Mia madre osservò con circospezione i miei occhi segnati da una spessa linea di eyeliner. Sapevo che stava trattenendo a fatica uno dei commenti che qualche anno prima mi avrebbe riservato.
Quando in terza superiore avevo iniziato a truccarmi e a vestirmi in maniera diversa, i litigi tra noi erano diventati all'ordine del giorno. E io in fondo la capivo: la sua figlioletta che non aveva mai dato peso al suo aspetto, d'improvviso aveva iniziato a digiunare per dimagrire e a indossare jeans attillati per risaltare le sue forme.Avevo sempre rinnegato la mia infanzia, o meglio, la prima parte della mia adolescenza: mi ricordavo come una ragazzina paffuta e un po' sfigata, che veniva presa in giro a scuola e che si tagliava i polsi per provare a sentire qualcosa senza neppure accorgersi della gravità di ciò che faceva.
La pubertà mi aveva colpita in ritardo rispetto alle altre ragazze che conoscevo e, quando era arrivata, avevo sentito il bisogno di metterla in mostra tutta insieme.
Le mie forme, finalmente nei punti giusti del mio corpo, cominciarono ad attirare i ragazzi, e io avevo finalmente iniziato a sentirmi accettata; volevo di più, sempre più occhi su di me, sempre più attenzioni, sempre più desiderio. Vivevo degli sguardi che mi rivolgevano, della bramosia con cui i ragazzi mi toccavano.
Speravo di colmare il vuoto che sentivo dentro in quel modo malato e malsano, ma non bastava, niente mi bastava mai.«Dove vai?» mi chiese mia madre, lanciando uno sguardo alla mia gonna un po' troppo corta per i suoi gusti.
«Da Nina» mentii. Al sentir pronunciare il suo nome, un sorriso le si spalancò sul viso.
«Salutamela! È tanto che non la vedo, perché non la inviti qui un giorno di questi?» evitai di alzare gli occhi al cielo. Persino mia madre era in completa adorazione quando si parlava di lei.
«Dovrà studiare, non credo possa...» dissi, mascherando il tono annoiato che avrei voluto invece utilizzare.
Alla fine annuì, non convinta, e io lasciai la cucina con dei passi veloci.
Raggiunsi l'auto di Harry a pochi metri dal portone di casa.
Mi rivolse un sorriso sghembo mentre salivo in auto, lanciando uno sguardo alle mie gambe scoperte.
«Bella gonna» commentò, portando gli occhi sulla strada prima di mettere in moto l'auto.
Roteai gli occhi al cielo. «Non perderai mai la verginità di questo passo, Harold».
«Mi scusi. Vorrebbe insegnarmi il suo metodo infallibile, professoressa Wood?»
«Per prima cosa, non fare commenti sui vestiti. Sembri un povero stilista fallito.» mi voltai verso di lui scuotendo la testa. Tenne lo sguardo fisso sulla strada.
«Seconda cosa: devi lavorare sullo sguardo. Sembra che tu stia per venire nei pantaloni solo per un po' di pelle».
Si voltò leggermente offeso, aggrottando le sopracciglia.
«E come dovrei guardarti?»
«Dovresti guardarla... come se sapessi già che sarà tua. Devi desiderarla, ma non guardarla come se ti si fosse presentata davanti Ariana Grande nuda. Ci vuole autocontrollo, devi sembrare sicuro di te»
Lo vidi annuire. «Poi? Dopo che l'ho guardata cosa faccio?».
«Continui a guardarla, ti avvicini. La sfiori, ma non ti avventi su di lei. Non devi sembrare disperato»
«Okay, ho capito» annuì convinto.
«Prova»
«Cosa?»
«Hai detto che hai capito, proviamo. Voglio vedere che sai fare»
Svoltò in una strada poco frequentata e accostò vicino al marciapiede.
Ruotò il capo verso di me, i suoi occhi percorsero ogni curva del mio corpo sul sedile. Si leccò le labbra mentre si soffermava sul mio seno, leggermente in mostra a causa della scollatura della mia maglietta.
«Sei molto bella...» sussurrò, la sua voce uscì profonda e graffiante. Un piccolo brivido mi attraversò la schiena, ma non glielo feci notare.
«Harold, sembri un maniaco.» asserii, non contenta del risultato ottenuto.
«Cosa ho fatto di male?» mi chiese offeso.
«Mi hai fissato le tette come se non ne avessi mai viste in vita tua!»
«Beh... non che ne abbia vista tante...» mormorò, grattandosi la nuca.
Sospirai, roteando gli occhi al cielo esasperata.
«Fammi vedere» disse.
«Cosa?»
«Come si fa. Fallo tu»
«Harold, sei tu che devi conquistare me, non sarò mai io a fare un passo verso di te.»
«Lo so ma... fingi di essere me, voglio capire»
Accettai, consapevole che quella fosse soltanto una messinscena.
Ruotai il busto verso di lui e intrappolai il suo sguardo nel mio.
Mi focalizzai sui suoi occhi, guardandoli come se fossero la cosa più bella che avessi mai visto. Probabilmente lo erano.
Il suo sguardo si incatenò al mio, socchiuse leggermente le labbra.Avvolsi una ciocca di capelli chiari attorno alle dita e mi leccai le labbra. Il suo sguardo cadde su di esse, attratto come una calamita.
Avvicinai il viso al suo, mentre la mia mano sinistra finì sulla sua coscia. La accarezzai delicatamente, in maniera quasi impercettibile.Portò una mano tra i miei capelli, sul retro della mia testa, tentando di avvicinarmi di più.
Lasciai che il mio viso raggiungesse il suo, con gli occhi fissi sui suoi, rivolti invece alle mie labbra.Quando fui a un millimetro dalla sua bocca, lo vidi chiudere gli occhi lentamente. Sorrisi vittoriosa, anche se non poteva vedermi.
«Non osare baciarmi, Harold» mormorai con voce bassa e leggermente roca.
Si sporse verso di me e io mi allontanai velocemente. Aprì gli occhi spaesato, ritrovandomi lontana di almeno due metri.
Mormorò qualcosa che non capii mentre portava gli occhi sulla strada imbarazzato.
Sorrisi. «Non eccitarti troppo» lo presi in giro.
Evitò di rispondere, girando la chiave nel quadro e facendo ripartire l'auto.
«Passiamo alle cose importanti» cambiai discorso, «Hai mai fatto un ditalino a una ragazza?»
«Se dico di no posso farne uno a te?»
Lo incenerii con lo sguardo, risparmiandogli un insulto imminente.
«L'ho fatto alla mia ex, comunque»
«Okay, mi aspettavo peggio» ammisi.
«Vuoi provare? Così vedi come me la cavo...»
«Non vincerai mai la scommessa di questo passo» lo informai, anche se sapevo che non avrei perso ugualmente.
Lo sentii sbuffare, ma intravidi un sorriso sulle sue labbra non troppo sottili.
Osservai il suo profilo: il naso elegante, leggermente all'insù, un lieve accenno di barba sulle guance, le ciglia lunghe che incorniciavano i suoi occhi, di un verde così profondo da sembrare irreale.
«Smetti di fissarmi» sorrise sghembo, rivoltandomi le mie stesse parole contro.
«Sei carino» scrollai le spalle, cercando di affondare lui nell'imbarazzo al posto mio. Riuscii nel mio intento: lo sentii sospirare, mentre si mordeva il labbro inferiore con le guance arrossate. Distolsi lo sguardo, puntandolo sulla strada che scorreva veloce.
«Dove andiamo?» mi chiese portando per un secondo gli occhi su di me.
Un sorrisetto malizioso si dipinse sul mio volto, «A fare pratica, Harold» ghignai.
***
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TASTELESS
Fanfiction"Centinaia di mani avevano vagato sul mio corpo con desiderio e avidità, eppure nessuna era mai riuscita a sfiorarmi l'anima come avevano fatto le sue." Emily Wood non crede nell'amore. Emily Wood crede nella libertà momentanea, nell'ebbrezza, nel...