Il cielo in una stanza 2

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La camera dell'albergo era un vero porcile, un misto tra una gattabuia e una discarica abbandonata. L'odore insopportabile di chiuso e alcool rendevano la stanza un'autentica camera a gas. Le tapparelle erano serrate, quasi a riparo dal resto del mondo fuori.
Disteso sul letto sfatto c'era il commissario Guglielmi che continuava a guardare fisso il soffitto; respirava lento, ancora con leggero affanno, ma respirava e questo lo faceva ancora più soffrire.
Voleva smettere di farlo.

"Scordati per sempre tua figlia, l'udienza dal giudice è fissata, inutile procedere con questa pagliacciata. Non sei e mai sarai un padre, come del resto non sei mai stato un marito".

Il ronzio di quelle parole continuava a graffiargli i timpani; aveva provato di tutto, aveva fallito persino il miglior "insetticida" a tutti quei fastidiosi problemi quotidiani. L'alcool infatti sembrava averlo tirato ancora più giù, soppresso e inchiodato sul materasso sudicio di uno squallido albergo ad ore.

La piccola Elisabetta lo aveva aspettato in compagnia di una graziosa collaboratrice scolastica, aveva atteso per minuti, fino a che le lancette dell'orologio erano diventate di fuoco. 
Non ci aveva pensato due volte Francesca a correre a scuola, in fin dei conti era sempre in allerta con l'irresponsabile e imprevedibile ex marito, soltanto che sta volta non avrebbe mai immaginato che potesse non presentarsi il giorno del compleanno della loro "principessa".
La bambina aveva tergiversato e fatto finta di niente come al solito, ma nei suoi occhi Francesca lesse molto più delle semplici spallucce. Un solco profondo si sarebbe creato ormai per sempre, specie dopo le continue e petulanti promesse degli ultimi giorni da parte del padre. 

Qualcuno bussò alla porta proprio mentre Guglielmi era pronto a chiudere gli occhi per sprofondare nell'ennesimo sonno giornaliero. Il commissario risalì dal mondo delle tenebre e osservò il vuoto circostante nel buio della stanza. 
Regnava il silenzio, nessun rumore, forse aveva solo immaginato, forse aveva bevuto un po' troppo. Sprofondò di nuovo nel materasso, ma ecco di nuovo quel fastidioso bussare.

« Chi cazzo è? Ho detto che non voglio essere disturbato. Pagherò metà prezzo se continuate a rompere i coglioni! » urlò con l'ultimo anelito di fiato che aveva in gola.

Nessuno rispose da dietro la porta, il burbero commissario si rigirò nel letto con un accenno di sorriso compiaciuto.

« Carlo, c'è un servizio in camera speciale per te. Vediamo se la smetti di fare il vecchiaccio scorbutico » disse una voce familiare da dietro la porta.

Guglielmi si rizzò di nuovo sul letto, "maledetto", pensò. Era venuto fin lì. Il suo solido e imperturbabile nascondiglio quando voleva staccarsi da tutto e tutti era in serio pericolo.
Ora il luogo più invalicabile era stato violato; era sempre più certo che quel lavoro gli avesse rovinato la vita e tutti i suoi affetti più grandi.
Non poteva di certo lasciarlo fuori, sapeva bene che contasse molto al dipartimento e non solo. Sapeva bene anche in cuor suo, che fosse l'unica persona a stimarlo al mondo.

La porta si aprì solo quando il commissario riuscì a trovare qualcosa da mettersi per assumere una condizione dignitosa ad occhi altrui. Spalancò le finestre e con andatura lenta e dimessa tolse il chiavistello alla porta.
Eccolo trafelato da dietro il cornicione, il solito sguardo prepositivo, la battuta sempre pronta, quel ciuffo bianco in linea di tonalità e volume con la folta barba. Sembrava di nuovo elettrizzato, doveva essere successo qualcosa di eclatante là fuori mentre lui dormiva protetto in quella stanza.

« Una giornata per farti trovare. Non dire niente. Tu adesso ti vesti, ti lavi i denti per coprire questa puzza di alcool che ti ritrovi e vieni a far vedere a tutti perché in caserma ti chiamavano "la volpe segugio" » le parole dell'ispettore Lorenzi non ammisero repliche.

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