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0 •𝙉𝙞𝙩𝙧𝙤

𝙍𝙤𝙢𝙖, 𝙇𝙖𝙯𝙞𝙤
𝘈𝘶𝘵𝘶𝘯𝘯𝘰, 2011

Dopo quell'attimo di imbarazzo e pressione, afferrò la mia mano libera tra le sue e voltò nuovamente il viso verso il vuoto infinito, oltre la finestra. Tornammo ancora una volta nel silenzio più totale di quella stanza, riuscivamo a sentire chiaramente i nostri respiri, i battiti cardiaci, ogni minimo fremito, anche se indesiderato. Ma il rumore dei macchinari in quella stanza ci faceva ricordare costantemente dove fossimo, di profilo il suo volto era ancora più singolare: labbra rosee e carnose, il naso non del tutto perfetto ma particolare, le ciglia che inquadravano perfettamente il suo sguardo misterioso color caffè, con qualche striatura nocciola. La forma dell'occhio ricorda molto quello di una tigre - non per questo lo chiamavo tigrotto -.

Mi si spezzava seriamente il cuore e, poi il fatto che si sentisse un eterno secondo mi faceva maggiormente male, ho sempre fatto di tutto per non farlo sentire così, ma purtroppo era una cosa che gli si era fissata in testa. Sin da piccolino si era sentito solo e secondo nelle scelte di tutti, ma mai nelle mie, mai nelle scelte di sua madre.

A interrompere il silenzio fu nuovamente lui.
«Per te cos'è la libertà? Intendo quella vera, non libertà sociale o di linguaggio, per me la libertà è repressione» mi disse, ma onestamente non sapevo che risposta dargli. «Non saprei che dirti, la vera libertà sta nel pensare, non essere uguale agli altri. Non seguire la massa, la libertà è come la pioggia: scende leggera dal cielo, dopo tutto il circolo che compie e poi magari con qualche tiro di vento, le gocce vanno a sbattere contro le finestre e si rincorrono. Ecco, quello è quello che non dobbiamo mai fare, copiare, essere uguali, quella è la vera libertà».

«Cosa ti ha detto lo psichiatra oggi?» Chiesi interessata, visto che non ebbi avuto modo per chiederglielo - dato che il giorno prima ebbe avuto un appuntamento con lui -, «le solite cose, ha detto che non devo fumare molto, ha detto che sto migliorando con gli attacchi d'ansia e sto migliorando a gestire la rabbia. Ma io non ce la faccio...» si fermò un attimo per pensare «con quelli li, a scuola, che continuano a picchiarmi non ci riesco ad andare avanti normalmente.»

«Ti prego, non dire queste cose. Sai che queste cose mi fanno male sentirle, ho smesso con quelle cose per te. Non so come potrei reagire se tu mi lasciassi, non sopporterei la tua assenza, ti prego non pensarlo minimamente». Gli presi la mano e la strinsi forte per quanto mi fu possibile. «Bimba, non ti lascerei mai. Sai come sono, se mi affeziono non mi stacco più, ma seriamente non so più come andare avanti» disse ricambiando la stretta alla mano, «la mia vita è come un treno, non sappiamo se arriveremo a destinazione». Disse con sguardo afflitto.

«Supereremo tutto insieme, come abbiamo sempre fatto. Non abbatterti ti prego, non dovrei ma io dipendo da te, dal tuo umore. Se tu sei felice lo sono anche io, se sei triste lo sono anche io, non sopporterei un tuo crollo emotivo».

«Quando hai un cuore sei stanco, le persone sono false. Io non so più come comportarmi, questa è una vita di comparse. Evito di dire grazie, evito le persone solo per non diventare ancora pazzo. Fumo solamente quando qui le cose mie non vanno. Tu vuoi fare come me» -chiede retorico, sapendo che non lo farei mai - «fino a diventare matto, io non voglio stare fatto solo che devo stare fatto». Passai la giornata lì con lui in ospedale, non dicemmo quasi nulla, ma continuavamo a scambiarci sguardi, in fondo con lui abbiamo quasi sempre comunicato con gli sguardi.

«Parlerò di te, per un milione di volte» gli sussurrai un attimo prima che chiudesse gli occhi.


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𝖴𝗇 𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝗈 𝗇𝖾𝗋𝗈 ; 𝗡𝗮𝘆𝘁 (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora