Prologo

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Sentii bussare. Una, due, tre volte.
Ero indecisa se aprire o meno, non sapevo se ero veramente pronta.
La sagoma di una donna si intravedeva oltre il vecchio portone in legno, ormai logorato dal tempo.
Continuai a guardare nella sua direzione e dopo alcuni minuti di attesa, vista la sua propensione a non andarsene, presi tutto il coraggio che avevo in corpo e mi decisi a farla entrare.
Avevo paura.
Mi ritrovai davanti a me, quella che si poteva definire perfezione.
A parte i segni indelebili del tempo che passa inevitabilmente su tutti, era rimasta uguale, se non migliorata ancora.
Era alta, parecchio alta e gli stivali col tacco la alzavano ancora di più. Era morbida senza essere grassa, con tutte le curve al punto giusto, evidenziate da un abitino aderente per niente volgare. I capelli ramati le ricadevano dolcemente sulle spalle per poi continuare sul dietro fino a metà schiena, ribelli come da sempre.
I suoi lineamenti erano la parte più bella di lei, gli occhi erano verde smeraldo, allungati e brillanti di come se ne vedono pochi, il naso piccolo, incorniciato da centinaia di lentiggini che la facevano sembrare ancora una bambina, e le labbra carnose, sempre piegate in un sorriso un po' sghembo, tra il provocatorio e il divertito.
Io ero una nullità a confronto.
Le feci cenno di entrare.
Mi diressi verso la cucina e mi appoggiai davanti ai fornelli, dopo pochi secondi arrivò anche lei. Il suo sguardo, impregnato di ricordi, si muoveva rapidamente da una parte all'altra della stanza, in cerca di una distrazione dalla agitazione. L'aria era elettrica.
Stemmo alcuni minuti così, in cerca di noi, così vicine ma così lontane.
-Caffè?- presi coraggio.
-Si, con lo zucchero.
Presi la moka e inizia a dosare acqua e caffè, poi, misi tutto sul fuoco. Nessuna delle due aveva il coraggio di parlare; era uno di quei momenti in cui si sarebbe potuto aggiustare tutto con un semplice sguardo oppure sarebbe potuta iniziare la terza guerra mondiale.
Servii tutto in due costose tazzine in porcellana, avanzo materiale di un amore finito.
Saltammo i convenevoli di chi non si vede un da po', per esempio "che fai nella vita?", "come va con i figli?" e passammo a ciò che veramente ci interessava.
-Mi dispiace, io... Non avrei voluto che accadesse...
-Lo immagino.-dissi con un tono acido inaspettato
-Avrei voluto sistemare le cose prima ma non mi sembrava mai il momento...
-Forse avresti dovuto pensare prima di agire, per non ritrovarti a chiedermi scusa oggi.
-Pensavo di fare la cosa giusta.
-Oh, tu credi sempre di fare la cosa giusta; trovami una volta in cui hai ammesso i tuoi errori. È sempre colpa di quello, di quell'altro, non è mai colpa tua.
I suoi occhi supplicavano di smetterla, a guardarla sembrava che le avessero riaperto una vecchia ferita e la stessero facendo sanguinare senza aiutarla.
Capii solo in quel momento il sentimento che provavo verso di lei. Odio. Odio puro. Odio nel suo stato più primordiale e reale. Ormai era rimasto solo quello e nulla avrebbe potuto cambiarlo.
-Credo che non ci sia niente da fare- dissi decisa dopo la mia constatazione interiore.
-Ma stai scherzando? Torno qui dopo anni, in cerca di riappacificarmi con te e tu, tutto quello che mi sai dire, è che non c'é niente da fare?! Ma mi prendi per il culo? Credi che non ci sia stata male in tutto questo tempo? Credi che io la notte abbia dormito tranquillamente oppure che non abbia mai avuto bisogno di un psicologo? Chi sei per avere il diritto di pensare questo?
Ecco, ora mi piaceva, era così che me la ricordavo. Dura e lottatrice.Una guerriera.
-Non puoi sapere quanto ho sofferto io.
-È stato facile scappare, eh? Andarsene? Non ti immagini quanto è stata dura restare, invece.
Il bicchiere che avevo in mano, mi scivolò e si infranse a terra. Schegge mischiate a caffè. Questo era troppo.
-Vai via.
Prese la borsa dal tavolo e se la mise su una spalla, si alzò e si strinse nel cappotto primaverile. Per un'attimo che parve eterno mi guardò con tutto l'odio del mondo, poi a passo svelto, senza perdere la grazia uscì rapidamente da casa mia.
Guardai il calendario. Solo in quel momento mi resi conto della data.
6 Aprile.

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