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Dopo quel pranzo disastroso, Blaine conobbe finalmente il famoso Schuester, che tutti continuavano ad invocare come se fosse una strana divinità.
Al contrario di quanto credeva il riccio, Will –perché quello era il nome di Schuester -, non era un Halfbeing come i ragazzi, ma un banale uomo di circa quarant’anni con un’innata, e forse un po’ malsana, passione per tutto ciò che esulava dall’ordinario.
Ma quel banale uomo gli aveva fornito un’informazione preziosissima, mentre lo accoglieva con dei lunghi discorsi calorosi: era stato lui a trovare Kurt e Sebastian; anzi, era proprio per via del castano che aveva sviluppato quell’interesse nei confronti degli esseri come loro.
Dal poco che aveva potuto sentire, e il molto che gli era stato concesso di intuire, aveva capito che Schuester aveva assistito al risveglio di Kurt, un bambino di soli otto anni, e aveva deciso di prenderlo sotto la sua ala protettiva, senza esserne spaventato: era stato una sorta di padre adottivo. E quello fornì un’altra importantissima informazione a Blaine: Kurt era orfano.
Will l’aveva accudito e cresciuto, studiandolo con attenzione, cercando di capire come e perché.
Dopo un paio d’anni aveva trovato anche Sebastian, e aveva convinto i suoi genitori, due ricchi inglesi piuttosto altezzosi e distratti, a lasciarglielo portare in America per fargli “frequentare tutte le scuole più prestigiose”. I genitori di Sebastian dovevano essere persone molto distratte.
Era passato molto tempo prima che Schuester ne trovasse un altro: Puck. Poi era stato il turno di Santana, Jeff e Nick –nemmeno a dirlo, furono trovati praticamente lo stesso giorno- , Quinn, e Rachel; a questo punto, il discorso si era fatto confuso –Will aveva parlato di una palla di cristallo?-, ma a Blaine era parso di capire che fosse stata la ragazza a trovare Finn.
E in tutti quegli anni, Schuester aveva continuato a studiarli, e aveva trasferito quel sapere in alcuni libri, che ora si trovavano nella biblioteca assieme ad alcuni manoscritti sugli elfi; perché c’erano stati moltissimi Halfbeing prima di loro, che avevano lasciato testimonianze scritte delle loro esperienze e delle loro storie, e anche del loro accordo con quelle strane creature: un tesoro a dir poco inestimabile.
Gli fece anche leggere un brano da uno di quei libri, che gli permise di carpire qualche altra informazione sugli elfi.
            

                Gli elfi –chiamati così dal nome che loro stessi hanno deciso di darsi- appartengono allo stesso genere
                    di cui fanno parte gli esseri umani –Homo-, ma a specie diversa: Homo sapiens iunctus naturae.
                   Questa specificazione deriva dalla loro stretta comunanza con la natura; sebbene vivano a fianco degli
                   esseri umani senza difficoltà –grazie alla loro capacità di mutare parzialmente aspetto-, gli elfi manifestano
                   un profondo rispetto nei confronti di ciò che li circonda. Da qui, le loro capacità sovrannaturali:sono agili, forti e
                   veloci, posseggono sensi molto sviluppati, alcuni hanno addirittura abilità specifiche*, e, soprattutto,
                  per  ucciderli definitivamente è necessario colpirli esattamente al cuore,
                  o il loro legame con la natura li riporterà  in vita nel giro di mesi, settimane o anni,
                 in base alla gravità delle ferite riportate.
                  I cadaveri degli elfi scompaiono non appena diventano tali, e la leggenda vuole che essi si riuniscano alla Madre
                 Terra.
                 Gli elfi possono cambiare il loro aspetto a piacere, assumendo sembianze umane o meno (vedi figura); quando
                muoiono, assumono automaticamente le sembianze originali.
                                     

                *L’elfo Re viene scelto dopo uno scontro mortale con gli altri elfi aspiranti, selezionati tra coloro con le abilità
                  più significative (vedi, Re Thiryon,capace di manipolare l’acqua).
  
                                                                                                                   *****
 
In due settimane la sua vita cambiò radicalmente; ricominciò ad andare a scuola, con un notevole miglioramento: Kurt lo accompagnava praticamente tutte le mattine. Blaine aveva provato a dissuaderlo, dicendogli che gli dispiaceva che dovesse svegliarsi presto appositamente per lui, ma il castano era stato irremovibile; e in verità, al riccio non dispiaceva affatto.
Dopo essere sopravvissuto alle lezioni tornava al Castello, e studiava più in fretta che poteva, cercando di non badare al ghigno soddisfatto e divertito che gli rivolgeva Puck quando lo vedeva chino sui libri; aveva persino scoperto che Kurt aveva un’innata passione per la matematica, e questo lo aveva decisamente aiutato con calcolo –materia che per lui rimaneva comprensibile quanto l’aramaico. Non che riuscisse a studiare molto, in realtà, quando Kurt e il suo profumo erano così vicini. Ogni volta finivano per chiacchierare del più e del meno come due vecchi amici, e parlavano di tutto: di musica, di film, di libri, dei loro interessi. L’unico argomento che non sfioravano mai era il passato. Era evidente che il castano non ne volesse assolutamente parlare, e il riccio aveva iniziato ad evitare l’argomento; non che gli dispiacesse, in realtà. Gli bastava stare a chiacchierare tranquillamente con lui, lasciando che la sua presenza lo rilassasse.
Diventarono inseparabili senza nemmeno rendersene conto, sotto le occhiate maliziose degli altri abitanti del Castello: non erano abituati a vedere Kurt così socievole e solare, ma era un cambiamento piacevole.
Passavano un’oretta nel bosco tutti i pomeriggi, e Blaine tentava di mantenere sveglia la propria Metà il più a lungo possibile; il suo record era di cinque minuti e qualche secondo, ma gli costava un’enorme fatica, e quasi sempre si ritrovava spossato solo dopo un minuto, ma cercava di tenere duro per non deludere l’altro ragazzo, che lo spronava e lo incoraggiava senza stancarsi mai.
Una novità entusiasmante fu, poi, la scoperta dell’armeria.
Kurt lo aveva portato lì un pomeriggio, con un largo sorriso stampato sul volto: sapeva che a Blaine sarebbe piaciuta; e infatti, il riccio si era guardato attorno con gli occhi spalancati e luccicanti, osservando attentamente l’ambiente che lo circondava: era una sala piuttosto piccola, soprattutto se paragonata alle altre,  ma ognuna delle tre pareti libere era completamente coperta da una rastrelliera occupata da ogni tipo di armi, disposte ordinatamente.
C’erano pugnali dalle lame più o meno lunghe e sottili, dritte o incurvate, dall’elsa semplice o elaborata; uno in particolare aveva attirato l’attenzione di Blaine: nell’elsa era incastonata una pietra d’ambra, nel punto in cui si incontravano guardia e manica; su quest’ultima, si avvolgeva una pianta rampicante, lavorata così finemente da sembrare vera, e le estremità di alcune foglie arrivavano a sfiorare la base della lama, che si assottigliava verso il centro per poi allargarsi di nuovo in un’elegante curvatura verso la punta.
Aveva osservato degli strani aghi molto spessi e decisamente appuntiti; “Senbon” aveva risposto la voce cristallina dietro di lui alla domanda inespressa, “Possono essere usati come pugnali o armi da lancio; sono di Rachel”.
Aveva anche rivisto i Sai di Kurt, rigorosamente posti in alto, lontano dalle altre lame, ma non aveva osato toccarli –ci teneva ad avere quattro arti anche a fine giornata.
Aveva notato, leggermente distaccata rispetto alle altre, un’arma che non aveva mai visto: era un bastone, di un legno scuro e tremendamente duro e liscio, che aveva una lama sottile e non troppo lunga per estremità; avrebbe voluto sfiorarla, ma sapere che era di Santana l’aveva fatto stranamente desistere.
Aveva continuato a guardarsi attorno con  la bocca spalancata, nell’osservare estasiato tutte quelle spade belle e terribili: se ne stavano altere, dritte, perfettamente consapevoli della loro maestosità, eccezion fatta per due, inclinate l’una verso l’altra, con le else incrociate.
“Sono le spade di Jeff e Nick” aveva mormorato Kurt, con un tono di voce quasi malinconico e distante, e Blaine si era limitato ad annuire, osservandole meglio: erano lame eleganti e fini, a due mani, le else decorate da una spirale in rilievo; anzi, non era una spirale: era un drago, sinuoso e sottile, realizzato con un’evidente attenzione per i dettagli.
“Sono armi gemelle” aveva continuato Hummel, sempre a bassa voce, stavolta con un sorriso amaro “Vedi?” Aveva ruotato le spade e aveva avvicinato le else: combaciavano perfettamente, e in questo modo, un singolo drago sembrava distendersi su entrambe le lame.
Blaine aveva avvertito una strana stretta allo stomaco quando aveva notato lo sguardo degli occhi azzurri: era lontano e perso, e per un attimo aveva temuto irrazionalmente di non riuscire a riportarlo indietro.
Ma Kurt si era riscosso, aveva messo su un’espressione impassibile, e l’aveva portato verso l’ultima rastrelliera, dopo avergli mostrato l’imponente sciabola che apparteneva a Puck: e il riccio si era illuminato.
Gli archi erano in assoluto le armi più raffinate e minacciose che avesse visto in quella sala: elegantemente ricurvi, sembravano curiosamente fieri, consapevoli della loro superiorità.
C’erano anche degli shuriken a cinque punte, eleganti e terribilmente mortali –“Di Quinn”, aveva specificato Kurt, seguendo sempre il suo sguardo-; ma anche stavolta, era stato un arco ad attirare immediatamente la sua attenzione: gli si era avvicinato quasi senza rendersene conto, ammaliato dai bagliori azzurri che sembrava emanare; e quando l’aveva potuto vedere per bene, si era dovuto trattenere per non spalancare poco elegantemente la bocca. Su tutta la sua lunghezza si avvolgevano a spirale dei minuscoli frammenti di acquamarina, creando dei vortici impossibili da seguire con lo sguardo, responsabili di quell’effetto magnifico. Lo aveva sfiorato inconsciamente, completamente stregato, e si era voltato solo nel sentire che l’altro aveva trattenuto il fiato “Oh, scusa, non sapevo fosse il tuo …”
“N-No, non è mio, non preoccuparti; non è di nessuno. Io … Io uso solo i Sai.” Aveva concluso, con un leggero sospiro che avrebbe dovuto essere impercettibile. “Lo ha fatto il nonno di Rachel” aveva proseguito, quasi sovrappensiero, senza notare lo sguardo sbalordito dell’altro “Lui … Sapeva di sua nipote. Anche lui era un Halfbeing. E … ha realizzato qualcuna di queste armi.” Aveva concluso, sfiorando le rastrelliere con lo sguardo.
“Lo conoscevi?”
Gli occhi azzurri lo avevano scrutato con un po’ di dolore “Sì. È morto sei mesi dopo che Rachel è venuta qui. Andavamo molto d’accordo” un piccolo sorriso gli aveva incurvato le labbra “Era un vecchietto burbero e insopportabile.”
Blaine non aveva potuto fare a meno di sorridere con dolcezza, vedendolo chiaramente perso nei suoi ricordi.
Kurt si era riscosso dopo qualche secondo, con un mezzo sorriso che non aveva allontanato del tutto la tristezza che si era depositata nelle sue iridi di ghiaccio “Credo di aver capito da cosa vuoi cominciare.”
Anderson si era morso il labbro; in realtà, lo aveva incuriosito parecchio anche il pugnale, ma dopo aver ripensato ai movimenti assurdamente eleganti di Kurt, era stato imbarazzato dall’idea di fare una figura pessima; “E a Rachel non dispiacerà?”
L’altro aveva scosso la testa, in segno di diniego “No, direi proprio di no. Non fa altro che lamentarsi perché sta lì a prendere polvere …”
“D’accordo, allora …” Le dita di Blaine si erano chiuse incerte attorno all’arco, ma subito la sua presa si era fatta più sicura nel sollevarlo con attenzione, sentendolo più pesante di quanto non si aspettasse. L’arco sembrava essersi svegliato sotto il suo tocco.

Being A Half - KlaineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora