Ricordi

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Quando passavo per quel bar, lo vedevo sempre. Era molto anziano e attirò subito la mia attenzione, sono fatto così. Spesso noto ciò che sembra irrilevante, quello che nessuno nota. Quel bar si trovava all'incrocio di un viale principale con una piccola stradina, che portava alla mia zona. Vorrei però parlare di quel signore che, ogni giorno, dalla mattina fino a sera, rimaneva lì seduto a fumare le sue sigarette. Le prime volte pensai che stesse aspettando degli amici che, oltre all'età, condividevano anche interessi, un po' come gli anziani che parlano di calcio di fronte ad un caffè per poi giocare a carte il resto della giornata. Ben presto però mi resi conto che non li aveva, gli amici, e che alla fine non aveva nessuno da aspettare.

Quando finivo il turno passavo in quel bar con dei colleghi e in quegli istanti infiniti l'osservavo, lo scrutavo cercando di capire cosa avesse di così tanto speciale da interessarmi. Tutto questo alla fine si riduceva in pochi momenti e il resto dei miei pensieri li attribuivo a mia moglie che mi aspettava a casa e a mia figlia. Ma capitò che, con i miei colleghi al tavolino, scorsi una lacrima fuggente dai suoi occhi, rigando quel viso algido di emozioni. E quella lacrime scese per l'intera guancia, arrivando alla mascella, per poi finire il suo tragico destino bagnando il pavimento. Nel tempo crebbe la mia attenzione e constatai che lui, ogni singolo giorno, piangeva. Ma il suo non era un pianto come tutti gli altri. Le sue lacrime scendevano senza che le fermasse, senza che venissero toccate.

Quando mi decisi di parlargli erano passate quattro settimane da quando lo vidi la prima volta. Gli chiesi se potevo sedermi e acconsentì accennando un sorriso. Non sapevo che dire, ma non mi fece pesare la mia mancanza di parole, e mi offrì qualcosa da bere. Ci presentammo e parlammo un po' del maltempo che in questi giorni stava rovinando le giornate. Dopodiché mi offrì una sigaretta e mi chiese il motivo per cui ero lì con lui. Dopo attimi silenziosi, gli spiegai che lo vedevo ogni giorno e che mi sarebbe piaciuto conoscere la sua storia.

Mi piace ascoltare le persone, sono come le parole mai inventate, come le prime pagine di un libro, quelle che non vengono lette. Siamo così vicini a chiunque, ma in realtà la distanza non è sinonimo di confidenza. Quante storie mai dette, mai sentite, vivono nei ricordi delle persone, negli abissi di ognuno di noi. Quanti cuori spezzati, quante occasioni perse, quante vite lasciate a metà, quante scelte sbagliate e quanta forza d'animo piegata dall'atrocità dei sentimenti. Mi piace ascoltare le persone, e sentivo che dovevo ascoltare la sua storia, perché quelle lacrime non le avevo mai viste. Volevo sapere.

"Allora ti aspetto ogni giorno alle 19:15. Ti racconterò un ricordo in un quarto d'ora, dopodiché torna a casa che hai altre persone a cui pensare."

Gli dissi che se era l'unico modo per conoscerlo accettavo volentieri.

Il giorno successivo, alle 19:15, fui lì ad ascoltarlo e ogni giorno fu speciale. Per evitare confusioni darò uniformità ai ricordi, invece di spezzarli come lui fece.

"La mia vita non è stata così speciale sai, eppure mi capita di pensarci e di vederci troppo. Un troppo che forse non è mai esistito e che la mente crea. Ah, dannata mente, se solo avessi avuto la forza di fermarla. È stata l'avversario che mai sono riuscito a battere, mai a controllare. Ho costruito così tanti muri con i 'se' e con i 'ma', e solo ora capisco che sono quei muri ad avermi reso debole. Dove la vita chiedeva la mia presenza non ci sono mai stato e forse sono quelli i momenti da vivere davvero. Ma non ne sono stato mai capace. Ci sono momenti troppo buii nella vita e pretendiamo che questa ce li restituisca con un sole accecante. E invece nell'oscurità la vita ci dà una lampadina, ridendoci in faccia e prendendoci a calci."

"Nacqui in un paesino di cui non ricordo bene il nome, 86 anni fa. Quanto tempo è passato, eppure mi sembra ieri il giorno in cui caddi dalla bicicletta. La mia casa era circondata da un giardino mal curato e, quella bicicletta costruita con pezzi arrugginiti si distrusse una volta arrivata alla siepe. Oppure ricordo quando mio padre riusciva a vendere i frutti del suo raccolto. Ciò capitava una volta ogni due, tre settimane, ma quando capitava mangiavamo carne come se non bastasse. Sai figliolo, che la carne era un tabù tanto tempo fa?"

Accennai un sì con la testa, come se non volessi interromperlo con le mie inutili parole.

"Ah! Sto perdendo tempo in chiacchiere, però a volte ci penso. Penso all'odore dell'orto di mio padre, al profumo di basilico che girovagava per la casa. Penso che quel periodo abbia ciò che mi manca di più. Ma il tempo è così, non lascia scampo a nessuno."

E sorrise. Ma fu un sorriso davvero strano. La mia attenzione cadde su quegli occhi così chiari, che nel sorriso sembravano ancora più piccoli di quanto già lo fossero.

Con la voce quasi spezzata, come un'auto che fatica a partire in una salita ripida, chiesi:"E cosa Le manca?"

Mi scrutò con compassione, e mi mostrò l'orologio d'epoca che aveva al polso, come per dire 'è ora che tu vada'.

Così tornai il giorno dopo, impaziente di conoscere la risposta a quella domanda forse così pungente. Ma non rispose ed imperterrito continuò la sua storia. Mi raccontò che all'età di 16 anni, ovvero nel 1940, dovette partire in guerra. Mi disse che in guerra non tutto è mai scontato, non tutto è mai reale: "Realizzi che potresti morire da un momento all'altro, lasciando in questo mondo proficuo di ignoranza un bel niente."

Rimasi colpito però da una sua frase: "Non è la guerra che ti rende uomo, non lo è mai stata".

Fortunatamente io nacqui nell'82 e la guerra non la vidi mai con i miei occhi.

Nei giorni a seguire mi parlò di come si fosse salvato dalla guerra, di quando tornò a casa scoprendo che sua madre stava morendo di tubercolosi. Mi parlò del suo primo amore, che si rivelò anche l'ultimo. Mi parlò dei suoi figli ormai all'estero, della sua famiglia crollata pezzo per pezzo. Mi parlò di sua moglie, una donna intelligente che amava leggere.

"Mia moglie morì nel 1986, per via di un malore. Non riuscii mai a realizzare che il mio letto avrebbe avuto da quel momento in poi un lato vuoto, che non avrei più preparato la cena per lei. Mi diede di tutto e non potrò mai dimenticarla; sembra strano ma la rivedo negli occhi di mio figlio, nei suoi atteggiamenti e a volte anche paure. Adesso lui lavora in Francia e raramente torna qui per vedermi, ma non lo biasimo. Cosa può dargli un vecchio come me?"

"Un po' d'amore" dissi senza pensare.

"Figliolo, non pensare che l'amore sia misurabile con la distanza, e non pensare che io non gli voglia bene. Non credere a chi ti dice che l'amore finisca con la distanza, perché se è così non è mai stato amore. L'amore è il più temibile avversario del tempo. Nonostante il suo scorrere, esso ci sarà sempre, soprattutto nei piccoli gesti. Se ami qualcuno devi lasciarlo andare, devi lasciarlo vivere. Ricorda sempre che chi ti ama cercherà sempre di averti nella sua vita, ovunque tu sia. Perciò se ami una persona, lasciala vivere".

Vidi che una lacrima stava scorrendo lungo la sua guancia. Dissi:

"Sa', ammiro la sua sensibilità. Si commuove spesso, eppure non riesco mai a capire se quelle lacrime sono di dolore o piacere."

Mi fulminò con gli occhi e, accesosi un'altra sigaretta, mi disse:

"Ragazzo, le lacrime che vedi in realtà sono ricordi. Queste contengono sensazioni, emozioni, sentimenti, odori che non sento da tempo. E come i ricordi attraversano la mia mente, attraversano anche il mio volto. Ogni lacrima è un ricordo diverso e non li tocco mai, non asciugo nemmeno il mio viso. Sono l'unica cosa preziosa che mi è rimasta. Perché è questo un ricordo: la cosa più preziosa che ognuno di noi ha. E ti basterà così poco riviverlo, come un profumo."

Quando tornai a casa andai nella camera di mia figlia. Stava dormendo. Le rimboccai le coperte e la baciai in fronte. Andai nel salotto e vidi mia moglie dormire sul divano. Senza svegliarla, mi sdraiai accanto a lei e l'abbracciai.

Quanto mi mancava il suo profumo.

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