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Chiunque abbia detto che l’adolescenza è il periodo più bello della vita, si meriterebbe una sedia. Scaraventata con violenza.
Sui denti.
Sul serio.
Chi è stato il genio che non si è accorto di come l’adolescenza sia l’equivalente esponenziale –esponenziale, sì, perché mica la vogliamo far durare due minuti- di una porta sbattuta sui denti? E non una, ma molteplici volte.
Chiunque fosse, in un certo senso un po’ è da compatire: pensateci bene; se l’ha detto, evidentemente per lui il periodo più bello dev’essere stata davvero l’adolescenza. Immaginatevi il resto della sua vita cosa non dev’essere stato.
Perché essere adolescenti significa essere perennemente sbagliati, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e con persone ancora più sbagliate. E se per caso, un giorno, tutte queste eventualità non si verificassero nello stesso istante, state pur certi che pioverà; e no, non avrete l’ombrello nello zaino. Sì, anche se è Ferragosto.

O almeno, era così che si sentiva Blaine, mentre si trascinava per il corridoio semideserto di un liceo pubblico, impaziente di andare a casa e nascondersi tra i cuscini del divano, possibilmente con un chilo di cioccolata fra le mani.
Erano gli ultimi mesi dell’ultimo anno del liceo, e non ne poteva assolutamente più.
Gli sembrava che la sua vita si fosse ridotta ad un misero susseguirsi di svegliarsi-sopravvivere a scuola a eventuali spintoni-tornare a casa-studiare-dormire, e lo trovava snervante e demotivante.
Senza contare che negli ultimi giorni si era sentito osservato, come se qualcuno lo stesse seguendo, e un senso di inquietudine l’aveva pervaso per non lasciarlo più; una volta, nel cuore della notte, si era svegliato, certo di aver visto una figura scura rannicchiata sul davanzale della propria camera; ci aveva messo due ore buone per convincersi di averla solo immaginata, perché la sua stanza era al primo piano, e nessuno avrebbe potuto raggiungere la finestra dal giardino. Senza contare che nessuno sarebbe riuscito a saltare giù dal davanzale nel tempo di un battito di ciglia, non senza rompersi una gamba.
Uscì di malavoglia nell’aria tiepida di fine marzo, e non riuscì a godersi appieno i timidi raggi di sole che illuminavano dolcemente il parcheggio della scuola: sarebbe dovuto tornare a piedi anche quel giorno.
La macchina era ancora dal meccanico, e, nemmeno a dirlo, per evitare di essere tormentato all’uscita, aveva anche perso l’autobus; sbuffò, aggiustandosi meglio la tracolla sulla spalla, avviandosi a passo lento: non aveva fretta.
Non c’era nessuno a casa ad aspettarlo, i suoi erano sempre troppo presi dal lavoro, dai loro viaggi attorno al mondo e dai loro finti amici, per pranzare con lui nei giorni feriali. O in quelli festivi, per quello che poteva valere. Per di più, era figlio unico.
Rabbrividì, mentre quella familiare sensazione di ansia e preoccupazione tornava a farsi sentire, vivida come non mai: non capiva cosa gli stesse succedendo, non gli era mai capitato di avvertire così prepotentemente quel nodo allo stomaco, mentre un istinto primordiale, ma sempre più insistente, lo costringeva ad accelerare il passo, incurante della stoffa ruvida della tracolla che gli sfregava dolorosamente la gola.
Sentiva di dover assolutamente arrivare fino a casa, perché lì sarebbe stato al sicuro; nemmeno lui sapeva bene da cosa, o da chi.
Affrettò ancora di più il passo, e quasi si mise a correre, obbedendo ad una voce imperiosa nella testa che gli intimava di muovere velocemente le gambe. Più velocemente.
Si rilassò quando ormai mancavano pochi minuti all’arrivo: avrebbe girato l’angolo, e avrebbe visto la staccionata dipinta di bianco, che contornava il familiare giardino ben curato.
Ma fu proprio lì il suo sbaglio.
Si bloccò, col cuore che gli batteva furiosamente in gola, quando vide due figure snelle e alte, coperte da degli ampi mantelli, sbucare quasi dal nulla dal ciglio della strada alberata.
Cercò di deglutire, riflettendo febbrilmente: c’erano comunque alte probabilità che non fossero lì per lui, che non gli stessero andando incontro.
Ma un istinto sconosciuto gli urlava che stavano cercando proprio lui, e che sarebbe dovuto scappare, con urgenza; riconobbe il segnale che il proprio corpo cercava di mandargli: pericolo.
