11.Presto.

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"Dottor Ferrari, io..." Mia madre prende la mano di mio padre fra le sue e riprende a parlare.
"Noi," si corregge, " siamo pronti, le vorremmo chiedere solo un altro giorno."
"Va bene." Sospira e si massaggia la fronte. "Prendo le carte per la procedura, venite con me."

I miei genitori seguono il medico verso quello che credo sia il suo ufficio, e, nel frattempo, Marco sposta la sedia accanto al mio letto, si siede e prende la mia mano.

"Avrei voluto portarti a Londra quest'estate, avevo trovato due biglietti low cost, saremmo partiti, avremmo alloggiato 247london hostel e proprio in cima al London Eye ti avrei confessato il mio amore. Ma è andata così, molto diversamente." Trattiene le lacrime e guarda il soffitto. "Ma va bene, va bene."
Strizza gli occhi e una minuscola lacrima argentata gli riga il viso. "Domani finirà tutto, tutto questo: l'ospedale, l'attesa, non ti vedrò più così... Forse non ti vedrò più e basta." Inizia a piagere, la sua voce viene strozzata a tratti dal pianto. "Io vado... ci vediamo domani, spero. Ti amo."

Non vedo l'ora che tutto questo finisca, domani... un solo giorno e questa lotta finirà.

Le luci del tramonto penetrano dalla finestra, irradiano la stanza di un colore rossatro, è l'unica volta che vedo un colore qui ed è triste, è triste che io veda questo posto in questo modo adesso, l'ultima sera.

Per la prima volta in tre mesi, mi avvicino al mio corpo, mi sdraio accanto ad esso e lo guardo, sembro così serena vista da qui...

So che domani morirò, non ci sarà nessun miracolo, non mi risveglierò.

Presto questa tortura a cui ho costretto tutte queste persone, finirà.
Voglio che ricomincino, voglio che almeno loro possano vivere serenamente.

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