1. Quando tutto ebbe inizio

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Domenica, 14 giugno 2020

Oggi è una domenica tranquilla: il sole arde in alto, la giornata è molto calda ed è inevitabile non sudare in una giornata simile.
Pochi sono gli uccelli che volano su Touba, saranno tutti al riparo dell'ombra tra le verdi foglie degli alberi di limone, un po' come gli abitanti della nostra città: tutti al riparo dal caldo nelle loro modeste case, stanchi a causa della giornata pesante che si è presentata.
Tutti al riparo tranne i miei genitori: mio padre Ras si è svegliato alle 04:55 per andare a lavoro nella fresca mattinata come ogni giorno, in modo tale da evitare di lavorare nelle ore calde del mezzogiorno, anche di domenica. Mia madre, invece, si è diretta una decina di volte verso il pozzo del paese per raccogliere l'acqua nel secchio per poi ritornare a casa trasportandolo sulla sua testa al fine di non affaticarsi troppo.
Voleva portare Atsu con sé però, temendo per il calore, mi ha affidato il compito di tenerlo a casa e di badare al lui fino al suo ritorno.

Atsu inizia a girare per casa come un matto, parlando da solo e giocando felicemente con la sua immaginazione. Lo lascio tranquillo e mi dirigo verso l'uscita per respirare l'aria del posto. Varco la soglia della porta con i piedi scalzi che toccano il terreno scottante. Il sole è così forte e alto che è difficile guardarmi intorno senza stringere gli occhi.
Sento sulla mia gamba sinistra un contatto caldo e morbido e senza perdere tempo guardo in basso per capire di cosa si tratta: è Oba, un piccolo cucciolo di cane che da qualche tempo ha assunto l'abitudine di stare sempre nei pressi di casa nostra. Non me la cavo molto con le razze dei cani ma dovrebbe trattarsi di un meticcio: è bianco con una macchia marroncina sul musetto e una sulla zampa anteriore sinistra. Mio padre è sempre stato contrario a tenerlo e a prenderci cura di lui, sostenendo: «A momenti non avremo neppure del cibo per noi. Non possiamo avere questo cane tra i piedi, quindi lasciatelo perdere e non accarezzatelo»
Mio padre è sempre stato un uomo abbastanza severo.
Nonostante i suoi ordini, però, ho sempre continuato ad accarezzare il cane fino a dargli un nome. Dopo pranzo raccoglievo spesso un piccolo pezzo di pane, lo inzuppavo d'acqua e di nascosto, mentre papà riposava, lo portavo ad Oba per evitare di lasciarlo affamato. Mio padre non lo ha mai scoperto. Intanto Oba imparò ad abituarsi e decise di vivere fuori casa nostra, riparandosi in estate sotto l'ombra degli alberi di limone e in inverno sotto una cuccia che poi andammo a creare. Anche mio padre imparò ad abituarsi, accettando Oba nella nostra famiglia.

Decido quindi di accovacciarmi e di accarezzare il cane, il quale mi fa le feste. Oba inizia a fare dei versi che non riesco a comprendere, tant'è vero che si avvicina alla ciotola dell'acqua toccandola con il muso e ripetendo il verso.
«Hai sete?»- sorrido e ritorno ad accarezzarlo - «Anche io Oba, fa abbastanza caldo e ti capisco ma non c'è acqua a casa e dobbiamo aspettare che mamma Hanna faccia ritorno»
Mi raggiunge Atsu sulla soglia della porta.
«Che fai?» - mi chiede con voce splendente.
«Sto accarezzando Oba» - gli rispondo.
Atsu appoggia sulla sedia il peluche con cui stava giocando e si avvicina al cane per accarezzarlo anche lui. Decido di rientrare in casa per cercare un po' d'acqua da poter dare a Oba.

Inizio a udire un gruppo di voci in lontananza: gli abitanti della zona avanzano in massa urlando qualcosa che per la lontananza stessa non riesco a concepire. Smetto di cercare l'acqua e ritorno sulla soglia della porta per raggiungere Atsu e controllare che vada tutto bene. Lo faccio rientrare e mi affaccio guardando alla mia destra per osservare meglio cosa stia succedendo.
Un gruppo di uomini bianchi armati vestiti completamente di nero e con i capelli rasati inizia ad avanzare sulla strada del nostro villaggio mentre gli abitanti del paese, come me, si affacciano curiosi e preoccupati allo stesso tempo. Un uomo bianco armato si avvicina a Labaan, un umile commerciante di olive e prossimo padre di famiglia. L'uomo lo guarda negli occhi, in silenzio, senza fiatare, con un'arma tra le mani. Labaan, sentitosi minacciato, gli urla contro sostenuto dalle grida di tutta l'altra gente, dicendo con rabbia che dovevano andare via, che non c'era posto per loro e che non avrebbero mai dovuto venire qui a Touba con delle armi tra le mani. L'uomo minaccioso ripone l'arma in silenzio ma intanto alle sue spalle un altro uomo bianco impugna la sua, sparando immediatamente in testa a Labaan; un'azione imprevedibile. La moglie dell'uomo ormai morto, in preda alla pazzia del momento, oltre ad urlare non può fare molto. Sparata anch'ella prima sulla pancia, che in grembo aveva un innocente bambino di otto mesi, e poi alla testa. Muoiono entrambi sul colpo, lasciando uno strato spesso di sangue sul terreno arido di quella giornata.
Tre colpi di proiettile alimentano urla e gridi per il quartiere.

