Capitolo III "Tempo"

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Gli echi di un antica battaglia risuonarono, il campo di battaglia era un'insieme di fango,cadaveri e sangue creando così un densò color castagno che sembrava che inghiottisse tutto, il campo era pieno di uomini, un turbinio di persone tutte raggruppate che si colpivano con quello che avevano, sia con armi ma c'è chi combatteva a mani nude, tutti combattevano senza pietà e con spietatezza, Aeral l'aveva persa di vista dall'inizio della battaglia e si girò per cercarla e vide un uomo, senza volto come tutti gli altri come se la mente stessa si rifiutasse di vedere le emozioni stampate nelle loro espressioni, che stava combattendo quando un colpo di spada gli colpi il collo e vide la testa che piano piano reclinava verso di lui, ma non cadde al suolo come un albero caduto che mantiene ancora qualche radice attaccata a terra, dopo aver visto questo senti un cavallo nitrire ma non era un verso normale ma più un lamento come se fosse un grido disperato, si girò e lo vide a terra continuamente schiacciato dagli uomini che nel mentre combattevano, alcuni ormai morti cadevamo su esso, fu lì che guardò il cielo e vide delle nuvole nere che lo occupavano nella sua interezza e poi sparivano e lì si rese conto che non erano nuvole ma bensì frecce scoccate da entrambi le parti. Aeral si sentì schiacciato l'ammasso di carne vivente e non lo stava nauseando, ma non aveva tempo di pensare perché un uomo vestito di un'armatura pesante, per cui penso Aeral che fosse un comandante, che doveva essere argentata ma ormai era di un denso color rosso cerco di colpirlo con un fendente, Aeral lo schivo e calo dall'alto la spada con un colpo di tondo sulla faccia che l'elmo ricopriva interamente, frastornato il nemico indietreggio, fu allora che Aeral attacco facendolo cadere a terra, l'uomo ancora frastornato e immerso nel fango non riuscì a rialzarsi e lì Aeral infilzo la testa passando dalla visiera dell'ermo, l'uomo emesso un gemito rimase fermo immobile. Aeral decise di farsi strada nel campo di battaglia, ogni nemico che incontrava sulla strada lo abbatteva finché da lontano non vide un uomo, era vestito di un'armatura nera come la notte più oscura che lo ricopriva tutto a parte il viso che era di un color che la luna fa al plenilunio, per un secondo penso che fosse morto ma poi un dettaglio lo colse ovvero un'enorme drago dorato sulla corazza e capì subito chi fosse, una tempesta di ira lo colse e penso appena prima di partire alla carica contro di lui che avrebbe posto fine a tutto questo una volta per tutte. Immediatamente un colpo lo sveglio, apri gli occhi e vide il Lord comandante che disse"Maestà, è l'alba, dobbiamo rimetterci in cammino" detto questo si allontanò andando a sellare i cavalli, Aeral si alzò ancora frastornato e non tanto per essersi appena svegliato ma per il sogno e disse:"È da anni che non sogno quella battaglia" detto questo si avviò verso il suo cavallo e messa in ordine le ultime cose partirono, era passata ormai una settimana da quando si erano messi in marcia, ormai erano fuori dalla foresta e seguendo l'antica strada stavamo attraverso campi coltivati e piccoli Villaggi,fermandosi solo per brevi soste, le persone che incontravano le salutavano ma sicuramente non si erano resi conto di chi stessero salutando visto che al di fuori era un gruppo di uomini di cui la maggior parte indossava un'armatura recate il simbolo imperiale e uno era vestito da contadino con solo un'arma alla sua cintura ma il fatto che nessuno li avessi riconosciuti era parte del piano visto che l'operazione era stata messa in atto in gran segreto. Secondo i loro calcoli la capitale l'avrebbero raggiunta nel pomeriggio, mentre cavalcavano Roman parlo e disse:"Maestà, una domanda, quando mi è stato dato l'incarico di riportarla nella capitale non avrei mai immaginato che lei si fosse stabilito a una tale distanza dalla città" Aeral rispose:"È perché, lord comandante, che quella è la mia terra natale, io sono nato lì. Le sembrerà una zona spoglia ricca solo di foreste e rovine ma un tempo era abitata, naturalmente non come una grande città ma abitata o almeno finché l'esercito del Tiranno non arrivò, mise a ferro e fuoco ogni villaggio che incontrasse, ogni uomo in grado di combattere fu ucciso, le donne stuprate e abbandonate lì moribonde, i bambini uccisi davanti alle loro madri e i più fortunati era presi come schiavi, fu un vero e proprio massacro e ora quelle terre non sono nient'altro che lande desolate ma rimangono comunque la mia casa". Mentre diceva questo le sue parole erano dense di tristezza e dopo di esse rimase silente, forse ancora una volta immerso nei ricordi, il resto del viaggio come molte volte accadeva rimase in silenzio. Dopo mezza giornata di cavalcata da lontano scorsero le mura colossali della capitale, alte 88 spanne e bianche come il latte, con una serie di bastioni alti più delle mura di ben 20 spanne, "La capitale" disse Roman "Non pensavo di rivederla" disse l'eroe. Così il gruppo si diresse verso la porta principale per entrare in città. Nel mentre un uomo stava bevendo da un calice decorata finemente un vino pregiato e in quel momento mentre guardava la città dall'alto disse:"Finalmente è giunto il giorno" nel mentre un ghigno uscì dalla sua bocca.

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