile e professionale? E se avesse sorriso troppo, inquietando la gente? Magari si sarebbe dovuto limitare a stare in un angolino e cercare di capire le opinioni delle persone in base alle loro espressioni. Per un istante gli passò perfino alla mente il fatto che durante la notte potesse aver acquistato dei poteri sovrannaturali e che se solo avesse toccato qualcuno quello sarebbe morto all'istante. Un po' come capitava al personaggio di Ned The Pie Maker in Pushing Daisies.Scosse la testa e rise fra sé e sé per l'ennesimo pensiero assurdo che era riuscito a formulare. Chissà che avrebbe pensato Niall di lui se solo avesse potuto leggere la sua mente!
Harry incrociò le mani dietro la schiena e iniziò a percorrere il locale a grandi passi, osservando ogni scultura nei minimi dettagli. Avrebbe dovuto presentarle? Aveva lavorato mesi interi per ottenere quei capolavori, cercando informazioni su internet di notte e lavorando con minuscoli coltellini di giorno e il minimo che quella gente potesse fare era domandare il senso di quelle forme. Nessuna di esse era puramente casuale, come i loro riferimenti a persone o cose realmente esistite, che avevano segnato- nel bene o nel male- la sua vita.
Al centro della sala vi era un grande melograno di cioccolato al latte- coi frutti rossi incastrati sapientemente a mo' di chicchi- poggiato su un vassoio bianco e largo, l'opera più bella che Harry avesse mai creato. Ventisette giorni di lavorazione e tante notti in bianco avevano finalmente portato i loro frutti. Il riccio non era stato mica scemo ad assicurare il negozio e tutto il suo contenuto per un valore quasi superiore a 100 mila dollari: lì dentro vi era tra la più pregiata cioccolata svizzera, probabilmente anche mondiale. Litri e litri di cioccolato al latte, scorte industriali di nocciole e migliaia di barattoli pronti per essere riempiti con crema al cacao- un tempo Harry avrebbe dato oro per 'vivere' in posti come quello, ma adesso, abituato com'era all'odore dolce costantemente addosso, al solo pensiero di cioccolata aveva il voltastomaco-.
Osservò l'orologio da polso regalatogli da sua sorella Gemma qualche mese fa- erano le otto e cinquantotto minuti- e scrollò le spalle, percependo la camicia farsi più stretta attorno la zona del petto. 'E' tutto apposto, Niall ha fatto un corso di rianimazione e nel peggiore dei casi verrò salvato da lui' pensò il riccio. Considerato che Niall non era nemmeno lì, era un'idea fantastica. 
Percorse per l'ennesima volta tutta la sala con lo sguardo, e un altro stupido dubbio gli affiorò alla mente: e se il posto fosse stato troppo ordinato? Si ripeté di dover dare un'idea di professionalità e gioventù allo stesso tempo, ma qual era il giusto compromesso? D'accordo, non poteva di certo appendere le mutande del biondo lungo i corrimani, ma non era tanto perfettino da lucidare perfino i pomelli delle porte e si sentì di nuovo sprofondare. Dov'era il suo coraggio in quel momento?
“Buongiorno a tutti e benvenuti, sono felice di vedervi così numerosi” sussurrò torturandosi il labbro. No, non andava bene. Avrebbe dovuto usare il plurale? “Siamo felici di vedervi” sarebbe risultato migliore? Ma lui era l'unico creatore di tutto quell'impero, e dire il contrario non avrebbe avuto senso! Si sarebbe dovuto avvicinare e avrebbe dovuto stringere la mano a tutti? Non aveva visto abbastanza film riguardanti questi eventi- perchè, ehy, i film aiutano come pochi altri nella vita- e si rimaledì per un'ennesima volta, sussultando quando percepì un rumore proveniente dalle sue spalle.
“Come va col panico da mostra?” domandò la voce appartenente a Niall, che era sicuramente uscito dal letto solo pochi minuti fa.
