1.

0 0 0
                                    

Chicago sembrava il posto per tutti, dove ogni cittadino riesce a prendere la sua strada e a capire il posto che ricoprirà nella società. Succedeva lo stesso in tantissime altre città statunitensi, ma io, da vera amante della mia patria, finisco sempre per metterla al primo posto. Amavo un tempo questa città, anche con il suo clima orribile, rimaneva la mia casa, il mio posto sicuro, ma con il tempo mi iniziai ad interrogare sul significato della parola "Sicuro", e ancora oggi mi chiedo cosa può veramente farmi sentire al sicuro, a casa, in quei tempi non avevo nemmeno una casa mia, o almeno, l'avevo, ma non ci abitavo, ed era decisamente straziante non essere più tra quelle mura che hanno ascoltato tutto, hanno visto tutto. In casa nascondiamo i nostri segreti più intimi, proprio perchè rintanarsi in una camera, rappresenta uno scoglio da cui puoi vedere il tuo riflesso, e non cadere.

C'era un emerito però a quel porto sicuro, ed era causato dal sistema, quell'insieme catastrofico di elementi che portano ad un fine, ed essenzialmente il sistema stava divorando le regole che un tempo tenevano saldo l'universo, regole che non ti portavano a diventare schiavo, ma che adesso ti gettano nella trappola che noi stessi prepariamo. Eppure ormai, poche persone sapevano quale era il loro posto, molte infatti, sentivano quel senso di inadeguatezza sulla pelle che le portava a respirare con affanno, a sentirsi oppresso dalle giornate che man mano stabilivano il loro percorso, tortuoso e inaffidabile.

Ed io, come tanti, avevo bisogno di respirare aria pulita, di voler uscire da quella fossa che avevo io stessa scavato. Ma, in quel momento, niente davanti a me sembrava avere un senso, la morte di mia madre, la malattia di mio padre avevano aperto una voragine molto intensa, e nessuno, in quel momento, riusciva a comprendere il vuoto, la paura, l'angoscia che riuscivo a provare, quella irreale, quella che per molto tempo non riuscivo a scindere dalla realtà vera, perché ai miei occhi l'unica realtà che riuscivo a riconoscere era quella in cui io, mi perdevo in un mondo troppo ostile da affrontare, mentirei se dicessi che a volte avrei preferito abbandonarlo. Non c'entrava l'egoismo, perché era proprio quello che non avevo a farmi stare ancora su quella bilancia.

La bilancia, un piccolo strumento che si ritrovava a giudicare la mia vita di volta in volta, mi ripeteva di scendere, ero grassa e quella voleva liberarsi di me, ma io non gliel'avrei data vinta, dovevo rimanere lì sopra a fissare i miei 75 chili.

Solo sette mesi prima ne pesavo 50.

Lo specchio, un ammasso di vetro trasparente, il migliore e il peggiore amico di ogni donna, davanti a me dipingeva le mie linee molto più che morbide e il mio viso che diventava sempre più paffuto.

Ero in grande difficoltà con il mio corpo, non lo accettavo, ma d'altra parte lo consideravo fin troppo, ed io sapevo di non doverlo fare, ma il mio inconscio prendeva il sopravvento ogni volta, ogni giorno io litigavo con me stessa per non essere più quella di prima.

Ero stata in terapia da molti psicologi, ma i loro pareri non potevano essere più discordi, c'è chi mi spronava a mettermi a dieta e chi, invece, voleva farmi capire che il mio aumentare di peso non era un problema, quelli che la pensavano così mi credevano troppo superficiale, non in grado di vedere la vita da più punti di vista, pensavano che dovevo scoprire me stessa, prima di apportare modifiche al mio corpo.

I miei occhi cerulei apparivano così spenti e i miei capelli lunghi castani riuscivano a coprire, se messi davanti le spalle, un po' di quel grasso che risiedeva sul mio viso.

Poi il mio sguardo passò all'orologio sul polso, era tardi ed era il mio primo giorno di scuola, il primo giorno del mio quarto anno. Era tutto così diverso, tutto sembrava astratto, ma in realtà sapevo già cosa aspettarmi, un anno di ansie, debolezza, di distruzione. Nemmeno un'ora dopo ero in macchina con mia zia Kelly e percorrevo le strade di Chicago per arrivare alla Western School. Osava lanciarmi alcune occhiate, come se volesse dirmi qualcosa, forse un incoraggiamento, che poi alla fine arrivò.

A beautiful empty soulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora