4. Cimitero senza lapidi

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Sabato, 25 luglio 2020

«Raccogliete le bottiglie d'acqua che ho appoggiato sul tavolo, ci basteranno per tutto il tragitto. Avete dimenticato qualcosa?» – chiede nostra madre raccogliendone una e apprestandosi a varcare la porta di casa per sempre.
«No mamma, ho preso tutto» – risponde Atsu.

Mia madre, da quando è riuscita a trovare un modo per scappare a qui, è diversa: ha preso coraggio, si è ripresa, parla più spesso, ha speranza ed è felice.
Chi ha perso la voce sono io. Non parlo più. Non voglio abbandonare questo posto, seppur maledetto. Qui ci sono nato, non riesco a credere di aver fatto i bagagli per andare via. Vorrei tanto restare qui.
«Malik? Sei pronto?» – mia madre richiama la mia attenzione.
«Sì mamma, prendo il borsone e arrivo» – dico con un filo di voce. La tristezza sul mio viso è voce dei miei desideri.
Li raggiungo e chiudo la porta. Mamma Hanna e Atsu iniziano a camminare.
«Oba, vieni qui» – urlo, aspettando l'arrivo del cane che intanto era sdraiato al suo solito fresco posto.
Mia madre si gira di soppiatto.
«Cosa stai facendo?» – mi chiede, confusa.
«Sto chiamando Oba» – le dico, guardandola e accovacciandomi.
Intanto il cane mi raggiunge, scodinzolando rapidamente. Lo accarezzo e sorrido.
«Su, andiamo Oba» – lo prendo in braccio e mi appresto a riprendere il cammino.
Mia madre resta ferma senza distogliere lo sguardo dai miei.
«Cosa c'è?» – le chiedo.
«Oba resta qui»
«Ma cosa dici? È il nostro cane e deve venire con noi»
«Non è il nostro cane; è solo arrivato qui e ce ne siamo presi cura, ma ora dobbiamo andare e non possiamo tenerlo più con noi»
«Mamma, se resta qui morirà di fame. Non c'è più anima viva nel villaggio che possa prendersi cura di lui, e lo sai bene anche tu. Io gli voglio bene e non posso lasciarlo morire così» – inizio ad alterarmi.
«Malik, lo capisci che dobbiamo scappare da qui? È solo un cane e poi troverà modo di sopravvivere. Se restiamo qui ancora per poco rischiamo la vita. Lascialo qui e muoviamoci. Quell'uomo ci aspetta al pozzo della città» – si agita.
«E come credi lui possa sopravvivere? Qui non c'è cibo. Non appena andremo via, di questo villaggio non resterà nulla»
«Malik, lascialo e andiamo via» – pronuncia con tono di rabbia.
La guardo dritto negli occhi.
«No!»
Non ho mai disobbedito a mia madre, sia perché non ne ho mai sentito la necessità, sia perché non è mai nata una circostanza simile. È da quel tragico giorno che mia madre è cambiata. Non è mai stata così cattiva, anche nei miei riguardi. Sembra che non mi voglia più bene, sembra qualcun altro; di certo non mia madre.
«Malik lascia questo cane immediatamente e sbrigati a camminare» – intona sempre di più.
Resto in silenzio. Poco dopo sposto lo sguardo dal suo viso per guardare Oba. Lo prendo in braccio.
«Andiamo» – dico con occhi di rabbia e guardando dritto, con il capo leggermente chinato verso il basso.
Mia madre resta in silenzio e qualche secondo dopo, con uno scatto d'ira, lascia un forte schiaffo sulla mia guancia sinistra.
Silenzio. Il cane sobbalza, abbaia e scende dalle mie braccia impaurito, allontanandosi.
Chiudo gli occhi, resto in silenzio, stringo le mie mascelle per il fatto accaduto e continuo a guardare dritto con il capo leggermente abbassato. Ho rabbia dentro di me.
La donna mi afferra il braccio destro con estrema violenza, trascinandomi con sé, senza fiatare.
Volto lo sguardo all'indietro.
Oba è seduto a terra. Mi guarda.

Che ne è della mia vera mamma? Quella donna solare e gentile con tutti, sempre disponibile e con il sorriso stampato sul volto anche ad ogni minima difficoltà. È dannatamente cambiata.
Eppure, dopo la perdita di papà, avrebbe dovuto imparare a comprendere l'importanza della vita; invece è qui, a fregarsene della vita di un debole e povero cane che, come noi, merita di vivere senza morire dalla fame.
...E mamma dovrebbe sapere cosa significa morire di fame.

[...]

Ci stiamo dirigendo con un furgone verso Tripoli con l'aiuto del buon uomo conosciuto qualche settimana prima, il quale destino riserva lo stesso futuro. Io sono seduto alla sinistra di mia madre, ben distante da lei; mio fratello, invece, è seduto di fronte a lei, verso il lato destro.
Sarà un lungo viaggio di due giorni.

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