HELLFIRE 5' Capitolo "Lilith"

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Me ne stavo con la fronte poggiata al finestrino della Ford blu di Joshua, masticando un chewing gum alla menta, tenendo le mani nelle tasche della mia giacca di pelle color carminio scuro.

Sprofondata nel sedile posteriore, nel solito modo in cui sedevo sempre, che mia madre definiva poco signorile.

L'estate era finita, i mesi erano volati.

Ci eravamo lasciati Portland alle spalle, il camion dei traslochi con la nostra roba ci seguiva, sull'autostrada.

Fin da quando eravamo partiti, non avevo detto una parola.

Anche durante le soste che avevamo fatto nelle stazioni di servizio, non ero scesa ed ero rimasta in macchina, crogiolandomi nella mia depressione.

Mia madre aveva cercato di tirarmi su il morale, ma era tutto inutile.

Aveva promesso che mi avrebbe aiutata a sistemare gli scatoloni, nella nuova casa che ci aspettava a Los Angeles, e non aveva smesso un attimo di blaterare su quanto fosse fantastica.

Non era servito a nulla.

Avevo trascorso l'estate chiusa in camera mia, dopo il diploma.

Dopo aver superato le verifiche finali con voti discreti, avevo preferito non vedere nessuno e cercare di dimenticare quello che era successo al ballo di fine anno.

Non avevo più amici, perché oramai tutti i miei compagni di corso credevano che io avessi dato fuoco a Jim Lawrence.

Neppure il più disperato dei ragazzi avrebbe voluto farsi una storia con me.

Anche se a Los Angeles nessuno avrebbe mai saputo quella storia, non credevo che ricominciare d'accapo sarebbe stato così facile.

Come credevano mia madre e Joshua.

Osservai lei, che sul sedile del passeggero continuava a sfogliare il depliant del college in cui mi aveva iscritta: era eccitata come se dovesse frequentare lei le lezioni.

«Incredibile, il St. Gabriel ha perfino una piscina, ti rendi conto, Lilith?!»

Sospirai, perché per settimane, da quando avevamo compilato tutto via internet non aveva parlato d'altro. «Mamma, ti giuro che se non metti subito via quel depliant apro questa portiera e mi lancio sull'autostrada. Ancora non riesco a credere che tu mi abbia iscritta a un college cattolico.»

«Un po' di disciplina non può che farti bene» sorrise Joshua, guardandomi dallo specchietto retrovisore, mentre guidava con prudenza.

«Perché non dalle suore?» li provocai. «Non vorrete lasciarmi in un college frequentato anche da ragazzi, no?... Potrei cadere in preda alla lussuria o a qualche altro peccato mortale.»

Joshua rispose con una risata, mia madre scosse il capo.

Indossare un'uniforme era quanto di più orripilante potesse esistere, nel mio modello di vita; non potevo credere che volessero rincretinirmi il cervello, costringendomi a frequentare ragazzi snob.

«Dovresti ringraziarci, visto che abbiamo trovato casa a San Gabriel Valley, così potrai venirci a trovare ogni volta che lo vorrai» ribatté lei.

Il mio college, il St. Gabriel, era in quel distretto di Los Angeles. Avevo visto le foto nel sito web: un edificio gotico ma elegante, frequentato da stronzetti che si davano un mucchio di arie.

Almeno era quella l'idea che mi ero fatta, passando in rassegna le fotografie.

I grattacieli della città apparvero all'orizzonte e tornai ad appoggiare la fronte sul finestrino. L'aria era già più fresca, anche se quelle palme che cominciavo a vedere in lontananza davano l'idea di una perenne vacanza.

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