“Sinceramente? Potrebbe andare peggio, sai, potrei, non so, correre per tutta la stanza in mutande e mangiare tutta questa roba? O potrei ululare ai clienti”
“Si, potresti. Dai, Haz, manca poco, goditi questa roba, è la tua prima volta e potrebbe anche essere la più bella!”
“Mh”
“In caso dovesse andare male avrai sempre me qui al tuo fianco”
“Che cosa fantastica” disse il riccio facendo scricchiolare i polsi.
“Sai che non devi fare quella roba, ti si indeboliscono le articolazioni e-”
“E da vecchio tremerò tutto, si si, me l'hai detto molte volte”
“Non afferri il concetto!”
“Manca un minuto”
“Sei pronto?”
“Forse. Ma tu, da dove sei entrato?”
“Abbiamo una porta di servizio, non ricordi?” chiese divertito il biondo, facendo capolino dalla spalla di Harry.
“Dovevi essere qui un'ora fa” sorrise.
“Aia, pensavo che non te ne saresti accorto con tutta quest'ansia. Ho fatto tardi con alcune ragazze ieri”
“E Perrie?”
“L'ho incontrata pochi giorni fa, era con Zayn Malik, quel figo da paura che abita a pochi chilometri da Berna”
“Quello che sembra un modello?”
“Lo è”
“Che invidia”
“Per lui?”
“Per lei, ce l'ha nel letto ogni notte”
“E non solo, ho sentito dire che è uno gigolò”
“Dovrei venire con te una sera di queste, sai, dopo la mostra, giusto per rilassarci un po'” sospirò il riccio passandosi la lingua sulle labbra.
“Ti piacerebbe, Styles, ma non faccio quella strada. Hai una patente, usala!”
“Penso di aver dimenticato come si guida”
Harry unì i palmi delle mani, appiccicando la pelle sudaticcia e facendole fare quel tipico rumore a mo' di schiocco che provoca il sudore da ansia. Aggiustò i capelli, nascondendo i ciuffi ribelli dietro l'orecchio e massaggiando le guance calde.
Ricordava il suo primo giorno di lavoro come se fosse ieri, l'ansia di sbagliare e rovinare tutto, la paura di non essere all'altezza e tutta la pressione che riceveva solo a causa dell'alto nome che portava non lo avevano di certo aiutato a introdursi nel mondo della Chocolaterie Styles. 
Di fatto, aveva collezionato una serie di figuracce che sarebbero potute rientrare nel guinness dei primati: era riuscito a inciampare nelle sue stesse scarpe, cadendo goffamente ai piedi dello chef, dopodicchè aveva confuso il sale con lo zucchero, aggiungendo il sapore sbagliato all'impasto dei biscotti e aveva iniziato a balbettare furiosamente non appena uno degli aiutanti del cuoco gli aveva rivolto la parola sorridendo. Sembrava la fotocopia mora di Chris Evans e, se qualcuno si fosse mai premurato di ricordarglielo, Harry avrebbe semplicemente detto che era impossibile non sciogliersi sotto il suo sguardo.
Fortunatamente, dopo l'inizio non esattamente perfetto, era riuscito a riguadagnare terreno e si era assicurato un posto nella Chocolaterie, acquisendo ogni mese che passava sempre maggiore importanza e fama. E adesso tutti vedevano in lui il bimbo prodigio che anni fa era entrato nel locale con un beanie grigio e una felpa dei Packers: insomma, dopo che raggiungi gli obiettivi sotto gli occhi delle persone, tutti iniziano a vedere il talento in te. Harry pensò che non sarebbe stato così se stesse ancora lavando i piatti in uno dei bar per turisti di Berna.
“Sono le nove” sussurrò Niall così sommessamente che il riccio si domandò perfino se l'avesse sentito veramente.
