Il mio lavoro da infermiera mi insegnò a non affezionarmi troppo alle persone. All'interno di un ospedale ci sono continue vite che vanno e vengono, chi in condizioni gravi chi meno, ma se sei lì dentro significa che non stai bene.
Simpatizzavo con i pazienti, ma non chiedevo mai troppo delle loro vite private. Preferivo mantenere una certa superficialità.
Non avevo scelto io il mio percorso di studi, era stata mia mamma con la sua smania di decidere tutto, ad aver programmato la mia vita. Lei inizialmente, aveva deciso, in base ai suoi sogni infranti, che avrei fatto il medico, poi fui io ad attutire un po' la cosa convincendola a permettermi di poter fare scienze infermieristiche. Non che nei miei sogni volessi fare veramente quello, ma era sempre meglio che passare la vita a curare i soliti tre vecchietti ipocondriaci.
Non ricordo bene quando inizia a permetterle di poter vivere al posto mio, so solo che non mi basterebbero tre vite per correggere l'errore di averle concesso due vite e nessuna a me.
Nello spogliato del reparto cambiai i miei abiti da mercato con la divisa da infermiera, mi legai i capelli biondi sciupati e poi mi soffermai a guardarmi nello specchio.
Non era rimasto nulla della mia bellezza di gioventù. Una gravidanza era bastata a privarmi del mio fisico perfetto. I capelli biondi era spenti e sfibrati, come in quelle pubblicità che si vedono ragazze con la chioma evidentemente sciupata soltanto che quella, per merito di un qualche shampoo miracoloso, riacquista lucentezza e morbidezza dopo un lavaggio.
Gli occhi erano spenti. Di ghiaccio mi dicevano. Che ti gelano di odio. Ora nemmeno più quello. Non so se le persone mi abbiano mai capita veramente, non so neanche se io abbia mai capito le persone.
Anche la pelle ambrata aveva perso il suo fascino, sembrava solo l'involucro dell'anima. Ma io non sentivo nemmeno quella.
Avevo trent'anni, come potevo già essermi ridotta così? Cosa mi aveva fatto il tempo?
E così attaccai a piangere dal nulla, mi lasciai scivolare a terra e lì detti sfogo a tutta l'agonia che avevo dentro. Ero un subbuglio di emozioni interiori. Odio. Rabbia. Disperazione. Voglia di cambiare ma mancanza di forza per farcela.
Poi feci quello che facevo già da un po' di tempo. Mi rialzai, mi sciacquai il viso, mi asciugai e poi con un enorme respiro, uno di quello che riempie polmoni, naso, gola, anche il cuore, uscii dalla stanza e andai a vivere.
Camminai per il lungo corridoio di Terapia Intensiva, fino a raggiungere il bancone degli infermieri.
-Di chi è questa cartella clinica?
-Della 14. È arrivata ieri pomeriggio. Incidente stradale, probabilmente ha perso il controllo della macchina. Ha parecchie fratture, non è messa bene e una costola le ha perforato il polmone sinistro. Per ora è in coma, i medici non sanno quando si sveglierà. È attaccata al respiratore.
Guardai attentamente i fogli e vidi quello che, a parte tutto, non avrei mai voluto vedere. Così il sangue mi si gelò nelle vene, le gambe iniziarono a tremare e mi mancò un battito.
-Gliela porto io la flebo, ok?
-Come vuoi.
Abbandonai la collega e poi la vidi. Era tutto monitorato, dal battito perfetto e continuo del cuore, al respiro regolato secondo la freddezza delle macchine.
Nessuno era venuta a trovarla perché aveva addosso il pigiama dell'ospedale. L'ago era già inserito e fu facile attaccare la flebo. Mi fermai accanto a lei, mi misi a sedere sul letto e la osservai. Sembrava una bambina mentre dormiva. Iniziai ad accarezzarle viso e capelli.
Ma cosa ci stava succedendo? Perché l'equilibrio si era rotto?

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Polaroid
Novela Juvenil"Non c'è percorso giusto, non c'è rapporto sano Ma i ricordi e le esperienze ci rendono ciò che siamo Ricordi impressi in un istante come una Polaroid A volte sembra tutto distante ma è stato scritto per noi Come una Polaroid, come una Polaroid..." ...