3. Dall'Inizio Alla Fine

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Presentazioni e addii; dall'inizio alla fine.
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Amavo stringerti nella notte credendo che tu non pensassi a nient'altro che a me, come io non pensavo a nient'altro che a te.

Se in quelle lunghe notti nel cielo limpido si intravedeva la luna, però, io non ero tanto felice quanto lo ero quando pioveva. Mi stringevi di più a te, spaventato dai tuoni e dal rumore della pioggia battente sulle sottili finestre di camera mia. In quei momenti, mi facevi sentire necessario, indispensabile. Mi sentivo così bene, baciarti i capelli così stretto a te era la mia miglior medicina.

La notte eri amorevole, indifeso, e la tua pelle sudata si stringeva alla mia in intrecci unici che io chiamavo abbracci.



La mattina cambiavi completamente.

«Non mi parlare, non sono dell'umore,» mi dicevi, mentre già ti vestivi e sentivi me alzarmi e scuotere la mia testa pesante da dietro la tua schiena.

Poi mi abbandonavi lì, io ancora nudo sotto le coperte, con la testa affollata di ricordi dolorosi e domande.





Ci eravamo conosciuti tramite degli amici in comune.

Al nostro primo incontro pensai che tu fossi carino, al secondo che forse avrei dovuto provarci con te. Al terzo ci limonammo nel bagno del ristorante, tra i numeri di telefono delle puttane scritti suoi muri e uno specchio rotto probabilmente da un pugno tirato troppo forte.




Ma a me andava bene, e sentivo che forse anche tu avevi provato quella strana sensazione allo stomaco ogni volta che i nostri sguardi si erano incrociati, e che durante quel nostro strano bacio anche tu avevi sentito che —

«Non dirlo a Renjun,» fu l'unica cosa che dicesti, interrompendo i miei pensieri, mentre io cercavo di proporti di uscire assieme e tentavo di mettere le parole bene in fila nella mia testa prima di dirle.



Fuggisti dal mio abbraccio, e mi lasciasti solo nel bagno, con solo il sapore della tua saliva ancora nelle mie labbra – non ne avrei più potuto fare a meno.

Ti avrei perdonato per avermi lasciato lì da solo quella sera. Non lo dissi a Renjun. Pensai che forse il sapere una cosa così avrebbe potuto rovinare la vostra amicizia, e rispettai il tuo volere.




«Ti accompagno a casa,» decidesti per entrambi quella sera stessa, davanti a quello stesso piccolo locale. Io ero felice, pensavo che forse durante il tragitto mi avresti parlato, e detto più apertamente quello che provavi.

Perché provavi qualcosa, vero?
Altrimenti non mi avresti baciato.

Così salutammo Renjun e Jaemin, che tutti contenti parlottavano di Barry Lyndon, e ci dirigemmo verso casa mia.




Il tragitto fu stranamente silenzioso.

Certo, non pretendevo che prendessi parola senza alcun tremore nel dirmi che ti piacevo, tuttavia non mi aspettavo un tal silenzio. L'unico rumore erano i nostri passi e, ogni tanto, il motore di un'auto che si avvicinava, e poi si allontana velocemente nel buio.




Non sopportavo il silenzio, così presi parola.

«Come... come stai?» chiesi, non sapendo bene quale fosse il modo migliore di iniziare una conversazione.

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