Poggiò il palmo sulla maniglia, rimandando di qualche istante la tanto attesa apertura. La voleva davvero? La sua consacrazione nel mondo dell'industria dolciaria era ciò per cui valeva la pena fare notti in bianco? Si domandò se l'Harry di 8 anni sarebbe stato orgoglioso di lui, guardandolo dai vetri della sua camera tappezzata di poster dei Take That, col grembiule addosso e tanti soldi in tasca. Dedicare completamente la sua vita al cioccolato significava dire addio a ogni rapporto sociale- non che avesse tanti amici- e vivere una vita da scapolo non abbordabile. Sospirò, pensando di non essere mai stato veramente innamorato, o tanto meno abbordabile nella sua vita. Ci era stato molto vicino, questo era vero, ma l'aiuto di qualche divinità e del buonsenso- si poteva chiamare così?- avevano evitato il peggio. A quest'ora sarebbe dovuto essere su un aereo diretto a Londra, solo andata, niente ripensamenti. 
Louis gli aveva offerto il mondo, ma lui non ne faceva parte; aveva indietreggiato, nascondendosi nell'oscurità e nell'accogliente calma della Chocolaterie. Non conosceva nulla del mondo e temeva qualunque cosa ci fosse oltre quella porta.
Abbassò la maniglia e strinse gli occhi, abbagliato dalla luce del sole di luglio, scostandosi di lato quanto bastava per far entrare le persone. 
Sembravano così eccitate e contente per qualcosa che non avevano mai visto: molti di loro probabilmente si trovavano lì per caso e non avevano nemmeno idea di ciò a cui stavano andando incontro, eppure erano felici.
Harry unì le mani dietro la schiena e stirò la bocca in un sorriso, salutando cortesemente chiunque incrociasse il suo sguardo e si avvicinò a una delle “opere”. Due turiste giapponesi osservavano rapite il pozzo di cioccolata bianca, ritoccata con glassa e miele, e avevano già estratto il portafoglio dalla borsa, quando Harry disse “No, non è in vendita”
“Prego?”
“Non la vendo, non si vende”
“Possiamo offrirle quanto vuole”
“Le assicuro che i soldi sono l'ultima cosa di cui ho bisogno”
“Nessuna di queste opere si vende?”
“No, ognuna ha una storia, un senso, sono come.. delle parti di me, non potrei frantumare la mia anima e poi venderla”
“Possiamo sapere la storia di questo pozzo, allora? Sembri un giovanotto così triste”
Harry scosse la testa, sinceramente divertito, e si schiarì la voce, iniziando a raccontare 
“Beh, diciamo che questo non ha una storia così lunga, è un pozzo dei desideri: è dedicato ai miei genitori, ai miei nonni, hanno trasformato i miei, i loro sogni in realtà. Negli anni ci siamo aiutati gli uni con gli altri e abbiamo un buon rapporto anche se ormai non ci vediamo più così spesso”
La più anziana fra le due donne sorrise e unì le mani facendo un piccolo inchino, sussurrò una parola in giapponese e si diresse verso l'altro lato della sala, seguita dall'amica.
Harry rimase di nuovo solo e ricominciò a osservare gli altri: Niall stava conversando animatamente con un uomo vestito in tuta rossa, che sembrava ridere a ogni sua battuta, la signora giapponese si era chinata su una mela e la osservava da qualunque angolazione possibile e qualche pensatore si fermava a riflettere immerso nelle sculture al cioccolato.
Sembravano tutti in pace con se stessi, nessuno aveva bisogno di chiacchiere inutili in quel luogo e perfino la musica da meditazione che il ragazzo aveva avuto l'idea di mettere sarebbe sembrata di troppo in quell'occasione.
Scrollò le spalle e si avvicinò a una ragazza dal caschetto biondo che osservava un cavallo riccamente decorato in un angolo della sala, con la testa piegata da un lato e le cuffie nelle orecchie.
“So che il cavallo simboleggia moltissime cose, nel tuo caso, cos'è?” chiese tutto d'un tratto “Sai, non ho potuto fare a meno di ascoltare la conversazione con la signora e mi hai fatto venire curiosità.
Harry sorrise, spiazzato “Nella Bibbia, come tu ben sai, i cavalli simboleggiano l'intelligenza e presagiscono il pericolo, rappresentano anche la forza, no? Nella storia abbiamo avuto moltissime figure di cavalli famosi: Buccefalo, il Cavallo Bianco di Napoleone, anche Channing Tatum”- i ragazzi scoppiarono a ridere, portandosi la mano davanti la bocca e sogghignando silenziosamente-”Direi che possiamo anche intenderlo così! Poi abbiamo il cavallo più famoso di tutti, quello di Troia. Il cavallo di Troia, secondo quanto ci ha tramandato Omero, nascose gli Achei dai Troiani e causò la rovina della città, con il famoso incendio. Questa scultura è dedicata al primo amore, alla persona che ci ha fatto conoscere la passione e mi è sembrato adeguato rappresentare questo capitolo della vita con la virilità di un cavallo”
La bionda inclinò di nuovo la testa da un lato, visibilmente colpita, fece una smorfia e disse “Wow, hai davvero pensato a tutto tu. Se io non fossi lesbica e fidanzata, e tu così perdutamente innamorato, ti bacerei”
“Io innamorato?”
“I tuoi occhi si illuminavano alla menzione di 'primo amore' e anche adesso che l'ho ridetto, hai pensato subito a lei, vero?” 
“Beccato! Sei brava, ma è un lui”
“C'ero quasi! Beh, vado a vedere il resto, se avrò bisogno di spiegazioni ti farò un fischio, d'accordo?”
Harry salutò la strana tipa e s'incamminò verso il centro della sala, osservando l'enorme melograno che dominava la scena e lasciava gli spettatori stupiti.
Incrociò le braccia, inspirando profondamente quei profumi mescolati: il cioccolato, la meringa, le scie delle fragranze di Marc Jacobs e Dior e il suo sapone al pino silvestre. No ok, era al cocco. Però pino silvestre fa più mascolino.
Ripensò a Louis e alle ultime cose che si erano detti prima che il ragazzo scappasse come un codardo dopo tutto ciò che avevano passato. D'accordo, la loro non era stata una storia d'amore perfetta, ma se solo Louis avesse potuto aspettare e capire la situazione di Harry. Non gli aveva chiesto la luna, non gli aveva chiesto assolutamente nulla a dire il vero, eppure ero riuscito a farlo scappare. Una botta e via. Era così la vita a Londra, con lui?
Harry non era tanto sicuro di volerla; preferiva la sua cruda realtà alle altre scintillanti bugie.
Sentì un tocco leggero alla spalla e sussultò leggermente, cercando di ricomporsi subito e ascoltare la domanda dell'interessato. Aggiustò la targhetta 'Maitre Chocolatier”, luccicante al contatto con quella luce, giusto per darsi un tono.
“Da quanto ho capito tutto ha un significato in questa sala, no? Mi chiedevo se anche questo melograno sia la metafora di qualcosa, o l'abbia creato solo per bellezza”
“Entrambi, credo. E' bellissimo, ma ho passato settimane in bianco per cercare il giusto frutto e i relativi significati, quindi, si, posso orgogliosamente dire che anch'esso ha una storia”
“Le andrebbe di raccontarla?”
Harry deglutì: c'era stato un piccolo cambio di programma e non aveva ancora preparato  il discorso e la spiegazione, ma tentò di districarsi fra i vocaboli adatti e abbozzò una spiegazione.
“Beh il melograno, al contrario della mela o di atri frutti, per esempio, è sempre stato un frutto poco elogiato dall'arte, ma io credo che il suo significato sia molto affascinante. Questo frutto per la sua particolarità, nel tempo ha assunto molti significati. Nella simbologia ebraica è simbolo di onestà e correttezza, dato che il suo frutto conterrebbe 613 semi, come le 613 prescrizioni scritte nella Torah , osservando le quali si ha certezza di tenere un comportamento saggio ed equo. Nell’antica Grecia, però, la pianta era sacra a Giunone, sposa di Giove e a Venere. La tradizione narra che il suo succo sia il sangue del dio Dioniso e proprio in suo onore, la dea dell’amore Afrodite lo piantò sulla terra. Suona tanto romantico, no? Si credeva che la melagrana rendesse inscindibile l’unione matrimoniale, infatti, secondo il mito di Proserpina, figlia di Cerere e Zeus, fu legata per l’eternità a Plutone, suo rapitore, per averne mangiato dei chicchi. Un po' come il peccato originale, il mito che più di tutti ha ispirato l'arte classica e contemporanea, un tocco e sei legato per sempre a una persona. Che tu lo voglia o no”
Harry non riusciva a vedere il volto dell'uomo che gli aveva posto la domanda, ma dal silenzio capiva che stava riflettendo e aspettava il momento giusto per dire qualcosa.
“Lei, quindi, si sente legato a una persona in un modo particolare?”
“Quasi malato?”
“Forse?”
“Ed è ricambiato?”
Il riccio non capì perchè continuava a rispondere, poteva benissimo mandare al diavolo quel tipo troppo curioso, ma continuò a soddisfare le sue curiosità con un tono gentile e colloquiale.
“Non penso”
“Gliel'ha mai chiesto?”
Esitò.
“Non parliamo molto”
“Dovreste”
“Lei cosa ne sa, mi permetta?”
“Ne so più di quanto lei immagina, signor Styles”
Harry si girò lentamente e sgranò impercettibilmente gli occhi: se era shoccato, non lo voleva dare a vedere. Ed era abbastanza shoccato.
“Che ci fai tu qui?”
“Bel modo di salutare un tuo amico, non mi vedi da due settimane”
“Tu non sei mio amico” pronunciò il riccio ad alta voce, scandendo lentamente ogni parola, come se riuscisse a mandare coltellate invisibili.
“Oh”
“Louis”
Il ragazzo indietreggiò, grattandosi il mento. Gli zigomi alti e il volto magro erano coperti da un sottile strato di barbetta e i suoi occhi azzurri sembravano più vispi e grandi rispetto all'ultima volta in cui l'aveva visto, aveva perso qualche kg, ma sembrava ancora più bello rispetto a prima.
“Louis” ripetè.
Di tutte le cose che poteva aspettarsi quella mattina, quel ragazzo era l'ultima.
“Harry”
“Non dovresti essere sull'aereo?”
“Potrei averlo perso, accidentalmente”
Il riccio sbuffò divertito, incrociando le braccia e osservando l'altro negli occhi.
“Perchè sei qui?”
“Ero nei paraggi e sentivo un buon profumo di cioccolato e-”
“Ripeto la domanda: perchè sei qui?”
“Oh. Mi manchi. Senza te sto malissimo. Dormo poco. Non mangio quasi nulla. Mi sento vuoto. Sono vuoto. Mi chiedevo quando saresti tornato. Ma non saresti tornato, e sono venuto io”
“Louis”
“Smettila di ripetere il mio nome, ti prego. Harry, ho prenotato un altro aereo per le dodici e mezza, fra un po' dovrei essere lì, penso di dover andare”
“Resta” mormorò il riccio, stringendo la sua mano attorno al polso dell'inglese “Mi manchi e vaffanculo, non ho avuto abbastanza coraggio per venire da te, non sapevo nemmeno dove alloggiavi!”
“Tu sei la mia Proserpina, Harry. Sei il mio Sole, la mia Luna”
“Vuoi essere il mio Plutone?”
“Cristo sì, qui, oggi, domani, dopodomani, sempre. Mi dispiace per il comportamento, sono stato un codardo e non merito nulla di tutto ciò”
“Lou, non ti dare la colpa”
“Ricominciamo insieme”
“Dove?”
“A Londra, a Berna, ovunque”
“E come?”
“Posso essere il tuo Maitre stavolta, signor Styles?”
Harry sorrise e stampò un bacio sulle labbra di Louis, l'avrebbe seguito fino in capo al mondo, al diavolo.

 

Maitre Chocolatier || l.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora