Erano le 23:17 del sei gennaio duemiladiciannove quando Christina ebbe il quarto attacco di panico di quella giornata. In realtà non sapeva neanche lei se fosse panico, ansia o paura, ma sapeva solo che sentiva di non potercela fare, perchè tutto ciò che doveva affrontare era più grande di lei. E, anzi, più avanti avrebbe capito in realtà che non stava affrontando ciò che le era capitato, ma lo stava sfuggendo. Era scappata dalla sua vecchia scuola, dai suoi vecchi compagni di classe, da Sara, da Lorenzo, e non faceva altro che distrarsi con altro, perchè era l'unico modo che lei conosceva per risolvere i problemi: raggirarli, non pensarci, correre il più lontano possibile fino a quando non si è obbligati a voltarsi e a guardare in faccia la realtà. Quella domenica era il giorno in cui aveva dovuto smettere di correre e rendersi conto che la vita andava avanti, e che il tempo era continuato a scorrere nonostante lei si sentisse intrappolata in un singolo gelido momento, che nonostante lei fosse ferma la vita era andata avanti. Si ritrovava quindi chiusa in camera sua, sotto le coperte, al buio, a cercare un modo per non iniziare scuola il giorno dopo. In realtà non c'era nessun modo in cui potesse evitare quello che sarebbe successo l'indomani, ma lei non lo capiva e si ostinava a pensare. Si diceva da sola "tranquilla, un modo lo trovi, non preoccuparti, andrà bene, finirà tutto, sei forte". Aveva bisogno di dirsi quelle cose perchè non c'era nessun altro oltre lei che gliele dicesse. Aveva bisogno di conforto, di sentirsi dire che non le sarebbe successo niente. Avrebbe voluto poter incontrare la sè del futuro, così da avere la certezza che ce l'avrebbe fatta e che sarebbe andato tutto bene. L'unica soluzione che riuscì a trovare fu quella di non dormire, era l'unico modo che aveva per rimandare l'inevitabile il più possibile. Se si fosse addormentata sarebbe subito arrivato il giorno dopo, quel giorno che aveva tanto temuto per settimane ma a cui aveva sempre cercato di non pensare, perchè "c'è ancora tempo", si diceva. Rimanendo sveglia il tempo sarebbe passato più lentamente, avrebbe avuto modo di tranquillizzarsi, di realizzare quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo. Era l'unica cosa che le dava l'illusione di avere tutto sotto controllo, e lei pretendeva di poter controllare ogni singola parte delle sue giornate, della sua vita. Claire la vedeva spaesata, riusciva a leggerle in faccia che era spaventata e che avrebbe solo voluto chiudersi in camera per non dover affrontare la realtà. Non sapeva rassicurarla in nessun modo, perchè non c'era un modo carino o semplice per affrontare tutto quello, non c'era la via di fuga, andava affrontato e basta, e nonostante volesse convincersi che sua figlia fosse abbastanza forte da potercela fare, dentro di sè aveva la paura incontrollabile e invalidante che potesse perderla. Aveva paura che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitare di tornare a scuola, persino farsi del male. Avrebbe tanto voluto proteggerla e darle la forza che non aveva, ma la realtà era che Claire aveva molta più paura di Christina. Mai si era immaginata di dover affrontare una situazione simile ed era completamente inerme. Dentro di sè si diceva che doveva agire, che doveva comportarsi da madre e non poteva semplicemente prenderla e portarla via, perchè la scelta giusta non è mai quella di scappare. Non è così che ci si rinforza, non è così che si accoglie il dolore, non è un meccanismo di difesa valido. Claire lo sapeva ma aveva paura e allora stava lì a guardarla, sperando che quella forza che le mancava l'avrebbe avuta, invece, la figlia. Confidava in quello. Ad Alessandro diceva che andava tutto bene, che Christina era tranquilla, ma lui sapeva che non era così. Anche lui, davanti a tutto quello, si sentiva impotente e inerme. "Cosa devo fare?", si chiedeva. "In quanto padre, cosa devo fare?". Lui però, al contrario di Claire, infondo era sicuro di quello che avrebbe dovuto fare. Denunciare. Avrebbe dovuto parlare con sua figlia, prenderle un po' di dolore, farle capire che non era sola, e darle la forza che le serviva per denunciare. Se fosse caduta, ci sarebbe stato lui dietro a sorreggerla e a prenderla in braccio, come quando Christina aveva un anno e, ostinata, provava a camminare per poi cadere. Lui la sorreggeva, la aiutava a rimettersi in piedi, e lei, sicura che avrebbe avuto il suo papà dietro di lei, tornava a camminare, certa che non si sarebbe fatta male, e che in caso lui l'avrebbe aiutata a sopportare il dolore. Alessandro avrebbe dovuto fare questo in quanto padre, e avrebbe dovuto far capire a Claire che non poteva prendere lei le decisioni. "Lei non vuole denunciare, non ne vuole più parlare" gli diceva quando provava a mettere in mezzo il discorso, e allora Alessandro avrebbe dovuto risponderle che non ne voleva parlare perchè non c'era nessuno che la spingesse a farlo, e che non voleva denunciare perchè prendeva come punto di riferimento lei, sua madre, che era il simbolo per eccellenza della fuga e del non riuscire ad affrontare il dolore. Ma non ha mai fatto niente di tutto questo, ci sono voluti altri mesi prima che qualcosa si smuovesse in lui, in Claire, in Christina. In quel momento era come se fossero stati tutti e tre raggelati, non in grado di reagire e di muoversi. Il giorno dopo arrivò, lunedì sette gennaio. Christina riuscì a non dormire tutta la notte, rimase sveglia a disegnare e ascoltare musica, ogni tanto usciva fuori al balcone a fumare, un vizio che aveva già da qualche mese ma che in quegli ultimi tempi si era rafforzato, e guardava la strada silenziosa, dormivano tutti tranne lei. Quelle ore passate in assoluto silenzio e da sola erano state effettivamente le più belle degli ultimi due mesi, era la calma prima della tempesta che Christina avrebbe tanto voluto rivivere all'infinito.
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SCREAM
Romance"Hai una voce, usala. E se nessuno ti ascolta inizia ad urlare, non permettere che ti zittiscano. Io ti starò vicino e ti appoggerò, sempre, qualunque cosa tu decida di fare, ma se vuoi accettare un consiglio da qualcuno che ti ama e che vuole il me...