Afferro Oba per portarlo in casa velocemente, chiudo la porta con il lucchetto e con le lacrime agli occhi che manifestano il terrore. Prendo per il braccio Atsu che nel mentre, non avendo assistito alla scena, è solamente tanto confuso. Inizio a trovare un posto per la casa nel quale possiamo coprirci ma non c'è nulla in cui possiamo davvero nasconderci senza destare sospetti. Inizio ad impazzire, tremando, piangendo istericamente e portando le mani alla testa come segno di disperazione. Ad un certo punto, quasi per sbaglio, guardo il letto di mamma e papà nell'altra stanza: senza perdere altro tempo faccio nascondere Atsu sotto al letto con il cane, intanto corro ad oscurare tutte le finestre della casa per poi raggiungerli subito.
«Non fiatare per nessun motivo, non devi permetterti di parlare, di piangere né di urlare. Anche tu Oba» - dico con la voce che trema asciugando gli occhi.
Atsu non si rende conto di cosa sta succedendo; è turbato, confuso e non fa altro che restare in silenzio, per nostra fortuna.
Gli spari continuano a sentirsi sempre più vicini, le urla si indeboliscono lentamente. Arrivano alla porta della nostra casa.
«Ora zitti» - sussurro.
Cercano con forza di aprire la porta. Inizio a sentire dei potenti tonfi che riescono a romperla. Abbraccio Atsu e il cane stringendo gli occhi dalla paura e coprendo la bocca del mio fratellino per evitare qualsiasi rischio. Osservo il cane. Spero non faccia nessuna pazzia, né abbai.
E mamma e papà? Dove sono?
Inizio a sentire passi rapidi. Sono più uomini, lo capisco dai passi che si alternano rapidamente sul pavimento di casa nostra. Entrano nella camera da letto: riesco a vedere i loro scarponi neri e sporchi di sabbia. Uno di loro si avvicina ai piedi del letto per poi fermarsi. Resta in silenzio. Gli altri uomini abbandonano la stanza. È così vicino a noi. I respiri si fanno intensi. Aumento involontariamente la pressione sulla bocca di Atsu per la troppa paura. Ci avrà visti?
Intanto noto uno scarafaggio che cammina tranquillamente proprio vicino a noi. C'è così tanto silenzio che sembra di sentire il rumore dello zampettio dell'insetto.
Di soprassalto un rumore, forse un colpo, vicinissimo a noi. Mi muovo di sobbalzo per lo spavento e chiudo istintivamente gli occhi. Subito dopo guardo Atsu: incomincia a lacrimare e sul suo viso inizia a crearsi una smorfia che segna il pianto. Di scatto ritorno a guardare gli scarponi dell'uomo malvagio: ha ucciso lo scarafaggio di poco fa con il calciolo del fucile che impugnava, schiacciandolo con forza contro il terreno. Ho temuto il peggio.
Infine, continuando il suo spaventoso silenzio, indietreggia e finalmente esce da casa nostra.

Via libera.
Respiri profondi che ancora tremano dal terrore.

Restiamo solo io, Atsu e Oba.
Quell'uomo ha lasciato in casa nostra quel tormentoso silenzio che si portava dietro. Nessuno fiata, neppure quel bambino che solitamente è socievole e loquace con tutti.
Restiamo così per cinque minuti, in silenzio, un silenzio condito dal rumore di urla, spari e caos che provengono violentemente dalle case successive alla nostra. Cosa sta succedendo? E dove sono mamma e papà?
Intanto il violento caos si indebolisce col passare del tempo: gli spari si indeboliscono, le voci e le urla si estenuano, si esauriscono anche i lamenti e ritorna il silenzio.

Sembrerebbe non esserci davvero più nessuno in casa.
«Aspettami qui, resta ancora in silenzio per un altro po', tieni Oba con te e non farlo scappare» - mi rivolgo ad Atsu intento ad uscire dal nascondiglio per controllare la situazione.
Scivolo fuori dal letto, alzandomi lentamente senza far rumore. Sulle punte dei piedi mi avvicino e mi affaccio alla porta che separa la camera da letto dal soggiorno. Mi guardo in giro, do un'occhiata anche in bagno, cercando di fare sempre il meno possibile rumore: niente. Inizio a controllare ogni angolo della casa, anche il più stupido: sotto al tavolo, dietro al divano.
[...]
Non c'è nessuno. Hanno lasciato la porta della casa aperta. Mi avvicino alla finestra piano piano, scosto leggermente le tende per vedere se c'è ancora qualcuno in giro: no. Non posso evitare di notare delle piccole macchie rosse sulla finestra di casa mia. Le osservo con tanta attenzione.
Varco la porta di casa: solo rosso, tanto rosso.

Vedo solo sangue, sangue sparso per il quartiere; e corpi: uomini, donne, bambini. Chi giace a terra con gli occhi chiusi e chi ha gli occhi fissi al cielo.

La città dei morti.

IT HURTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora