Prologo

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Non so descrivere con precisione ciò che provai quando la figura di Ale si scontrò con il mio sguardo per la prima volta. O forse sì, ma fu tutto talmente elettrico e rapido che lo paragonai a un fulmine caduto dritto sulla mia testa. Ricordo ogni dettaglio di quell'istante.

Era il 25 settembre del 2015. Ero in classe, tranquilla, china e storta sulla sedia. Aspettavo il professore che avrebbe dovuto tenere la lezione del venerdì. Classico cambio d'ora, il caos e il viavai dei ragazzi in entrata e in uscita dall'aula, fin quando non si spalancò la porta ed entrò lei, lasciando tutti esterrefatti.

Incalzai io una conversazione, la solita polemica.

«Perché non c'è il professor Morino?»

Glielo chiesi quasi con arroganza, stizzita a causa del cambio di docente. Conoscevo Morino dalla prima superiore, diamine! Cambiare l'insegnante in quinta non sarebbe stato il gesto più giusto nei nostri confronti.

«Perché ci sono io!» rispose lei con una scrollata di spalle.

Quella fu la prima volta in cui sentii la sua voce. Inutile dire che feci pace con la sua presenza molto presto. Diventò una costante nella mia vita da studentessa, una ricerca continua del dettaglio più minuto per attirare la sua attenzione. Con Morino ci avevo legato parecchio, ma di Ale m'innamorai. Eccome, se me ne innamorai.

Era banalmente bella, come tante, ma di Ale mi aveva rapita ogni particolare, ogni pagina che voltava per provare a inculcare nelle nostre menti quelle maledette nozioni di chimica. Il suo metro e settantacinque le calzava a pennello, donandole una finezza fuori dagli schemi e un'apparente sicurezza di sé per via della ritta postura. Lei così magra, esile, snella. Potevo respirare i colori che ogni volta indossava. Non l'avrei mai vista vestita uguale per due volte di fila. Il modo in cui la guardavo o le parlavo non lasciava dubbi nemmeno tra le persone che ci osservavano dall'esterno. I miei occhi da innamorata non avevano barriere, tanto meno quella più alta in assoluto, creata dalla spaventosa differenza d'età tra di noi: ventinove anni.

In tutto questo, che può sembrare non altro che un tipico amore platonico adolescenziale, il vero punto interrogativo era lei.

Mi prese in simpatia sin da subito, ma al Fermi non era una novità. Frequentare una scuola situata in una delle periferie più dimenticate di Torino metteva da sempre a dura prova il temperamento degli studenti, che tendevano a essere piuttosto vivaci e dall'animo ribelle. Forse era questo il motivo per cui i professori della mia scuola parevano piuttosto "umani". Non avevo mai avuto chissà quali difficoltà a parlare ad alcuni di loro senza preoccuparmi della forma da utilizzare: erano loro stessi che ci imploravano di vederli come alleati e non come nemici.

Passai poi a incontrare Ale sull'autobus. Prima per pura coincidenza, poi programmandolo, perché durante il tragitto le parlavo del più e del meno e lei mostrava interesse per ciò che le raccontavo. Iniziai quindi a partire di casa prima per beccare la coincidenza con il pullman che lei prendeva alle 7.37 del mattino.

Un appuntamento fisso: autobus, occhiata veloce. Se non c'era, scendevo e aspettavo quello successivo. Se era sopra, la raggiungevo e con la mia solita faccia da schiaffi le gridavo «Salve, prof!» con un'enfasi fin troppo accentuata.

Poi la osservavo da capo a piedi. Mi concentravo sui capelli, lunghi e mossi tendenti al riccio che lasciava sciolti o raccoglieva in una coda; incontravo gli occhi color nocciola, le labbra e i denti bianchissimi. Eppure il caffè lo beveva!

La osservavo con così tanta insistenza che ero arrivata a capire in quali giorni si sarebbe presentata a scuola con i capelli sciolti e in quali invece li avrebbe raccolti.

Ale spesso chiudeva gli occhi quando mi sorrideva, abbassando lo sguardo, come a vergognarsi di provare sollievo e tranquillità davanti a una studentessa così giovane.

Mi ero abituata alla sua presenza come un gatto si abitua alle coccole del padrone. L'andazzo era sempre lo stesso: prima il pullman, poi battute, risate a occhi socchiusi, sguardi imbarazzati, discesa, strada insieme, entrata a scuola e poi saluti.

Ci si becca!

D'altro canto, quegli occhi e quella voce a volte erano pericolosi.

Riusciva a essere calda, bollente e allo stesso tempo fredda, ghiacciata, ibernante. Cominciai a chiamarla amichevolmente ghiacciolina.

Mi ero resa conto che sarebbe diventata presto la mia dipendenza quando avevo cominciato a sentire pugni nello stomaco se un giorno aveva la luna storta e decideva di evitarmi o di non scherzare con me.

I miei sentimenti per Ale non erano così semplici da gestire. Cominciai a montarmi la testa perché ero l'unica studentessa che chiamava per nome. Poi iniziò ad avere preferenze palesi.

La scena che ricordo con più gusto recitava più o meno così:

«Spegni il cellulare, Linda, per favore.»

«Ma proprio spento spento?» le avevo risposto ridendo, mostrandole e indicandole lo schermo nero.

«Sì, proprio spento spento» aveva risposto lei a testa bassa, accennando un sorriso.

Con gli altri non c'era verso. Era fredda, distaccata. Una lama lacerante. Poco dopo aveva scoperto un ragazzo davanti a me intento a mandare messaggi durante la lezione e gli aveva gridato di portarle immediatamente il cellulare. Quello si era alzato senza battere ciglio, aveva poggiato il cellulare sulla cattedra e si era girato di scatto verso di me fulminandomi con lo sguardo perché non ero stata penalizzata come lui.

Ci perdevo la testa ogni volta e godevo ad assaporare quegli attimi di invidia che la gente provava nei miei confronti. Era sublime.

Così decisi di lanciarmi molto più a fondo nella fossa del leone e di prendere ancora più confidenza con Ale. Non avevo idea dei vantaggi e degli svantaggi che avrebbe portato: di sicuro avrebbe contribuito a rafforzare il pensiero comune dei miei coetanei a proposito della mia raccomandazione o presunto "lecchinaggio". Ma poco importava. Incominciai a seguirla anche a scuola e a cercare ogni momento libero per parlare con lei.

Mi bastavano anche due minuti al giorno. Avrei solo voluto farmi conoscere per la Linda che ero e non era importante se ai suoi occhi risultassi ridicola.

Mi accorsi sin da subito che aveva notato qualcosa di insolito nel mio comportamento, qualcosa che, con molta probabilità, le faceva chiedere come mai un'alunna mostrasse così tanto interesse nei confronti di un'insegnante. Insomma, di solito i professori vengono odiati dagli alunni; devono subire gli insulti, le prese in giro. Le donne, poi, come sempre in questa vita, si prendevano della poco di buono per qualsiasi passo falso. Bastava un voto insufficiente sul registro, una sgridata improvvisa, et voilà: fiumi di insulti sessisti verso di loro e verso le loro famiglie.

Ale, invece, avrebbe capito presto che non avreimai osato farle del male.

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