Il Nulla...

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Arrivammo all'ospedale in 10 minuti. Mia si era un pò ripresa e un timido, lieve sorriso si faceva spazio fra le sue labbra. Ci dirigemmo verso la stanza del fratello, dopo aver chiesto il numero della camera ad un infermiera. C'era molta gente fuori. Credo quasi tutti parenti, e amici stretti. C'era un via vai di persone e dottori che uscivano ed entravano in quella stanza. Strinsi forte la mano di Mia per infonderle coraggio, sapevo perfettamente come si sentiva. Lei alzò lo sguardo grata di quel gesto. Ora sapeva che tutto questo non doveva affrontarlo da sola. Ci fecimo spazio tra le persone, tristi e amareggiate. Alcuni ci fermavano per aggiornarci sulle condizioni del fratello, oppure per salutare Mia. Anche se affranti dal dolore, si poteva ben capire dalle loro faccia e dagli sguardi confusi, la domande che si ponevano: chi diamine è la ragazza accanto a Mia!?. Io di tutta risposta mi limitai ad abbassare il capo, non volendo suscitare altre domande. La bionda accanto a me si fermò di scatto, ed io istintivamente le strinsi maggiormente la mano.

"Mia, che succede? Perchè ti sei fermata all'improvviso?" le chiesi dolcemente. Mi sporsi per vederle il volto, e il mio cuore si strinse in una morsa. I suoi occhi erano appannati e guardavano in punto fisso. Seguì il suo sguardo, finchè capii che stava guardando la stanza semi-aperta dove si trovava il fratello. Era troppo da chiedere a una ragazzina. La girai verso di me, e alzandole lo sguardo dal pavimento ai miei occhi, le sorrisi. Un sorriso sincero, amato. Non come quelli di pena, che non potevano capire quello che si provava. Restammo così per un paio di secondi, finchè Mia acconsentì con il capo. La sentii emettere un sospiro carico di ansia e preoccupazione. Appena entrammo all'interno di quella camera, tutti gli occhi si spostarono su di noi.

"Mia, tesoro! Iniziavo a preoccuparmi. Ma dove eri finita?" Le chiese, presumo, la madre con gli occhi piene di lacrime, e il viso stravolto. Intanto Mia, lasciandomi la mano impaurita, andò ad abbracciare la madre, iniziando a singhiozzare sempre più forte. Mi guardai intorno sentendomi un pò di troppo. Lo spazio era molto piccolo, una angusta finestra illuminava il letto che ospitava un corpo. Lo guardai. Aveva i capelli biondi, il viso scavato, il corpo minuto, e molte macchine e apparecchi intorno e dentro di lui, che emettevano strani ed acuti rumori. Mi ritornò improvvisamente la scena dei miei genitori. A differenza loro, che erano morti su un tappeto, questo ragazzo si trovava in una stanza d'ospedale che combatteva tra la vita o la morte. Il sole o il buio. Il corpo o l'anima. Venni risvegliata dai miei pensieri accorgendomi che qualcuno si stava rivolgendo a me. Mi girai verso l'individuo che ripetè nuovamente.

"Lei chi è?" Mandai giù un pò di saliva, la bocca si fece tutt' a un tratto secca.

"Mi chiamo Adele Colvould Rosbrit. Ed ho accompagnato Mia qui in ospedale." risposi educatamente. Il signore davanti a me mi sorrise e mi porse la mano in segno di saluto.

"Grazie per aver accompagnato mia figlia. Non si doveva disturbare così tanto. Ecco, come vede, la mia famiglia non sta passando un bel periodo- guardò suo figlio disteso sul letto - Comunque grazie di cuore per averci portato qui nostra figlia. Ah! Non mi sono presentato. Mi chiamo Josh Horan, piacere" Gli strinsi la mano, e gli sorrisi. Era davvero forte quell'uomo. Sorrideva nonostante tutto, anche se si capiva che il dolore lo stava distruggendo. Finita quella breve conversazioni rimasi ferma in un angolo della stanza ad aspettare che Mia si fosse calmata, per salutarla ed andarmene. Stavo quasi per addormentarmi quando un mano mi fece saltare.

"Scusa Adele, non volevo spaventarti." mi disse teneramente Mia. Sorrisi facendole capire che era tutto apposto.

" Volevo ringraziarti per avermi impedito di fare sciocchezze.- disse l'ultima parola in un sussurro, per non far sentire niente a nessuno- I dottori, dicono che questa notte sarà decisiva. Io-io ecco.. insomma, se vuoi puoi pure andare a casa. Sono le 21.00 ed inizia a farsi tardi. Fuori è molto buio, quindi se vuoi posso farti riaccompagnare da un mio zio e.." Le parole le moriro in bocca, mentre si fiondò su di me per stringermi in un abbraccio affettuoso, pieno di ringraziamenti e speranza. Ricambiai molto volentieri, e restammo così per vari minuti, ognuna persa nei suoi pensieri.

"Non c'è di che. Sono felice, che ora stai un pò meglio.-iniziavo a volerle bene a quella ragazza, e mi faceva male lasciarla andare. -Facciamo così, questo è il numero. Chiamami per qualsiasi cosa. Okey? E vedrai che tuo fratello si rimetterà. Non ti preoccupare." le dissi porgendole un bigliettino con su scritto il mio cellulare. Lei intanto mi guardava con le lacrime agli occhi. Si poteva leggerle facilmente, che era rimasta molto sorpresa e contenta di quel mio gesto. Mi ri-abbracciò, e promettendomi di non fare più sciocchezze in futuro, ci salutammo. Con mio grande stupore, anche i genitori mi abbracciarono e ringraziarono, mentre le persone di fuori si limitarono solamente a fare un gesto secco con la mano. Sospirando, uscii da quell'ospedale, dove ci avevo passato quasi tutto il mio pomeriggio. Presi il cellullare dalla mia borsa, e trovai due messaggi di due numeri sconosciuti. Aprii il primo, era di Mia. :

Grazie Adele, di tutto cuore. :) Sto pregando in questo momento per mio fratello. Spero che riaprirà quei bellissimi occhi azzurri, e mi sorriderà, come faceva un tempo. Notte. Grandi baci Mia.

Sorrisi alla dolcezza di quella ragazza. Poi, ricordandomi dell'altro messaggio, aprii per leggerlo.

Ciao Adele, ho visto che il tuo libro ha avuto molto successo. Siamo davvero felici per te. Attenta però, perchè sai benissimo a cosa andrai in contro in questi giorni. Hai fatto molto male a ricordarti di noi..di me. Uhm chissà se sarà divertente anche questa volta, uccidere i tuoi genitori.. Forse facciamo anche un salutino ai tuoi amici più stretti.

A presto piccola. baci L.

Il mio cuore smise di battere. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi. Le gambe non mi sorressero più. Caddi così in ginocchio, maledicendomi per quello che avevo fatto. Dovevo dare ascolto a mia madre, quando diceva che era pericoloso scrivere quel libro. Ma io testarda più che mai non l'avevo ascoltata. Se fosse capitato qualcosa alle persone che più amo, non me lo sarei mai, MAI, perdonato. Iniziai a piangere singhiozzando. Negli ultimi giorni stavo vivendo l'inferno: gli incubi, quegli occhi, e ora anche quel messaggio .

"Signorina, signorina..sta bene?" mi chiese qualcuno alle mie spalle, con voce preoccupata. Alzai lo sguardo verso quella voce, e lo rividi. I suoi occhi azzurri, il suo profilo prefetto, il suo corpo asciutto. Mi coprii le orecchie con le mani, urlando "Basta" . Nel frattempo mille pensieri vorticavano nella mia mente: 'scappa' , 'sarà solo colpa tua, se la gente a te più cara si farà male' oppure ' hai rovinato la vita a tutti, perfino ai tuoi genitori stessi che sono morti, MORTI!' . La testa mi scoppiava. Mentre delle grida si fecero spazio tra la gente. Mi sentii sollevata da due braccia che mi depositarono su un appoggio scomodo. Io intanto piangevo, cercando di sovrastare i miei pensieri con lacrime ed urla. La voce di prima intanto mi diceva di stare calma, di respirare. Ma ormai, io era andata. Le forze iniziarono a mancarmi, così come i miei muscoli che iniziarono a rilassarsi. Da lì, in poi non mi ricordai più niente. Zero assoluto.

to be continued

GLI ASSASSINI DEI MIEI GENITORIWhere stories live. Discover now