Controllai per l'ennesima volta la mia stanza, asettica, fredda. Mi chiesi se non fosse diversa da quella dei pazienti.
Avrei provveduto ad arredarla, era troppo anonima. Un letto, un armadio dentro il quale avevo già sistemato tutta la mia roba.
Una grande scrivania, con un portapenne d'argento. C'era una sola finestra con le inferriate, che dava sul giardino dell'ospedale.
Osservai il prato, illuminato dai lampioni: ben curato, con molte aiuole fiorite, panchine fissate al terreno, tavoli rotondi.
Sembrava un'oasi di tranquillità. Mi avevano detto che i pazienti passeggiavano per quel giardino durante le ore di svago, sotto la stretta osservazione degli infermieri, ma io non c'ero mai stata durante le mie settimane di ricovero.
Provai ancora una volta a ricordare i mesi dopo il mio tentato suicidio, ma non ci riuscii.
Avevo rimosso ogni dolore, ogni pensiero che mi provocasse angoscia, ma a volte, soprattutto durante la notte, la mia ansia tornava, senza preavviso.
Sentii bussare alla porta, e mi voltai, mentre passeggiavo per la camera, in pigiama, perché non riuscivo a prendere sonno.
Era quasi mezzanotte, gli inservienti avevano spento le luci da ore oramai, e sapevo chi era venuto da me.
«Avanti» dissi forte.
Il sorriso di Zane illuminò la stanza. Entrò a piccoli passi e chiuse la porta dietro di sé. Indossava una delle sue camicie Armani, e jeans scuri.
«Le va un po' di compagnia, dottoressa Hope?...»
Gli buttai le braccia al collo e lo baciai. «Uhm, che furbacchione. So benissimo perché sei venuto.»
Senza il camice, Zane era simile a qualunque altro ventisettenne: il ragazzo biondo della porta accanto, proveniente da una buona famiglia, con una faccia pulita e un sorriso da primo della classe.
Lui era la mia certezza, sapevo che avrei sempre potuto contare su di lui, perché era riuscito a farmi uscire dal tunnel della depressione; aveva contribuito alla mia guarigione, adesso mi rimaneva accanto.
Non avrei mai dimenticato quello che aveva fatto per me, fin da quando eravamo al liceo. Era stato l'unico vero amico che avessi mai avuto, e dopo il mio ragazzo.
«Mi dica, dottor Meyer» sorrisi ironica, «che cosa ha intenzione di fare, per farmi rilassare?»
La sua lingua scivolò sul mio collo, le sue mani mi accarezzarono i fianchi, poi risalirono sul seno. Forse, fare l'amore con Zane avrebbe calmato le mie ansie, avrei smesso di preoccuparmi, perché l'indomani sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro.
«Dottoressa Hope» mormorò lui, «credo che lei abbia bisogno di sfogare la sua sfrenata libido. Per quanto mi riguarda, farò tutto quello che è in mio potere, per soddisfarla...»
Ci baciammo ancora.
Le mani di Zane mi aprirono la camicia del pigiama, sbottonandola. Percepii le sue dita farsi largo nei miei slip, fino a entrare dentro la mia intimità.
Non ero eccitata, non ero bagnata, e lui se ne accorse.
«C'è da lavorare parecchio, a quanto pare» sussurrò al mio orecchio.
«Mi curi, dottore» lo incitai. «Vediamo cosa sa fare...»
Senza aspettare, Zane mi prese in braccio e mi portò sul letto, facendomi sdraiare. Gli sbottonai la camicia, mentre era sopra di me.
STAI LEGGENDO
DESTROYED (ESTRATTI)
Mystery / ThrillerPer colmare il vuoto che la attanaglia, la depressione adolescenziale causata dall'essere vittima di bullismo al liceo e dalla continua pressione dei genitori, Vanessa tenta il suicidio, a diciassette anni. Alcuni anni dopo, si laurea in psicologia...