Capitolo 9 - Una pizza giapponese

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Justin aveva sempre desiderato viaggiare in giro per il mondo, ma la sua gita più lontana era stata in Italia, un paio d'anni prima. Non era stata neanche una vera vacanza: aveva partecipato a una specie di breve trasferta di studio finanziata dall'università e aveva passato gran parte del tempo tra un'aula e l'altra in una muffosa università di Milano. Non era stato male, tutto sommato: aveva avuto l'opportunità di allontanarsi per qualche mese dall'ambiente tossico a cui era abituato, e svegliarsi la mattina in un appartamento insieme a un coinquilino del sud Italia e sapere che non avrebbe visto quella stronza di Martha ancora per molto tempo lo riempiva di un'allegria incommensurabile.

Certo che, comunque, viaggiare era ben altra cosa. Per le persone normali, viaggiare significava libertà, la possibilità di lasciarsi alle spalle una vita orribile e monotona, poter fingere per qualche settimana di essere padroni della propria esistenza e di poter fare ogni cosa che il cuore suggeriva. Viaggiare era una meravigliosa illusione, un incantesimo ben più potente di ogni altro che Justin avesse studiato e, ora che lo stava sperimentando sulla sua pelle, ne era ancora più convinto.

Mentre camminava attraverso i larghi corridoi della stazione della metropolitana di Asakusa, si guardava intorno con un sorrisetto meravigliato, come fosse un terrestre che si era appena ritrovato su un pianeta alieno e stesse osservando meraviglie mai viste. Non c'era proprio nulla di inverosimile in quella stazione della metropolitana, se non forse la cura e l'incredibile pulizia che lo circondavano, eppure riusciva a meravigliarsi anche per le colonne pitturate di rosso smagliante, o per i cartelli in astrusi caratteri che aveva intravisto soltanto negli anime e nei fumetti. In quel momento, circondato da una marea di uomini dai volti indistinti e dall'abbigliamento variegato, attorniato dal vociare di centinaia di persone diverse, Justin si sentiva in vacanza: aveva lasciato la sua vita precedente alle spalle e quasi non gl'interessava più scoprire chi avesse ammazzato Martha per tornare a casa da uomo libero e non da colpevole fuggitivo. Ma, nel profondo del cuore, per quanto non volesse dare ascolto a quella vocina sommessa, Justin era ben conscio di essere anche lui caduto in quella dolce illusione che, prima o dopo, sarebbe svanita.

Foxy gli camminava tra i piedi, disturbato dall'accalcarsi di gente davanti ai tornelli; il biondino si chinò e prese la volpe sotto braccio, guadagnandosi l'occhiata basita di due ragazzine asiatiche che gli erano passate vicine. Che guardassero pure, Justin non aveva alcuna intenzione di nascondere Foxy o di trattarlo come un animale da compagnia; lo aveva già costretto a un lungo viaggio in aereo e il suo fedele amico pareva aver sofferto come non mai la lunga reclusione nell'abitacolo pressurizzato. E pensare che aveva dovuto dare fondo a tutte le sue capacità magiche per convincere mezzo aeroporto di Gatwick che quella cosa rossa che aveva di fianco non era una volpe ma un bellissimo trolley da viaggio! Quando la gentilissima addetta al check-in gli aveva offerto di imbarcarlo, Justin aveva capito di aver esagerato e aveva, diciamo, convinto la bella impiegata che Foxy non superava di certo il peso limite per i bagagli a mano.

Per un fortuito caso, i posti vicino a Justin erano rimasti liberi e l'aereo era mezzo vuoto, così Foxy aveva potuto accoccolarsi su un sedile e aveva sonnecchiato per metà del viaggio, mentre aveva guaito e mugolato sommessamente per l'altra metà delle dodici ore che li separavano dalla loro meta, disturbando il sonno di Justin e degli altri passeggeri. Inutile dire che, solo quarantasette minuti dopo il decollo, Justin aveva dovuto lanciare incantesimi d'ipnosi su tutto il fottuto areo per convincere passeggeri, hostess, responsabili di voto e persino un pilota che quegli strani rumori non erano altro che il frutto della loro immaginazione. Era una gran cosa la magia! Vivendo sempre a contatto con i suoi parenti, non aveva mai avuto modo di sperimentare per davvero che cosa un mago potesse fare alle persone comuni; la sensazione era... assuefacente: ogni volta che lanciava un incantesimo su qualcuno, un'area del cervello gli si attivava e gli chiedeva di più, sempre di più, ancora di più. Non bastava che quella vecchietta giapponese credesse che Foxy fosse una valigia, no, non era sufficiente; quanto sarebbe stato bello vederla ballare sulle punte in mezzo al corridoio? Avrebbe potuto farglielo fare e nessuno si sarebbe potuto opporre, perché quelle persone erano rinchiuse in una prigione di metallo a tenuta stagna insieme a uno stronzo, un grandissimo stronzo con i fottuti super poteri!

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 06, 2020 ⏰

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