Amore

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Per chi non ci credesse, il paradiso esiste ed io ci sono stato. La mia storia è molto semplice: ho vissuto nella più grande normalità, ma un malanno mi portò via dalla vita terrena a soli 21 anni. Sarò sincero, non voglio provocarvi compassione, ma dirvi la verità. Nella mia breve vita non ho avuto la possibilità di fare molto, soprattutto perché non riuscii mai a liberarmi delle regole familiari. Uscivo poco e passavo molto tempo a studiare. Il mio sogno era diventare un avvocato, come papà d'altronde. Ma, nel letto di morte, i rimpianti presero il sopravvento. Di questi, uno in particolare fu il motivo per cui, al mio ultimo respiro, una lacrima attraversò la mia guancia: l'amore. Proprio così, in questi 21 anni non sono mai stato innamorato, non ho mai lottato per qualcuno che volevo a fianco. Lo ammetto, ho vissuto un po' freddamente. In compenso però, avevo molti amici. Anche se sono convinto che, dopo questi due anni dalla mia morte, si siano dimenticati di me. Avevo infatti l'impressione che stessero con me solo perché ero il buffone della situazione, capace di farli ridere sempre. Ma non voglio dilungarmi su questo.

Quando morii, mi risvegliai in paradiso. Non ho il permesso di dirvi come sia, ma posso solo dirvi che un paio d'ali ergevano dalla mia schiena. Inizialmente non compresi molto la situazione, infatti lo stupore era enorme. Passato un po' di tempo la mia seconda vita era bellissima, ed in più avevo un paio d'ali! Naturalmente, ogni angelo ha un proprio compito ed il mio consisteva nel selezionare coloro che avrebbero avuto la possibilità di essere fortunati come me. Per essere più preciso, scendevo sulla terra e studiavo le persone; se queste vivevano secondo determinati criteri e principi, allora avrebbero vissuto eternamente come angeli. Nessun essere umano poteva vedermi, perciò potevo benissimo osservare il suo intero comportamento e le sue azioni. Come zona di studio mi venne affidata Londra e le città circostanti. Mi sentivo felice e soprattutto puro. Avevo la sensazione di trovarmi nel posto giusto, al momento giusto.

Dopo due anni di continue selezioni, però, una persona catturò il mio interesse. Aveva 20 anni e si chiamava Grace. Rimasi stupefatto per il suo modo di affrontare la vita. All'età di 12 anni perse la madre a causa di una grave malattia, e da lì tutto il resto andò a rotoli. Il padre, dopo la morte della moglie, divenne alcolizzato e quasi dimenticò che la persona con cui condivideva la casa fosse sua figlia. Ma, nonostante tutto, si va avanti, e così fece Grace. All'età di 17 anni dovette abbandonare gli studi per andare a lavorare. Il padre, infatti, si era presentato ubriaco a lavoro, e venne licenziato il giorno stesso. Ma Grace non perse mai il sorriso, né la speranza di una vita migliore. Il lavoro le permise di maturare in fretta e di dare una mano in quella casa ormai triste. Dopo qualche anno il padre entrò in depressione e, sotto richiesta dei medici, venne spedito nell'ospedale psichiatrico della città. Grace, ormai maggiorenne, divenne sola. Fu costretta a vendere la casa per affittarne una più vicina al locale in cui lavorava, ed il tempo libero lo trascorreva dormendo o leggendo un libro. La sua forza d'animo, però, non fu vana. Era riuscita a farsi delle amiche, e la sua vita stava prendendo una piega quasi gradevole: questa era ormai la sua normalità, e le andava bene così.

Non riuscivo a non ammirarla e, giorno dopo giorno, la osservavo. Infatti stavo sopra un piccolo edificio da cui potevo vedere tutti i suoi spostamenti e sentire la sua voce quando dialogava con qualcuno. Ma, dopo quasi un mese, venni rimproverato perché non davo più importanza al mio lavoro. Fui allora costretto a vederla di sfuggita, a volte facendo anche il percorso più lungo. L'importante era vederla.

Nei giorni a seguire, un forte desiderio mi entrò in testa, ma era impossibile da compiere. Meno ci pensavo, però, più questo si presentava nella mia mente mandandola in confusione. Volevo parlarle, volevo che lei sapesse della mia esistenza, volevo che lei provasse ciò che provavo io. Ma un angelo non può essere visto o sentito nella realtà umana. Decisi allora di trovare un altro modo. Tornato dal lavoro, mi misi a cercare la madre di Grace. Sapevo che si trovava anche lei in paradiso e l'unica soluzione plausibile era cercarla e parlarle.

Riuscii a trovarla dopo qualche giorno, presentandomi e raccontando tutto. Le dissi che volevo conoscere sua figlia a qualsiasi costo, volevo parlarle e volevo amarla. La madre era una persona graziosa; una persona che, quando ti guarda, ti legge dentro. Comprese al volo il mio desiderio e, con sguardo di rammarico, mi spiegò che non c'era modo di comunicare con lei. Ma non lo accettai. Sapevo di essere insistente, ma poco mi importava. Volevo solamente stare lì con Grace e per questo stavo iniziando ad odiare quel paradiso che molti sperano di raggiungere. Quando la mia interlocutrice capii questo, mi mise una mano sulla spalla e disse che in effetti un modo c'era. Infatti, l'unica grande differenza fra un angelo ed un essere umano sono le ali; mi spiegò che, se non avessi avuto le ali, avrei avuto modo di tornare lì fra i vivi e poterla incontrare. Ma il cielo dà, il cielo toglie. Il prezzo da pagare non era indifferente: chiunque si fosse strappato le ali sarebbe stato rinnegato per sempre dal cielo stesso. Le piume strappate non sarebbero più tornate al proprio posto. Rimasi pietrificato. Non sapevo che il sacrificio sarebbe stato irreversibile. Dopo un istante di silenzio abbassò gli occhi e mi consigliò di non fare scelte stupide. Lei stessa, che era la madre, non voleva tornare. Ogni cosa, ogni persona ha un proprio corso e destabilizzarlo avrebbe arrecato danni a chiunque, anche a Grace. Quando ci salutammo mi diede un bacio sulla guancia. Sapeva che il mio amore era vero, ma era giusto che niente fosse cambiato.

Quella conversazione mi convinse, sebbene per poco, a placare il mio desiderio. Eppure, durante il mio tragitto, la cercavo ancora tra la gente. Cercavo la sua risata, i suoi occhi, nelle persone che studiavo. Ma quando tornavo nel mondo a cui appartenevo sentivo un vuoto dentro di me. E, purtroppo, sapevo che non sarebbe mai stato colmato.

Il tempo fu mio nemico e, col passare di ogni giorno, qualcosa mi consumava dentro. Toccai il fondo in un giorno di sole. Mi sedetti sull'edificio dove tutto iniziò ed iniziai a piangere. Piansi per ore. Non ero abbastanza forte per fare una scelta e l'attesa mi logorava. Finché, tra le lacrime, la vidi passare col suo solito sorriso. Persi il controllo di me stesso: con forza strappai la prima piuma, quella che mi avrebbe condannato per sempre. L'ossessione che tenevo dentro, in quel momento, esplose e continuai a strappare quelle piume lucenti. Per ogni piuma che perdevo, sentivo che dentro di me qualcosa cambiava. Sentivo di non essere più puro.

Dopo qualche ora mi risvegliai nel terrazzo di quell'edificio. Inizialmente pensai fosse stato solo un sogno, ma, una volta alzatomi, vidi tutte le piume. Il sangue su di esse mi fece capire che tutto era cambiato, che avevo fatto la mia scelta. Con la mano cercai gli squarci nella schiena, e sfiorai le enormi ferite che non si sarebbero rimuginate mai. In quell'istante vidi Grace per strada. Stava tornando a casa e non vedevo l'ora di parlarle.

Quando la vidi cercai in tutti modi una scusa per fermarla. Sapevo che non mi avrebbe mai creduto se le avessi detto la verità. Nonostante ciò, decisi di essere me stesso. La fermai e la mia gentilezza venne ricambiata da un sorriso che mi tolse il fiato. Finalmente ero lì, con lei. Mi presentai e, un po' imbarazzato, la invitai a fermarsi in qualche bar nelle vicinanze. Ma lei rifiutò.

Non sapevo che fare, ma non mi diedi per vinto. E così, da quel giorno, la aspetto nella panchina dove la fermai la prima volta.

Il cielo esisterà anche, ma so che ognuno ha il proprio paradiso, giusto o sbagliato che sia.

Spero solo di raggiungerlo.

L'angelo caduto.

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