HELLFIRE 4' Capitolo "Sam"

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L'oceano si stagliava davanti a noi, smisurato. Di solito, andavo sulla spiaggia dopo aver finito il lavoro, e Nate lo sapeva.

Così non aveva battuto ciglio, quando ero entrato nella Porsche.

Mi si era seduto accanto, non pronunciando alcuna parola, immobile, con la sua aria imperscrutabile da cherubino del cazzo che gli avevo sempre detestato.

Avevo guidato per l'autostrada, fino a raggiungere Malibu, senza parlare, non staccando lo sguardo dalla strada e da quelle fottute palme che oramai vedevo ovunque.

Ricordare quello che ero stato, sapere che non sarei più tornato ciò che ero un tempo, faceva male. Ma più ancora sapere perché Nathaniel era venuto a cercarmi, dopo mesi che non ci rivolgevamo la parola.

Adesso eravamo entrambi poggiati al cofano anteriore della mia auto, stavamo scrutando quella distesa nera, davanti a noi.

Nel silenzio.

Prima o poi qualcuno avrebbe dovuto parlare, ma non sarei stato di certo io.

Due ragazzi vestiti di scuro, immersi nel buio di quella notte senza luna, mentre il cielo tornava a ricoprirsi di nubi.

La pioggia avrebbe continuato a battere su quella maledetta città per tutta la notte e io avevo ancora del lavoro da fare.

Non avevo comunque bisogno di dormire. Non c'era altro che potessi fare. Vivevo per la vendetta.

Odiavo e basta.

«Samhael» finalmente si decise a parlare, «la devi smettere. Gli altri sono molto preoccupati per quello che stai combinando. Stai attirando troppa attenzione. Se qualcuno dovesse indagare e...»

«Puoi dire a quei quattro stronzi che a nessuno frega un cazzo di noi» lo fermai. Sapevo a chi si stesse riferendo. «I mortali non credono neppure che esistiamo.»

Conoscevo bene chi mi detestava.

«E puoi chiamarmi Sam anche quando siamo da soli» aggiunsi.

«È l'abitudine» sorrise, appena. La bellezza di Nate era irritante quanto perfetta. Lui era sempre stato uno dei più belli.

Molti ci avevano paragonati, quando ancora eravamo amici. Avevano sempre detto che era difficile stabilire chi di noi due fosse più attraente: la mia bellezza era oscura, la sua angelica. In seguito, il destino non avrebbe smentito quella affermazione.

I suoi occhi blu si illuminarono, assunsero quel colore che ben ricordavo, mi rammentarono casa, il luogo dove avevo vissuto, prima che tutto cambiasse.

Si infervorò, come mi aspettavo. «Cosa ti dà il diritto di giudicare chi deve vivere e chi deve morire?!»

«E a Lui?» indicai l'alto, senza esitare. «Cosa dà il diritto di rimanere a osservare, senza fare nulla?...»

Ansimavo dalla collera. Anche in quello eravamo diversi: Nate, nonostante fosse incazzato, rimaneva comunque altero e dignitoso, io diventavo un animale.

La mia sete di vendetta diventava sempre più forte. Ogni giorno che passava.

Più stavo a contatto con gli esseri umani, più odiavo quella razza abominevole.

«La tua non è giustizia» mi lesse nel pensiero. Staccò il sedere dal cofano dell'auto e mi raggiunse. «Stai solo sfogando la tua ira, verso di loro... perché sei invidioso di quello che Dio non ci ha concesso.»

Gli voltai le spalle.

Porca puttana, non lo sopportavo quando pretendeva di farmi il lavaggio del cervello. Si era sempre creduto migliore di me.

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