3- Parli del diavolo e spuntano le corna

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Tutto quello che mi circonda è il nero, puro e silenzioso nero.

Mi trovo al punto di partenza. 

Sto per gareggiare nella famosa corsa campestre annuale del paese. Amo questo giorno, amo questa gara, amo vincere ogni volta, amo vedere papà alla fine della corsa con la mia borraccia azzurra stretta nella sua grande mano, quest'ultima tesa verso di me.

Ma ora non c'è nessuno, non un'anima viva, niente che si muova , niente che respiri, il nulla.

Sono sola, l'unico suono percettibile che odo è il mio respiro lento, quasi del tutto assente.

È estate, ma io sto morendo di freddo. I brividi stanno percorrendo la strada dal collo fino alle caviglie, continuamente, vagano su e giù senza sosta, desiderose di non fermarsi mai.

Compio un passo in avanti, la suola della scarpa esegue un rumore sordo, quest'ultimo dura solo un attimo e poi ritorna il silenzio.

Inizio a camminare lentamente in avanti, verso il buio, e più m'imbatto in esso più la paura divampa dentro di me come se volesse impossessarsi della mia anima.

Dopo un tempo - il cui non riesco a definire la durata - in alto nel cielo vedo una scintilla, è qualcosa di istantaneo, ma i miei occhi l'hanno catturato.

A poco a poco quella scintilla diventa sempre più grande e duratura, lampeggia come una lampadina a neon, fino a diventare il sole.

Ora ciò che mi circonda diviene più limpido, ogni cosa acquisisce il proprio colore: il verde acceso per l'immenso campo da corsa, l'azzurro cristallino per il cielo mattiniero e misti colori sfuocati per le persone intorno a me.

Quest'ultime sono tutte con il sorriso a fior di labbra, l'età varia dai bambini che gareggiano agli adulti pronti ad occupare le tribune.

Mi guardo attorno nella speranza di trovare papà e, appena entra nel mio campo visivo, corro come una furia tra le sue braccia. 

Lui m'accoglie amorevolmente come ogni volta, e come ogni volta è un bellissimo sogno.

Ma non questo.

Appena lo tocco tra le mie braccia, papà sfuma, il suo corpo muta in foschia, i suoi vestiti accesi diventano pian piano d'un grigiastro spento e la sua risata scompare lentamente.

Esterrefatta e sotto shock chiudo gli occhi, poi riaprendoli rivedo il buio.

Mi volto dall'altra parte e noto una luce lontana, questa volta essa è poggiata sul suolo.

È rossa e arancione, ed emana calore.

È fuoco.

Mi avvicino cautamente, senza fretta, e più lo faccio più odo delle urla. 

Ho paura, i brividi hanno ricominciato la loro danza e il respiro ha ricominciato a scarseggiare.

Le urla provengono dalla bocca di un uomo, il cui corpo giace dentro le fiamme impetuose.

Quell'uomo è papà, è lui che sta gridando.

E non sta semplicemente urlano, no, lui sta urlando il mio nome e la sua voce suona supplichevole.

Corro verso di lui e cerco di tendergli la mano più che posso, ma il fuoco mi allontana, gli urlo di rimando di afferrarla, ma lui non mi sente.

Dopo un tempo prolisso papà parla:

«Ti prego, non andare via!» 

Le famose cinque parole, le ha appena pronunciate.

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