Venustas

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Lo specchio d'acqua ai piedi della sorgente era limpido, cristallino. Minuscoli pesci iridescenti guizzavano veloci, increspando appena la superficie dove si riflettevano betulle dalle foglie tremule. Piccoli giacinti di un azzurro cupo punteggiavano il sottobosco e diffondevano nell'aria il loro profumo dolce e inebriante, mentre il canto di numerosi uccelli sovrastava lo zampillio della sorgente, mescolandosi alle nostre risate.

Lasciammo le vesti a riva e ci immergemmo gioiose nella nostra innocente nudità. Una frescura ristoratrice ci avvolse ed iniziammo a giocare lanciandoci spruzzi e nuotando fino a sfiorare i pesci che si avvicinavano curiosi.

Il tempo trascorse veloce e ormai il sole stava per tramontare: una alla volta le mie dolci compagne uscirono dall'acqua, si rimisero le tuniche candide e si incamminarono verso il villaggio.

Io restai lì, in quell'angolo di paradiso, sorda ai loro richiami. Pian piano le loro voci svanirono nel bosco e mi godetti finalmente tutta quella carezzevole solitudine.

Prima che arrivasse il buio mi avviai verso la riva... un lieve movimento, un riflesso perlaceo e un impercettibile sospiro attrassero la mia attenzione.

Mi voltai riparandomi con la veste, pensando ad un cacciatore di passaggio e, invece, ecco sorgere dall'acqua una donna bellissima: pareva una dea! La sua pelle color del marmo candido era levigata e splendente, le sue forme generose e morbide... Mosse il capo attorno con lentezza, come in attesa. Il suo sguardo vagava lontano, senza posarsi su di me che la osservavo stupita e un poco intimidita.

Si coprì appena con una stola di lino e con movenze eleganti scomparve silenziosa tra gli alberi.

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La mia interpretazione della "Venere" di Antonio Canova

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