Incomprensibile

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Mi aveva dato la sua e-mail, promettendomi che per qualsiasi difficoltà nella sua materia avrei potuto scriverle e chiederle chiarimenti. Lo avevo fatto una o due volte per farmi passare gli appunti di chimica, e mi ero stupita per quanto fosse veloce a rispondere. Nemmeno due ore dopo dall'uscita da scuola avevo già tutti gli appunti ordinati. Mi mandava addirittura le emoticon. Lei, che ripudiava ogni linguaggio da social network e che non osava parlare di sé.

Alfio e Irene continuavano a suggerirmi di approfittare del fatto che possedessi la sua e-mail per scriverle qualcosa di diverso dalla richiesta degli appunti, ma ogni volta ribadivo che avrei preferito parlarle dal vivo e piuttosto essere freddata da lei, se un giorno non aveva voglia di chiacchierare con me, invece che scriverle via computer e non avere la possibilità di guardarla in volto.

Amavo le espressioni che assumeva a scuola. Quando non era d'accordo su qualcosa o trovava stupida o senza significato qualsiasi frase detta da un alunno, ruotava gli occhi, alzava un sopracciglio e scuoteva la testa come a dire: "Cosa caspita salta in mente a questo squilibrato?".

Ciò accadeva specialmente durante i compiti in classe. Ale rischiava il linciaggio collettivo per la capacità di gelare con uno sguardo chiunque non le andasse a genio, oppure a causa della sua temibile fama di professoressa dai voti tirati.

«Insomma, ragazzi, non è possibile che ci siano ancora tutte queste insufficienze.» Questo era il tono pacato, con quell'insomma così accentuato che pronunciava spesso, quando qualcosa non le andava bene; ma quando era la versione arrabbiata a prendere il sopravvento...

«Adesso basta, mi avete veramente stancato. Siete impossibili. Abbiamo spostato questa maledetta verifica di tre settimane. Non stiamo parlando di due giorni, ma ben ventuno, e nonostante questo continuate a fregarvene altamente!»

Ah, la versione arrabbiata...

Era successo proprio così dopo l'ultimo compito di chimica.

«Quindici assenti! State scherzando? Ah, ma io parto da otto, non me ne frega niente. Non volete capire? Prendo provvedimenti, non c'è problema.»

Le sue grida facevano gelare il sangue. Non volava una mosca. Avevo imparato subito che quando era arrabbiata era meglio starle a più di dieci metri di distanza.

«Tranne Linda. Mi ha avvertita un mese prima che non ci sarebbe stata. Con lei parto da dieci» e mi indicò.

Fibrillazione ventricolare a parte – che naturalmente si sarebbe presentata ogni qualvolta non avrei rispettato la famosa distanza di più di dieci metri – mi risultò impossibile non dirle una parola.

Con un pizzico di paura addosso, la raggiunsi alla cattedra approfittando del caos generale che si era creato a causa delle discussioni riguardanti i voti, e le sussurrai un flebile: «Grazie.»

«Per cosa?»

«Per non avermi penalizzata.»

Mi accorsi che indugiava e lasciava lo sguardo altrove. Non voleva incrociare il mio. Era nervosa e furono attimi che durarono ore. Sentii solo che mi sfiorava le dita con le sue e non seppi mai se lo fece apposta o meno. Il contatto della nostra pelle per pochi millesimi di secondo bastò a farmi tentennare, prima che appoggiasse la mano dall'altra parte.

«Figurati. Se mi avvertite prima non posso penalizzare.»

Quasi non sentii la sua risposta.

Avevo solo voglia di sfiorarla di nuovo e più passavano i giorni, più tra me e Ale cominciava a crearsi quello che vedevo come un rapporto ambiguo: troppo, per essere solo una sua alunna con spiccate capacità.

Mi domandavo quindi se avesse ragione Samantha, che mi metteva in guardia, oppure Irene, che proponeva di lasciarmi andare, o nel peggiore dei casi Ambra, che mi avrebbe fatta tornare sulla Terra e mi avrebbe sicuramente detto: «No, per favore. I tuoi sono solo stupidissimi film mentali.» 


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