Condividere il dolore, mano nella mano

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Victoria Bonanno fu amica e amante, e necessita di un pezzo in più rispetto agli altri.

Io e lei ci tenevamo per mano e condividevamo il dolore assieme.

Da quando ho conosciuto Victoria, ho provato la sensazione di aprirmi con chi vive ogni giorno la stessa mia realtà. Quando si condivide il proprio amore e dolore con chi sta male quanto noi, si capisce che ciò che si prova è reale, che non è un capriccio o un'illusione.

Victoria era il mio riflesso ruotato di centottanta gradi. Io appassionata di chimica, biologia, anatomia. Lei di storia, letteratura, filosofia.

Frequentava il Liceo Scientifico ed era innamorata del suo professore di letteratura latina, Luigi.

Luigi e Ale avevano un anno di differenza. Lei quarantasette, lui quarantotto. Stessa professione, stessi responsabili di amori incompresi. Io e Victoria continuavamo a essere convinte che sarebbe stato spassoso farli incontrare.

Io e lei avevamo avuto una tresca di qualche mese. Uscivamo insieme, bevevamo alcol e ci baciavamo. Dopo un po' di uscite, incominciammo anche da sobrie.

Eravamo due pezzi di un puzzle. Diversi ma affini.

Saremmo state bene insieme, se soltanto non ci fossero stati loro di mezzo.

Arrivato il weekend, ci incontravamo in piazza e passavamo il tempo, oltre che con le rispettive lingue in bocca, a parlare di loro due: di Luigi e Ale.

Sembravamo due bambine. Saltellavamo e ci univamo in un abbraccio ogni volta che una delle due raccontava all'altra una scena rimasta particolarmente nel cuore vissuta con loro.

Luigi era sposato, con una figlia. Victoria ne era consapevole.

Aveva davanti la persona amata tutti i giorni, le brillavano gli occhi ogni volta in cui parlava di lui, eppure era costretta a convivere con la realtà che le sputava in faccia, ricordandole ogni giorno quel cento per cento di possibilità che non sarebbe mai accaduto niente. Le uniche certezze di Victoria erano le poesie che gli scriveva: rigorosamente in inglese, in stile ottocentesco come amava lei.

Erano una più bella dell'altra.

«Gliene ho lasciata una nel registro, ieri mattina. Sarebbe bello che se ne accorgesse» mi diceva.

Una sera, però, mi disse qualcosa che avrei ricordato per l'eternità.

Eravamo sedute su una panchina, mano nella mano.

«Sono sicura che riuscirò ad avere una relazione seria soltanto quando sarò uscita da quella scuola di merda.»

Di primo impatto mi misi a ridere. Risi, perché la capivo. E risi anche perché la gente intorno a noi non capiva. I pochi che sapevano di lei le chiedevano come facesse a resistere con l'amore della propria vita accanto senza un minimo di possibilità. Victoria alzava la testa e guardava loro negli occhi.

«Ci convivi» rispondeva.

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