DESTROYED 5' Capitolo "Occhi di ghiaccio"

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Quella mattina mi sentivo parecchio nervosa. Rimanevo seduta alla scrivania, nell'ufficio che mi avevano assegnato per svolgere le mie sedute di psicanalisi.

Invece del lettino da Freud che mi aspettavo, avevo trovato un divano di pelle marrone, con due poltrone laterali.

Il mio ufficio era freddo, come qualsiasi altra cosa a Wilmot Nest.

Forse, con l'andare del tempo, mi sarei abituata, forse mi sentivo a disagio perché avevo appena iniziato a lavorare, e avevo sulle spalle la responsabilità della salute mentale di parecchie persone.

Mouse, prima di tutti.

Lo stavo aspettando da dieci minuti oramai, per la nostra prima seduta.

Osservai dubbiosa il mio camice bianco da medico, sperando che non lo mettesse a disagio.

Ogni uniforme intimoriva, i simboli dell'autorità. Mouse era un ragazzino di quindici anni che aveva cercato di uccidere suo padre: sarei partita da lì, ma ancora non sapevo come diavolo avrei fatto.

Qualcuno finalmente bussò alla porta.

«Sì?» dissi forte.

Entrarono due inservienti. Dietro di loro c'era Mouse, con il suo quaderno sottobraccio, dal quale non si separava mai.

«Buongiorno» uno dei due inservienti mi salutò, con freddezza. «Ecco Pete Lenox. Il suo primo paziente.»

«Grazie» risposi, con un sorriso, che non venne ricambiato.

Quando i due inservienti se ne andarono, sapevo con certezza che sarebbero rimasti dietro quella porta, a controllare che tutto procedesse bene.

«Ciao, Mouse» mi rivolsi a quel ragazzino, che se ne stava immobile, al centro del mio studio, a testa bassa. «Siediti dove vuoi.»

Lo vidi tentennare, cercare con lo sguardo, e infine scegliere il divano.

Invece di sedermi alla scrivania, poggiai il sedere sul bordo, per essere più vicina a lui, per togliere la distanza tra medico e paziente.

«Non devi sentirti in imbarazzo» lo incoraggiai. «Qui possiamo parlare di tutto quello che vuoi.»

Si schiarì la voce, tamburellò con le dita sulla copertina del suo quaderno di appunti. «Sul serio?»

«Ma certo. Di cosa vuoi parlare?»

Lo vidi tentennare ancora una volta. Alzò i suoi occhioni scuri. «Di lei, dottoressa Hope.»

La sua richiesta mi spiazzò, anche se avevo immaginato fosse incuriosito. «Di me? Riguardo a cosa?»

Ancora alcuni lunghi attimi di riflessione. La sua voce divenne flebile. «Lei è la moglie del dottor Meyer?...»

Rimasi sbalordita. Forse si era informato sul mio conto, forse ci aveva visti nei corridoi, quando io e Zane ci scambiavamo qualche bacio di sfuggita.

«No, non sono sua moglie. Il dottor Meyer e io stiamo assieme fin da quando andavamo al liceo, ma non siamo sposati.»

Una scintilla di speranza si accese nei suoi occhi scuri. Anche stavolta prese tempo, per rispondere. Si grattò il ginocchio, tirando i jeans. «Quindi se non è ancora sposata con lui... può sposarsi con un altro, giusto?»

Per poco non mi misi a ridere. Sapevo di piacergli, ma Mouse era un adolescente problematico. Forse stava vedendo in me l'unica figura adulta capace di comprenderlo, e si era preso una infatuazione infantile.

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