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Truman Shade

Arianna

𝙍𝙤𝙢𝙖, 𝙇𝙖𝙯𝙞𝙤
𝘪𝘯𝘷𝘦𝘳𝘯𝘰, 2009

Nel silenzio totale di quella stanza, si sentivano solo i suoi mugolii. La sua pelle emanava un calore innaturale, questo era un altro fattore che amavo di lui, era sempre caldo. Da quando lo conobbi la prima volta poche volte era freddo, all'interno del mio cuore avevo solo il ghiaccio e, con il suo calore era l'unico che riusciva a scalfire le mie emozioni.

Lentamente aprì gli occhi, «ma ben svegliato» sorrisi, anche se sapevo che mi avrebbe aspettato una bella ramanzina.

Dopo che si riprese dal sonno si alzò a sedere appoggiando la schiena allo schienale del letto. «Perché?» Mi chiese semplicemente «il perché di cosa, non capisco» domandai stranita. «Perché l'hai fatto, perché vuoi farti del male quando sai che ci sono io e sai che puoi sfogarti con me» domandò triste, io non volevo che dubitasse di se stesso «tu non capiresti...» gli feci una carezza sul viso «è più forte di me, l'ho fatto senza pensarci due volte. Volevo sentirmi viva per una volta, non che con te io non mi senta così, anzi». Mi soffermai un attimo, «con te mi sento benissimo, rido di gusto, non ho bisogno di fingere, con te so che non devo fingere, non ci riesco e, poi mi sgameresti subito, mi conosci troppo bene».

«Io con quella lì non ce la faccio più, non la sopporto più. Mi incolpa di tutto, pure se c'è un filo di vento, io...io voglio porre fine a tutto, sono un essere inutile, su una terra inutile che porta solo del male alle persone che la popolano. Ti prego, fa finire tutto, voglio solo morire. Così non soffrirai tu, non soffrirò io e non soffrirà mamma. Nella sua vita porto solo disgrazie».

Nella stanza calò il silenzio, «bimba, ti ripeto se vuoi prenditela con me, sfogati, qualsiasi cosa. Ma non farti male, ho la costante paura di perderti, ogni sera rimango lì sul mio letto a fissare la parete e a ripensare ad ogni singolo momento che ci accomuna, a volte ci piango su. E si, lo ammetto. Piango perché non voglio perderti, sono anni che ci conosciamo, sei parte integrante di me. Se dovessi perderti avrei perso il mio cuore, ti ricordi? Come disse mamma quella sera: "sei tu il mio cuore"» fece un sospiro profondo «"potrei mai vivere senza il mio cuore? "» Intravidi una lacrima scappare via dai suoi occhi e solcare lo zigomo.

Con lentezza mi avvicinai a lui e lo abbracciai, rimanemmo uno accanto all'altra abbracciati per più di mezz'ora. Passai la mano sulla sua schiena per fargli sentire maggiormente la mia presenza. «Will...» gli afferrai il volto tra le mani. «Ricordati che sei forte, non piangere per me, non ne vale la pena. Non ne valgo la pena delle tue lacrime, sono troppo preziose per sprecarle per una come me. Tanto sappiamo entrambi che un giorno la farò finita, ma per ora...» venni interrotta dal suo indice sulle mie labbra.

«Non dirlo...» disse tra le lacrime «ti prego, ci soffro già abbastanza, so che lo farai e che nessuno potrà impedirtelo, ma non ricordarmelo».

«E non è vero che più più forti non piangono» disse soltanto, poi incastrò nuovamente il suo viso tra il mio collo e la spalla, mi lasciò qualche bacio su di esso e poi si addormentò di nuovo, sapevo quanto per lui fosse stremante e stressante stare dietro a una come me, sapevo quanto però per lui fosse importante starmi vicino.

Quel giorno rimase a dormire da me

Ci addormentammo nuovamente l'uno abbracciato all'altra, era la nostra posizione preferita per la notte, l'uno senza dell'altro era come se i polmoni non funzionassero, come se il cuore non pompasse abbastanza sangue da mandare in circolo per l'intero corpo. Stavamo male, ci sentivamo in apnea.

Dalla portafinestra penetravano dei caldi raggi di sole che battevano sulla sua pelle ambrata.
Iniziò a rigirarsi nel letto più volte, lasciando dei teneri lamenti di disprezzo verso quei raggi che infastidivano la sua vista.

«Ma posso mai iniziare la mia giornata con questa luce fissa negli occhi, non ci vedo niente» disse tra uno sbadiglio e l'altro. Feci una piccola conca con la mano e gliela posizionai al lato degli occhi in modo tale che riuscisse a vedere, un minimo.

«Ma è possibile che ti svegli già lamentandoti? Sei una cosa impossibile» gli sorrisi con sguardo dolce, «sai che ti voglio bene» continuai lasciandogli un bacio sulla guancia e continuando a fargli ombra con la mano.

«Ovvio che mi sveglio lamentandomi, con questa finestra ogni volta rimango accecato e puntualmente mi lamento». Con la mano libera, sorreggendomi sui gomiti, iniziai a fargli qualche carezza sul volto.

Subito dopo, lo trovai girato verso di me e io tra le sue braccia. Amavo farmi coccolare da lui, mi sentivo veramente bene, veramente a casa; «come mai tutto questo affetto stamattina?» Mi chiese dubbioso ma allo stesso tempo contento, «ehi, apprezza. Non sono mai così affettuosa di prima mattina» risposi raggiante come non mai, con lui vicino cambiavo totalmente umore.

Ad un certo punto calò il silenzio, il quale interruppi. «Mi ricordo da piccola quando, disegnavo mia madre e mio padre, una casa, un albero e un cane.
Ma mio padre non parla a mia madre, ti ricordi a scuola? C'erano due gruppi e, poi c'eravamo noi. Mi hanno dato così tanti soprannomi che a stento ricordo il mio, gli piaceva ridere di me, di te, ridevamo pure noi. Non vedevamo il mondo da un oblò, ma dall'oblio, dicono che gli ignoranti li devi ignorare, che smettono domani, ma domani è sempre uguale. Quando non venivi a scuola, ne ho prese così tante da non riuscire più a respirare e, io piangevo, piangevo così tanto da cancellare il mio volto». Mi fermai un attimo dato che le lacrime mi impedivano di continuare.

«Anche quando non c'era nessuno vicino a me, mi sentivo di troppo, se resti buono, resti solo e, alla fine sono diventata quella che alla fine l'inverno se lo porta dentro».

«Adesso rido, però gli unici che asciugano le mie lacrime siete tu e il cuscino, me ne andrò prima di affondare. Se guardo l'orizzonte, non è il cielo ma il fondale» gli dissi in fine.

«Ari, alzati e guarda avanti» mi portò davanti allo specchio della mia camera, indossavo solo una sua felpa e sotto più nulla, lui si posizionò dietro di me appoggiando le mani sui miei fianchi larghi. «Devi piacere a te stessa, mica agli altri» fosse facile.
«Non puoi volare se non salti» lo guardai incuriosita.

«Se non ti dai forza non potrai mai piacerti, è tutta una questione della tua mente, devi darti degli impulsi, degli stimoli e poi reagire».

«Dietro quella porta, o qui, c'è chi è pronto ad abbracciarti e a confortarti in ogni momento».


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𝖴𝗇 𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝗈 𝗇𝖾𝗋𝗈 ; 𝗡𝗮𝘆𝘁 (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora