Mi era sempre piaciuto quell'odore. L'odore dei corpi sudati ed eccitati, sulle lenzuola. Aveva qualcosa di primordiale, di selvaggio.
L'amplesso tra due corpi è quanto di più naturale possa esistere, un orgasmo è la massima espressione del piacere che si può raggiungere.
Spalancai le gambe, invitando Zane a penetrarmi. Mi piaceva fare l'amore con lui, era qualcosa di prevedibile, che mi dava delle certezze.
La sua bocca scese sul mio seno, la sua lingua si fermò sul mio capezzolo destro, giocandoci, stimolandolo nel modo in cui sapeva fare meglio.
«Dottoressa Hope» disse ironico, per l'ennesima volta.
«Smettila di chiamarmi in questo modo, stupido» sogghignai piano. Mi stava facendo il solletico con le dita, sul fianco.
«Ho appena cominciato. Non crederai davvero che io voglia sprecare l'occasione di fare sapere al mondo quanto sia orgoglioso di te...»
Era stressante a volte. Dopo mio padre, era Zane che mi metteva pressione.
Mossi il mio corpo sotto il suo, la nostra pelle nuda odorava di sesso e di sudore. Per un attimo, il mio sguardo contemplò quell'appartamento in stile moderno.
La camera da letto del mio ragazzo. Di solito, passavamo lì le serate.
A lui piaceva scoparmi a casa sua, mi riteneva uno dei suoi tanti oggetti da collezione, come le encicliche storiche che aveva incorniciato alle pareti.
A parte essere uno psicologo, Zane era anche un appassionato di storia, aveva solo un anno più di me e già lavorava nell'ospedale di mio padre.
In quegli ultimi tempi, lo avevo visto molto eccitato: finalmente una settimana prima, mi ero laureata in psicologia alla Johns Hopkins University, come lui.
Ero sopravvissuta al mio tentato suicidio, quando avevo diciassette anni.
Il giorno dopo che mi ero tagliata i polsi, mi ero svegliata al pronto soccorso di un ospedale psichiatrico, la struttura privata gestita da mio padre e da alcuni suoi colleghi. Ma avevo comunque realizzato di essere morta, malgrado stessi continuando a vivere.
Era stato un puro caso che mia madre si fosse svegliata alle due del mattino quella notte, perché aveva mal di stomaco, e mi avesse trovata in bagno priva di sensi, e con i polsi tagliati.
Immersa in una pozza di sangue, che aveva oltrepassato lo spiraglio inferiore della porta, finendo nel corridoio.
Mi avevano subito portata all'ospedale di mio padre, Wilmot Nest, per evitare uno scandalo sociale. Era inaccettabile che l'unica figlia di James Hope, noto psichiatra di Baltimora, avesse tentato il suicidio.
Avevano ricucito la mia carne lacerata, ma per anni nessuno sarebbe stato in grado di guarire quello che si era distrutto. La mia anima.
Mi ero ritrovata in un sepolcro imbiancato, un ospedale psichiatrico. Ero stata stordita dai farmaci.
«Cristo, quanto sei bella» Zane mi accarezzò il seno, riportandomi al presente.
Ero rimasta solo sei settimane in quell'ospedale, poi mio padre aveva diagnosticato la mia completa guarigione, e mi avevano dimessa.
Non ero più tornata al liceo pubblico, dove avevo subìto quegli atti di bullismo: i miei genitori mi avevano iscritta in un liceo privato, dove avevo conosciuto Zane, che frequentava l'ultimo anno.
Il processo di rimozione è una benedizione.
La mente spinge nell'inconscio i ricordi che ci fanno stare male, affinché possiamo continuare a esistere. Non a vivere.
STAI LEGGENDO
DESTROYED (ESTRATTI)
Mystery / ThrillerPer colmare il vuoto che la attanaglia, la depressione adolescenziale causata dall'essere vittima di bullismo al liceo e dalla continua pressione dei genitori, Vanessa tenta il suicidio, a diciassette anni. Alcuni anni dopo, si laurea in psicologia...