Una vita complicata

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Ci sono momenti in cui pensi di mollare tutto.

Ti chiedi se quello che stai facendo in qualche modo sia corretto, giusto, abbia un reale significato.

Ti chiedi se il motivo per il quale ti trovi in un determinato posto, a una determinata ora, possa essere condizionato da tutta una serie di eventi che passano imperterriti nella tua mente, senza avere la minima consapevolezza che quello sarà solo un piccolo assaggio di ciò che avverrà più avanti.

Mi sono sempre chiesta, negli anni in cui lavoravo come ispettrice, se la linea della finzione potesse in qualche modo combaciare con quella della realtà.

Tutti noi ci mascheriamo, tutti noi, chi più e chi meno, abbiamo lo strano piacere perverso di nasconderci, di crearci una finta maschera addosso, di fingere di essere un'altra persona.

Una persona, diversa da te, in tutto.

Una persona, che forse può salvarti la vita.

E Lisbona me la cambiò.

Madrid - 2019

L'ispettrice Alicia Sierra si pettinava i lunghi e ramati capelli rossi, guardandosi nel grande specchio del suo bagno.

I suoi grandi e immensi occhi verdi con qualche traccia di pagliuzze castane la scrutavano attentamente, osservando i minimi dettagli del suo viso.

Il suo volto era lo specchio di come si sentiva dentro.

Distrutta.

Aveva profonde occhiaie rigate da quelche ruga, e le guance scavate, rendendola ancora più pallida di quanto già non lo fosse.

Alicia Sierra era una donna particolare.

Ispettrice e a tempo pieno amante di coccole da parte del suo bellissimo ma pigro gatto, poteva benissimo catalogarsi in quelli che gli psichiatri chiamerebbero "gli assassini sociopatici."

Per carità, lei non era un'assassina.

Ma aveva quella linea sottile di follia che la accomunava alla loro branca.

La stessa mente, lucida e calcolatrice, poteva benissimo paragonarsi al criminale peggiore della storia.

Perché lei aveva un'intelligenza fuori dal comune. Con un solo semplice e rapido pensiero, poteva benissimo risolvere il caso più importante che la sua squadra stava lavorando da mesi.

Per questo, Tamayo la chiamò.

La grande macchina nera parcheggiò proprio di fronte l'ingresso della centrale di polizia.

Alicia spense il motore, si aggiustò brevemente la frangia spettinata, si guardò di sfuggita allo specchietto per controllare che fosse tutto apposto, e si decise a scendere dalla macchina.

I suoi alti tacchi neri di velluto, modello Louis Vuitton, picchiavano l'asfalto bollente di Madrid.

Si frugò la tasca in cerca di una Chupa Chups, e quando la trovò la scartò velocemente, per poi infilarsela in bocca e buttare l'involucro per terra.

Alicia non era la classica donna che prestava attenzione all'ambiente o a riciclare.

Pensava fossero tutto un mucchio di stronzate.

Tanto, il mondo era una merda comunque.

Si aggiustò il cappello blu posato sulla testa ed entrò nella centrale, affollata da centinaia di persone indaffarate.

Si fece largo fra la folla e arrivò fino al bancone, dove c'era un poliziotto che parlava al cellulare.

<<si... lo so Fernando. Lo so.>> il poliziotto alzò brevemente gli occhi al cielo, non accorgendosi della figura di fronte a lui.

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