chapter 16

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camminammo così tanto da farmi venire male ai piedi. avevamo preso una schifezza al volo dal baracchino nella piazzetta di downtown. lui un hot dog, io un panino qualsiasi, senza conoscerne il contenuto.
"..e gli ho detto: cazzo amico è il tuo lavoro, non ti sto mica chiedendo di farlo gratis!" io scoppiai a ridere. era l'ennesima storia ridicola, di una vita che così, da fuori, sembrava esser vissuta in maniera canonizzata. spensierata. ma non lo era e lo sapevamo benissimo entrambi.
"ma te ne sei liberato, almeno?" mi stava raccontando di quando un opossum aveva infestato casa sua. se ci pensavo mi veniva da ridere di nuovo. faceva ridere il modo in cui parlava, in cui mi guardava. poi mi venivano le farfalle nello stomaco, perché mi sfiorava o solo perché apriva bocca. ero così maledettamente sensibile al suo tocco e non me ne esplicavo il motivo. o forse cercavo semplicemente di procrastinare fino al momento in cui avrei dovuto realmente ammettere a me stessa ciò che stava davvero accadendo. ma non ora, non ci volevo pensare.
"si, quello stronzo mi ha riempito la casa di trappole e altre cose invadenti. entro la sera ormai jimmy era spacciato."
"jimmy?" domandai confusa e divertita al contempo.
"si, è il nome che ho dato all'opossum." non riuscii a trattenere un'altra risata, mi sembrava completamente buffo. lui sorrideva.
"smettila di sfottermi, non sei nella posizione giusta per farlo!"
"tu dici? io però non ho mai dato un nome ad un opossum" risposi soffocando un risolino.
"beh però io mi ci ero affezionato a jimmy..."
"finiscila, non puoi affezionarti ad un opossum!" avevo paura di star facendo troppo chiasso, ma poi pensavo che non avrei dovuto preoccuparmene, perché gus non mi faceva aver paura di com'ero. era strano, ma era dannatamente rassicurante. in men che non si dica eravamo già arrivati a casa sua. il tempo volava, tra un racconto di opossum e l'altro. lui tirò fuori dalla tasca posteriore dei soliti jeans le chiavi dell'ingresso.
"se non hai nient'altro da fare..." avvertii qualcosa allo stomaco, di nuovo.
"nient'altro a parte ascoltarti parlare dei tuoi guai?" lui sorrise, poi mi spinse piano per la spalla.
"forza, muoviti" disse solamente, per poi dirigersi alla porta.
"gus, solo..."
"si?"
"non mi fermo tanto. devi lasciarmi il tempo di prepararmi se stasera vogliamo uscire con la cricca." lui annuì persistendo a sorridere, e poi passandosi la lingua sul labbro inferiore. dopo aprì casa e mi fece segno di entrare. come un vero galantuomo, ero quasi emozionata. casa sua era esattamente come la ricordavo. era piuttosto incasinata, ma non tanto quanto la sera della festa. sembravano passati mesi, ed erano solo due settimana appena fa.
"perdona il disastro, non avrei pensato che...insomma.."
"tranquillo, penso di aver visto questa casa in condizioni peggiori. e anche te." lui lasciò cadere la testa indietro e deglutì. poi si buttò sul divano e, picchiando contro la stoffa, m'invitò a sedermi affianco a lui. io eseguii.
"non me la racconti giusta, comunque" disse d'un tratto.
"che vuoi dire?"
"voglio dire che ieri ti sei comportata in modo strano. e guarda caso solo dopo averti baciata..."
"ti prego, lo sai che non c'entra un cazzo" lo bloccai prima che si potesse fare strane idee. ma probabilmente era lo stesso troppo tardi.
"michelle io lo capisco se non ti senti pronta. vorrà dire che aspetterò, se è quello che vuoi." il mio cuore mancò un battito. lo guardai, mentre lui si fissava le mani e torturava le pellicine dell'indice sinistro. con quei vestiti spropositatamente grandi, il viso stravolto. che cosa volevo io da lui? e soprattutto, cosa voleva lui da me? me lo domandai in quell'istante per la prima volta, da quando c'eravamo incontrati.
"ho fatto tante cazzate. tantissime. ho mandato tutto a puttane, nel posto in cui stavo prima. speravo che andandomene dalla mia città, le cose sarebbero cambiate. sono scappata, ma il problema mi ha seguita perché era dentro di me. non possiamo scappare da noi stessi, e quando me ne sono resa conto era troppo tardi." ancora non sapevo se avrei confessato tutto. lì in quel momento, su due piedi, o forse più avanti. non ne avevo idea, ma gus si meritava qualche spiegazione. perché forse era la volta buona che diventassi adulta, e che prendessi le cose seriamente. ero decisa, in fin dei conti adesso dipendeva tutto da ciò che bramava lui. da ciò che era disposto a fare...per me.
"capisco di cosa parli. ma non potrai continuare ad odiarti per sempre, qualsiasi errore tu abbia commesso. devi imparare a perdonare te stessa, ad andare avanti. altrimenti come vivrai?" io sospirai. pensai che nessuno mi avrebbe mai potuta capire come lui.
"io vorrei solo non rovinare tutto, per una volta..." ammisi con voce rotta e guardandomi le cosce. i miei jeans erano più strappati di quando li avevo comprati. mentre cercavo di confondere il mio cervello per non farmi scoppiare in lacrime, gus si protrasse più vicino. molto vicino.
"aspettami qui..." disse piano, guardandomi negli occhi. era fermo immobile, io confusa da matti.
"che?"
"sarò di ritorno al mattino..." proseguì ignorando totalmente il mio disorientamento.
"...so di non essere importante per te quanto tu lo sei per me..ma per me, michelle, sei molto più che splendida. molto più che perfetta." avevo la gola secca, gus ora stava zitto, e non esitava a togliere i suoi occhi da dentro i miei. ne ero ossessionata, oramai, dal suo sguardo puntato su di me. come una droga, mi dava piacere sentirlo e mi distruggeva non farlo. non capivo perché stesse dicendo quelle parole a me, proprio a me. ma il modo in cui mi guardava, mi faceva credere, e chissà anche sperare, che le pensasse davvero.
"voglio fare le cose per bene. voglio che tu non debba più scappare, ne da me, ne tantomeno da te stessa. ma devi lasciarti aiutare. e devi accettare il fatto che per stare in pace, dovrai riconoscere di non essere più sola." io non sapevo che dire. avrei voluto baciarlo, farlo finché non avessi avuto più respiro in corpo.
"a che pensi?" domandò quasi sconsolato, perché non accennavo a rispondere. che si aspettava?
"penso che vorrei baciarti." lui sembrò sorpreso.
"e tu?" gli domandai allora. gus prese un lungo respiro.
"penso che dovresti smetterla di pensare e baciarmi."

I was dying and nobody was there - Lil PeepDove le storie prendono vita. Scoprilo ora