2. Allarme pinguini ad Hogwarts

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ROSE

In tutta la mia vita mi era capitato di finire in infermeria all'incirca un migliaio di volte. 

E per svariati motivi chiaramente, che non avevano soltanto me come protagonista, anzi! La sfiga sembrava volteggiare sulla testa di chiunque mi circondasse nel raggio di dieci kilometri, a tal punto da potersi sbizzarrire, e anche parecchio, con la fantasia.

Infatti molti dei danni inflitti dalla mia compagna fidata chiamata sfiga il più delle volte riguardavano anche i miei cugini, i quale erano di conseguenza soggetti a cadute dalla scopa, bolidi vari in piena faccia, ferite non gravi da parte delle bestiacce di Hagrid oppure, la più gettonata e frequente, la scarsa capacità di equilibrio della sottoscritta.

La prima volta che avevo visto l'infermeria di Hogwarts, mi era sembrata uno di quei reparti ospedalieri per anziani che mia madre Hermione mi aveva costretto a fare visita con lei all'età di cinque anni. Era stato durante il primo anno, quando ero caduta dalle scale procurandomi una bella cicatrice sulla fronte che primo, mi faceva sembrare quel quattrocchi di mio zio Harry e secondo, contribuì a rendermi la persona più goffa dell'intero globo.

Ora, al mio sesto anno, mi aspettavo di far visita a Madama Chips un po' meno spesso. Ma siccome non avevo libero arbitrio ne tanto meno il controllo sulla mia estrema goffaggine, ero più che sicura che la cosa fosse poco fattibile.

D'altronde il destino non sembrava essere della mia stessa opinione, se consideriamo il fatto che mi ritrovavo per l'ennesima volta tra le lenzuola del lettino dell'infermeria e per colpa di James Sirius Potter.

Mi ritrovavo dunque a pentirmi di aver alimentato così intensamente la mia passione per il Quidditch. Perché se non fosse stato per il dolorosissimo allenamento forzato sugli spalti delle tribune impartito da James, per il diluvio universale di qualche ora prima della catastrofe e se io stessa mi fossi presa la briga di fingermi malata per la quinta volta in un mese, molto probabilmente non sarei scivolata e la mia gamba destra non avrebbe avuto nessuna ripercussione fatale.

E invece no.

Evidentemente quel giorno avevo una voglia disperata di rassodarmi i glutei, sudando come un orangotango, e mandando così a puttane, di nuovo, il mio apparato scheletrico.

Trovandomi segregata all'interno delle mura dell'infermeria senza nulla di interessante da fare, borbottavo tra me e me sulla iella smisurata che avevo e su quanto il fato mi fosse decisamente avverso, considerando che un tipo cicciotto con la faccia fasciata da una benda aveva appena iniziato a russare come un orso in una locomotiva.

Iniziai a concentrarmi sul ticchettio dell'orologio che segnava esattamente le otto e un quarto del mattino. Avvertivo odore di sapone al limone e acqua ossigenata ovunque e il suono dei tacchi sul pavimento di Madama Chips che si ostinava a scarrozzare vassoi di pozioni nauseanti in giro per la stanza. 

I miei sensi avevano acquisito nuovamente le loro piene funzionalità. Mi tirai fin sul mento la trapunta del letto, stupendomi di quanto però le mie ossa risultassero ancora intorpidite. 

Le coperte, così come il cuscino, erano di un bianco candito quasi accecante e odoravano di pulito e della mia frustrazione. E lo stranissimo mazzo di fiori in cima al comodino rendeva il tutto decisamente tetro e angosciante. 

Mentre la mia faccia era in procinto di assumere un espressione di palese disgusto alla vista di quell'orribile natura morta contenuta in un vaso, una voce alquanto familiare mi riscosse dai miei pensieri molto poco positivi. 

"Ehi, stronzetta."

Sbattei le palpebre ripetutamente e, se la vista non mi ingannava, quello che avevo davanti agli occhi era un esemplare di Albus Severus Potter con un libro in mano. Di Trasfigurazione, per la precisione. 

CUPIDO DICE TI AMO -new generation hpDove le storie prendono vita. Scoprilo ora