chapter 1

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"devo guardare in camera?"
"no no, guarda me mentre parli. come se fosse una semplice chiacchierata." io deglutii.
"okay."
"ora ti porremo le prime domande, ma qualsiasi cosa tu voglia dire riguardo peep, puoi dirla. se vai fuori tema, t'interrompiamo. d'accordo?"
"d'accordo." che altro avrei potuto rispondere?
"dunque, raccontami quando e come vi siete conosciuti, la tua prima impressione su di lui, sia fisica che morale, come...." sebastian, così aveva detto di chiamarsi il documentarista, continuava a parlare, ma io ormai avevo smesso di ascoltarlo. stavo entrando in uno stato di trance, dove il mondo esterno non mi toccava più e mi riusciva difficile interagire con esso. i pensieri mi stavano sopraffacendo.
questa non è una storia a lieto fine. questa è la storia di come avrei voluto essere come gli altri. come chi i problemi li evita, perché siamo umani e fin dalla nascita siamo muniti di ciò che i cristiani chiamano "il peccato originale". scegliamo la via più facile. io non ci credevo nemmeno in dio, ma forse avrei dovuto, chissà, perché mi ritrovavo sempre in mezzo ai guai pur di aiutare quel ragazzo. e non era servito mai nessuno sforzo da parte mia, altrimenti camera mia ora non sarebbe invasa da cameramen e produttori che vogliono ficcare il naso in questa faccenda così infelice. mi aveva fottuto gli occhi e il cuore, e quando t'innamori, si sa, niente torna più indietro. lui non sarebbe tornato indietro.

due anni prima:

lavoravo con layla in una caffetteria di skid row, mi svegliavo ogni mattina alle sei e mi rifugiavo in bagno. quella mattina pioveva, una mattina autunnale, di quelle che ti viene voglia di sdraiarti sull'asfalto e lasciarti accarezzare dalla pioggia. mi truccai di fretta, mentre passavo il mascara sulle mie ciglia troppo corte starnutii.
"vaffanculo!" il bello di vivere da soli è che puoi essere te stesso in ogni momento. c'insegnano che viviamo solo quando siamo visti, forse lo apprendiamo inconsciamente, ma il nostro individuo non è solo l'insieme delle azioni che compie. o almeno era quello che mi ripetevo e di cui mi auto convincevo mentre guardavo i miei occhi stanchi nello specchio e pensavo a tutte le puttanate che avevo fatto per ritrovarmi a quel punto. non avevo un bel rapporto con la mia famiglia, ero come la pecora nera e lo ero sempre stata. in questi casi poi non sai mai di chi è la colpa, ma non sopportavo sentirmi come se fosse mia, solo perché ero ciò che ero. mi misi una tuta che solo uscita di casa mi accorsi fosse sporca di dentifricio. proferii un altro "vaffanculo", questa volta sussurrato. il café si trovava infondo alla viuzza in cui abitavo, o almeno in cui stavo in affitto. la cameriera non era l'unico lavoro che facevo, non direi, altrimenti non avrei avuto soldi nemmeno per lavarmi. ad ogni modo, mi piaceva camminare con la musica nelle orecchie, particolarmente quella mattina perché preferivo il maltempo al sole. eppure ero comunque maledettamente paranoica, lo ero sempre, e qualcosa mi disse di levarmi le cuffiette, quando più o meno mi trovavo a metà strada. mi girai e vidi un gruppo di ragazzi, in mezzo alla carreggiata, privi sia di ombrello che di cappuccio. completamente fradici, quindi, e ridevano innocentemente. a quattordici anni mi avevano diagnosticato l'ansia generalizzata, era per quello che in quell'istante mi sentii di mettere due dita appena sotto il mento. di fatti, subito dopo, sentii sotto i miei polpastrelli i battiti del mio cuore aumentare di velocità. ogni tanto mi capitava ancora, ma più che un disturbo mi piaceva considerarla una cosa che mi apparteneva e basta. mi faceva sentire meno anormale, come se fosse stata solo una parte di me, la più fragile, e che non mi andava di mostrare. non andava mai a finire bene, ogni volta che lo facevo. all'improvviso uno dei ragazzi alzò la testa e mi guardò, dritto negli occhi, come se già avesse saputo che li avrebbe trovati lì puntati addosso a lui, quasi ad aspettarlo. di solito non ero una che manteneva il contatto visivo, ma quel ragazzo aveva un sacco di tatuaggi in faccia e anche da lontano riuscii a ravvisare quanto i suoi occhi fossero tristi. non riuscivo a distogliere lo sguardo. lui mi sorrise. mi piaceva quando gli sconosciuti mi sorridevano, mi rendevano contenta di vivere in quel mondo, anche se solo per pochi attimi. ricambiai il sorriso di fretta, poi rimisi le cuffie, tirai un po' il cappuccio grigio ormai zuppo e mi rimisi in moto.
"bella addormentata, era l'ora!" layla mi accolse come al suo solito. le feci il dito medio e mi diressi decisa verso il retro. mi cambiai velocemente e allacciai altrettanto celermente il grembiule. che un'altra giornata, null'altro che un pezzo che componeva quel loop che era la mia vita, avesse inizio.
"hai fatto serata ieri?" mi chiese layla appena le venni incontro. lei stava alla cassa, io prendevo le ordinazioni e le portavo ai tavoli. non che ci fossero chissà quanti coperti. ma così presto non veniva mai nessuno, nemmeno gli uomini d'ufficio avevano voglia di fare colazione a quell'ora del mattino.
"cosa te lo fa pensare?"
"le occhiaie e quei bellissimi segni sul tuo collo. è stato il gatto che non hai, vero?" layla era una stronza, però ormai non ci facevo nemmeno più caso. era una di cui ti puoi fidare. per un tempo pensavo addirittura di essermi presa una cotta per lei, sembrava una di quelle ragazze che stanno su vogue, giuro. era solo..come dire, molto anticonformista. ammiravo di lei come riuscisse sempre ad essere ciò che voleva senza lasciare che il giudizio degli altri la influenzasse. con quella sua perenne grande linea di eye-liner che le marcavano i grandi occhi castani, i suoi vestiti appariscenti e gotici.
"allora? ti hanno tagliato la lingua? è stato ancora il tuo gatto?" s'impuntò lei.
"stronzetta stai zitta, sta arrivando qualcuno" le risposi scocciata. così cominciarono ad arrivare i primi clienti. e allo stesso modo la giornata volò talmente in fretta che a pensarci mi girava la testa. una giornata come le altre, non troppo fredda, tediosa e a tratti in sopportabile. la verità era che non avrei mai sopportato vivere, se la prima cosa che odiavo di tutta quella situazione asfissiante, ero io.


la mia vita era fottutamente noiosa perché a viverla era una stupida ragazzina con qualche disturbo mentale che colmava quel vuoto che provava insistente con dello stupido sesso insignificante e dell'alcol. l'unica cosa degna di nota che avvenne nei successivi giorni, aa ebbe inizio ancora in quel maledetto bar. sembrava il centro di tutto, cazzo. era martedì, la mattina spalancai gli occhi e mi sentii esattamente come mi sentivo da due anni a questa parte. arrivai a lavoro ancora in ritardo, ma layla sembrò non curarsene. poi spalancarono la porta. non ci volevo credere. risi un po' sotto i baffi, era il gruppetto di ragazzi che avevo incrociato il giorno prima, andando a lavoro.

"oh cristo, voi che ci fate qui?!" esclamò layla eccitata come la merda. che?
"sorpresa!" esclamò il ragazzo che in strada mi aveva sorriso.

I was dying and nobody was there - Lil PeepDove le storie prendono vita. Scoprilo ora