Si girò, e cominciò a correre più veloce che poteva, mentre dei passi rimbombavano dietro di lui, sempre più vicini: ormai non poteva avere più alcun dubbio; erano lì per lui.
Riusciva a sentire solo il proprio respiro spezzato, i muscoli delle gambe che bruciavano insopportabilmente, una mano stretta convulsamente attorno alla tracolla, il battito del cuore che gli rimbombava fragorosamente nelle orecchie, senza lasciargli il tempo o lo spazio per pensare, per voltarsi anche un solo istante e vedere chi lo stesse seguendo; si guardò attorno disperatamente, ma le strade erano deserte. C’erano solo lui, i due inseguitori sempre più vicini e quell’istinto che continuava a gridargli di correre il più lontano possibile; ma quella maledetta strada sembrava non dover finire mai.
Un grido gli si strozzò in gola, quando qualcosa di tremendamente simile ad una corda gli arpionò una caviglia, trascinandolo sull’asfalto; ebbe la prontezza di atterrare sulle mani e non di faccia, graffiandosi i palmi, e sentì un dolore bruciante anche alle ginocchia, che strusciarono sul cemento ruvido, facendolo gemere di dolore.
Riuscì a girarsi per fronteggiare le due figure incappucciate, e rimase senza fiato; di fronte a lui c’erano un uomo e una donna, i più belli che avesse mai visto, di una bellezza terribile: avevano i tratti delicati, leggermente in ombra per via dei cappucci, gli occhi azzurri e innaturalmente luminosi, lunghi capelli fini raccolti in pettinature complicate, e le labbra delicate dischiuse sui denti perfettamente bianchi, in due ghigni identici; l’uomo reggeva una sottile catenella perlacea, e Blaine la riconobbe come quella che l’aveva trascinato per terra.
Mosse di scatto la gamba imprigionata, istintivamente, cercando invano di liberarsi, ma l’altro non fece una piega: si limitò a rivolgergli un sorriso ancora più sprezzante, quasi vittorioso, e Blaine cominciò a sentire un terrore gelido invadergli lo stomaco, mentre da quei volti scompariva una qualsiasi traccia della bellezza che aveva visto qualche attimo prima.
Lottò ancora, disperatamente, perché doveva assolutamente scappare da lì, lo sentiva fin dentro le ossa; doveva mettere fra sé e quelle creature –che di umano avevano ben poco- tutta la distanza possibile.
Il respiro gli si fece affannoso e il panico gli annebbiò la vista, mentre la donna gli si avvicinava, rigirandosi fra le mani un pugnale dalla lama corta e sottile, un sorriso sinistro stampato sul volto.
Blaine chiuse gli occhi automaticamente, pregando che tutto quello fosse solo un incubo, perché era troppo assurdo da concepire; ormai vivevano nel ventunesimo secolo, nessuno usava più i pugnali, nessuno indossava più dei mantelli …
Un sibilo curiosamente musicale lo costrinse ad aprire gli occhi, e sussultò vedendo il volto della donna a poche spanne dal proprio “Finalmente ti abbiamo preso, bastardo.”
Qualcosa si smosse dentro di lui, al suono di quella voce; come se un tassello fosse scivolato esattamente al proprio posto, come se, in un punto imprecisato vicino al suo cuore, si fosse aperto un mondo completamente nuovo, e agì prima di potersene rendere conto: scoprì i denti, mentre un ringhio basso e terrificante, che lasciò basito persino lui, gli sfuggiva dalle labbra, minaccioso.
Lei rise, sinceramente divertita, guardandolo con sufficienza, e quel suono gli arrivò amplificato, mentre una furia gli cresceva nel petto, scacciando la paura che vi aveva albergato fino a due secondi prima, facendogli vibrare la cassa toracica mentre un altro ringhio, più profondo del precedente, gli saliva direttamente dalla gola.
Voleva liberarsi, ma stavolta non per scappare: voleva azzannare quel collo flessuoso, dilaniarlo. Voleva vedere quegli occhi azzurri riempirsi di terrore e lacrime. Per la prima volta, mentre la vista gli si tingeva di rosso, voleva uccidere.
Provò a fare leva sui propri avambracci, ma la donna fu più veloce di lui: gli strinse la gola in una morsa incredibilmente forte, costringendolo a terra, con un ghigno, mentre il volto di Blaine si faceva paonazzo e i suoi polmoni annaspavano, alla ricerca disperata d’aria.
Accadde tutto all’improvviso; la presa di lei svanì dalla sua gola, e sentì un gemito soffocato, mentre inspirava profondamente, boccheggiando.
Si tirò su più velocemente che poteva, e siccome la catena non lo teneva più bloccato, riuscì a mettersi in piedi, barcollando un po’, con un dolore sordo al collo.
Spalancò gli occhi per la scena che aveva di fronte: di spalle rispetto a lui c’era un ragazzo, vestito completamente di nero, che faceva vorticare nelle proprie mani due pugnali le cui else erano curiosamente incurvate verso le lame, che dovevano essere lunghe quanto i suoi avambracci, con un’abilità sorprendente.
Gli altri due lo guardavano con astio, e la donna aveva un taglio sullo zigomo che sanguinava.
“Andate via” disse tranquillamente il ragazzo, con voce cristallina “E mi sforzerò di non uccidervi.”
Blaine spalancò gli occhi; era impazzito? Voleva forse morire?
Sembrava che anche le due figure incappucciate la pensassero allo stesso modo, perché scoppiarono a ridere contemporaneamente, i loro volti assolutamente privi di una qualsiasi allegria.
“Sul serio, moccioso?” Stavolta fu l’uomo a parlare “Penso che tu ti sia montato troppo la testa, a giocare con quelle ridicole lime per unghie.”
“Speravo che lo dicessi.” Blaine percepì che il ragazzo stava sorridendo, ma non ebbe tempo di registrare l’informazione, perché lo vide avventarsi ad una velocità sovrumana contro l’uomo, un pugnale teso in avanti e l’altro vicino al petto.
I loro movimenti erano talmente veloci da risultare quasi invisibili; il ragazzo schivava e attaccava con una grazia e un’agilità che non aveva mai visto in nessun altro, e la sua figura snella riusciva sempre ad evitare di un soffio i corti pugnali degli altri due, saltando e girando su se stessa, in una danza mortale.
Lo vide abbassarsi di scatto, e affondare una lama nel ventre dell’uomo “Dì ‘ciao’ alle mie lime per unghie” gli sibilò, con un ghigno soddisfatto sul volto.
Blaine vide il volto della donna contrarsi in una smorfia terribile, e urlò prima di rendersene conto, senza badare al bruciore che gli infiammò la gola “Attento!”
Il ragazzo non si voltò nemmeno; estrasse rapidamente la lama dal corpo dell’uomo, e spiccò un balzo verso il cielo, atterrando dietro la donna con una capriola a mezz’aria; le incrociò le lame dietro il collo, prima che lei potesse dire qualcosa “Va’ via” le sibilò, con una furia terribile trattenuta a stento nella voce.
Lei annuì, mentre una serie di emozioni indecifrabili le attraversavano il volto; le lame si allontanarono dal suo collo, e si mise a correre, troppo velocemente per poter essere vista.
Solo in quel momento Blaine alzò gli occhi sul ragazzo che l’aveva salvato, e poté osservarlo meglio: era più alto di lui, e indossava degli anfibi, dei pantaloni neri molto stretti e una maglia dello stesso colore; aveva i capelli castani, e i tratti del volto erano molto delicati, ma c’era qualcosa di strano.
Erano le orecchie, che terminavano con una punta appena accennata, ma ben visibile. E i canini, che si intravedevano tra le labbra dischiuse, anche quelli leggermente a punta. E infine, c’erano gli occhi: verdi attorno alla pupilla e color ghiaccio nella parte più esterna dell’iride, ma per quanto fossero straordinari, era ancora qualcos’altro che fece rabbrividire Blaine: le pupille; erano sottili e verticali, proprio come quelle dei gatti.
Lo osservò avvicinarsi con passo felpato e sinuoso al corpo dell’uomo, e notò solo in quel momento quanto fosse cambiato: non era più bellissimo; due piccole corna gli spuntavano sopra gli occhi, e i tratti non erano più delicati, ma ben marcati, e gli conferivano un aspetto macabro; il ragazzo lo smosse sprezzante con un piede, osservandolo un attimo: gli piantò uno dei pugnali nel cuore con una precisione raccapricciante, e lo estrasse velocemente, pulendolo sul mantello dell’altro.
Dopodiché, il cadavere svanì nel nulla, come se non fosse mai esistito.
Fu a quel punto che Blaine perse i sensi, e l’ultima cosa che vide fu il ragazzo che gli si avvicinava di scatto, con un’espressione preoccupata.

Being A Half - KlaineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora