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Che vuol dire soffrire• Nayt

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Che vuol dire soffrire• Nayt

Arianna

𝙍𝙤𝙢𝙖, 𝙇𝙖𝙯𝙞𝙤
primavera, 2010

Erano un paio di giorni che lo vedevo triste, non aveva più quel luccichino negli occhi, non c'era più brillantezza nel suo sorriso. Non c'era niente di niente, lo vedevo più triste del solito, ancora di più dai suoi canoni, mi si stringeva il cuore a quella vista. Gli volevo troppo bene per lasciarlo nell'autodistruzione, forse sapevo anche perché stava così, o forse no. L'unico modo per saperlo era quello di parlare.

Era seduto sul mio letto, così con calma mi avvicinai a lui, non volevo mettergli ansia o fretta.
«Ehi...» mi sedetti sul letto, alla sua destra e gli posai una mano sulla spalla.

«Ehi...» mi rispose solamente, giuro che mi faceva male vederlo così, di solito a modo suo sapeva sprigionare felicità. «Will, posso chiederti una cosa?» Gli dissi con voce leggermente tremante, «si, dimmi» disse lui con occhi spenti. «Non ce la faccio più a vederti così...così triste, più del solito ecco, mi puoi dire perché, non voglio metterti ansia o fretta, ma non voglio nemmeno obbligarti, me ne parli solo se te la senti. Io credo di aver capito, ma voglio sentire la tua versione» gli dissi timorosa.

«Ecco, si beh... dei problemi di fondo ci sono. È per mio padre, non che mi manchi eh, però quel vuoto lo senti, la paura che possa tornare e farci del male, non l'ho mai visto in faccia, so a stento la sua voce, doveva essere lui a insegnarmi i valori e le tradizioni di famiglia, ma cosa può insegnarmi una persona che lascia la propria amata dopo averla messa incinta a 19 anni? Non chiedo nulla di così eclatante, ma soltanto di non dover soffrire così tanto» disse con gli occhi leggermente velati dalle lacrime. 

«Scusami se mi intrometto, so quanto per te sia difficile questo argomento» dissi, appoggiando la mia testa sulla sua spalla, «potresti scriverci su alcune barre, frasi o delle definizioni. Non dico che dovresti scriverci un intero testo, ma almeno buttare giù dei pensieri» dissi.

«Si forse dovrei farlo, mi passeresti un foglio di carta e una penna, per favore?» Dopo avergli passato il necessario lo vidi concentrato nella scrittura, ogni suo lineamento era contratto, ogni tanto mi facevo scappare un'occhiata sul foglio, erano tutte frasi sentite, erano tutte frasi tratte dal profondo del suo cuore, dalle parti più profonde e represse, aveva tanti sentimenti repressi. 

"Sapete 15 anni fa ho rinnegato un marmocchio
che mi pregava di chiamarmi papà in ginocchio
con la coda dell'occhio l'ho guardato e me so detto
con avrebbe diritto di chiamarmi per un appoggio"

Lo vidi scrivere in terza persona, come se a scrivere fosse qualcun altro, persino il padre.

"Sapete mantene' un cosetto oltre agli altri tre                                       
non mi dava molti soldi per n'altra terza moglie a me                       
e cosa avrei dovuto fare se non andare a tempo con un'altra vita mentre lui stava a soffrire                                                                                                             mi dispiaceva troppo lasciarlo da solo era un bambino"

Una lacrima scalfì il mio volto, erano davvero forti quelle parole.

"Così lo andai a trovare un giorno era così carino
poi me ne andai a malincuore
da quel piccolo amore
gli avrei insegnato cos'è l'onore
gli avrei insegnato cos'era un uomo
rialzarsi da suolo gli avrei fatto vedere
che non sarebbe stato solo"

Tutto iniziava a diventare sempre più chiaro.

"Mi dispiace papà non ti volevo sfigurare
ma tanto papà, chi cazzo ti si può inculare?
mi spiace papà, volevo farti capire
che tanto c'ho il dolore e che vuol dire soffrire"

Ora iniziava il suo punto di vista, un confronto tra i vari se.

"Quindici anni fa gattonavo per terra
chiesi aiuto a papà, ma si rivelò una merda, gli chiesi
"papà, papà, ma io sono tuo figlio?"
e lui rispose "no sei soltanto un grossissimo sbaglio"
mi feci solo un regalo, una schifosissima collana
fanculo te, i tre figli tua e la tua terza puttana
non me faccio un cazzo di te, che sei scappato
vai a fatte fotté che tanto non ti ho mai voluto"

Non c'era risentimento in quello che scriveva.

"Non sei un uomo
ma morirai come un uomo solo"

Un po' vedevo la disperazione nel suo sguardo, mentre dall'altra parte vedevo l'odio che gli riservava: nessuno con una mente sana avrebbe mai abbandonato un bambino, nessuno con una mente sana avrebbe abbandonato lui. Era un ragazzo dolce anche se non lo dimostrava, era particolare, unico.

Era sempre in cerca di affetto, non lo dimostrava ma voleva che gli si dimostrasse di volergli bene e, io gliene volevo, anche tanto. Glielo dimostravo tutti i giorni, era difficile anche per me dimostrare affetto, forse si era stancato del mio affetto e l'aveva trovato in lei al primo colpo, o forse no. Forse l'aveva abbagliato con la sua falsa tenerezza.

Non capirò mai perché la gente sia così malvagia, così perfida, molte persone sono delle vipere: pericolose dentro e fuori, sono una specie di reincarnazione di Crudelia De Mon.


◊ -'opera protetta da copyright '- ◊

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𝖴𝗇 𝗀𝗂𝗈𝗋𝗇𝗈 𝗇𝖾𝗋𝗈 ; 𝗡𝗮𝘆𝘁 (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora