"Impariamo a pesare la nostra anima, poi il nostro corpo"
Infinite personalità, infinite anime doloranti e qualcuna appagata miseramente, nessuna però pronta ad essere se stessa. Per molti, il mondo risulta essere una fortezza in cui custodire ogni piccola scaglia di umanità che riempie la nostra anima, molte altre invece si sentono prigionieri in un castello pieno di disordine, pieno di forze oscure che non riescono a generare, se messe insieme, la pace e la stabilità che si cerca veramente.
Solo se quel castello dovesse sbriciolarsi allora verrebbe fuori la vera forza e il vero essere della persona, libera da pregiudizi, stereotipi, paure futili. Ma abbatterlo non è sempre semplice, bisogna trovare la speranza di scovare un vero volto, un vero cuore.
Come tutte le volte, la mia massa non calava sopra la bilancia che era lì per giudicarmi, per farmi sentire impotente e debole davanti agli occhi del dottore, pronto anche lui a dare i suoi verdetti schietti e che infliggevano in me molta sofferenza.
Non era poi così tanto tempo che io soffrissi di questo disturbo che in molti continuavano a chiamare bulimia, nervosa per l'esattezza, ma mi stava divorando, insieme alla fame e insieme alla voglia, subito dopo aver mangiato, di sparire, di sgonfiarmi con un ago, di vedermi di nuovo perfetta, e l'unico mezzo che avevo era il vomito, rimettevo tutto ciò che avevo ingerito subito dopo aver mangiato.
Mi cullavo su ciò , credevo che facendo così potessi prima saziare la mia fame infinita e subito dopo saziare la mia voglia di essere magra, ma era un circolo vizioso, mangiare non mi saziava, e vomitare non mi faceva dimagrire. Stavo sprofondando, dentro la mia anima troppi vuota e il mio corpo troppo pieno.Mia zia Kelly, infatti, mi costrinse ad andare di nuovo lì, non capiva che il mio aumentare di peso era dovuto solamente al cibo che di giorno e di notte finiva nel mio stomaco, era quasi estenuante la sua preoccupazione e il suo senso di colpa.
Ma non era colpa sua, il tumore ne aveva la colpa.
Non ero io ad essere malata, mia madre lo era, vedevo come era diventava con il passare del tempo, era sempre più fragile, un vaso custodito in una teca di cristallo.
I libri erano la sua unica speranza quando non riusciva nemmeno a ricordarsi di me, prendeva una storia qualunque e cercava di immedesimarsi in quelle donne che hanno una vita davanti, mentre poi, quando il male avanzava, nemmeno quelli la facevano più sorridere, ed era diventata come un vegetale circondato da farmaci. I miei famigliari, a cominciare da mio padre, mi tenevano all'oscuro da molte cose, non sapevo quanti giorni le restavano, nemmeno se riusciva a sentirmi, quando invano le parlavo, cercavano di proteggermi dalla triste verità, dal fatto che molto presto mi avrebbe abbandonata.
E lo fece.
Fu allora che il dolore logorante mi portò ad essere quella che ero, con un corpo troppo pesante e con un' anima vuota.Dopo la morte di mia madre, ci fu un'altra perdita, persi mio padre, iniziò a soffrire di una grave depressione, il suo Psichiatra, il signor. Cavanaugh, gli aveva prescritto molti psicofarmaci, dallo Zoloft, che lo aiutava ad essere più calmo e rilassato durante le sue crisi e i suoi "soffocamenti", così chiamavo io quelli che erano attacchi di panico, all'Abilify, un tipo di antipsicotico che lo aiutava, la maggior parte delle volte, a fuoriuscire da una realtà immaginaria, non lo aveva mai detto a me, ma credevo fortemente che lui vedesse ancora la mamma, soprattutto quando di notte, spegneva la lampada dopo aver letto decine di pagine dei suoi romanzi preferiti, in particolare lui amava Stephen King.
Stava soffrendo molto, ed io piangevo di giorno e di notte per la sua sofferenza, perché era l' unica ancora che mi era rimasta, l'unica persona che in questo mondo, attraverso il suo sorriso, riusciva ancora a farmi sorridere, anche se ormai, quel sorriso, si stava spegnendo.C'era però, un'altra consolazione, qualcosa che riusciva a tirarmi su, per poco, come però nessun psicofarmaco riusciva, mangiare, in qualche modo, non poteva tradirmi, lasciarmi sola, e se aumentare di peso era il prezzo da pagare, lo avrei pagato, tutto pur di alleviare un po' della mia sofferenza.
Quel cibo però, mi aveva allontanato dal mondo, mi aveva lasciato sola in mezzo ad un prato pieno di pungiglioni pronti a far sanguinare il mio cuore.
Poi c'era la scuola,quella che non ero pronta ad affrontare, quella che avrebbe notato i miei cambiamenti, gli avrebbe schifati e poi derisi.
Ero una ragazza che viveva dell'opinione pubblica, perchè una volta ero io quella che definiva, fin quando il mondo non mi era caduto addosso, fin quando le mie amiche non mi avevano scaricato e così come tutte le persone che un tempo conoscevo.Dunque, il mio mondo era più che tragico quando avevo diciassette anni, ero diventata in poco tempo l'opposto di ciò che volevo essere, ma posso svelarvi un piccolo segreto, non ho mai vissuto niente di più bello in vita mia, tutto quello che ho imparato da perfetta ragazza in sovrappeso mi è rimasto nel cuore, e difficilmente ne uscirà.
Ora non vi resta che leggere le memorie di una ragazza dell'Illinois, il racconto di Nicole Hill.
STAI LEGGENDO
A beautiful empty soul
RomanceIl romanzo "A beautiful empty soul" rappresenta una ferma opposizione contro gli stereotipi che la società crea, sopratutto tra i giovani, che ignari di ogni possibile conseguenza cercano di vivere la loro giovinezza in maniera fin troppo superficia...