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Da quel giorno, da quel dannato giorno nulla era più stato come prima. Scott, Lydia, il resto del branco, mio padre e persino io. Era come se qualcosa si fosse rotto tra noi, o meglio, tra loro e i miei confronti.

Quella mattina mi svegliai verso le sei, anzi, non dormii. Ormai era una routine per me svegliarmi a quell'ora, i soliti incubi mi svegliavano nel cuore della notte e molte volte, per non averli, non dormivo. Ero sicuro che prima o poi sarei impazzito per quello, sempre se non lo fossi già. Questa volta gli incubi erano diversi da quelli avuti con il nogitsune, cominciando dal fatto che non avevo nessuno che mi aiutasse, nemmeno mio padre, il che mi faceva sempre più male e questa volta non avrei resistito. Lo sapevo, lo so.

Mi alzai controvoglia dal letto, anche se non stavo dormendo avrei preferito mille volte stare lì a non fare nulla piuttosto che andare a scuola ed essere guarda così, da loro. Aprii il cassetto del comodino e presi le pillole che avevo deciso di comprare di nascosto, mi servivano per gestire il sonno e gli attacchi di panico. Non erano un granché è vero, ma almeno non mi addormentavo in momenti meno opportuni, inoltre, gestivano i miei attacchi di panico. Mi vestii velocemente e poi uscì dalla camera per andare verso la macchina. Passai davanti alla cucina e vidi che c'era mio padre, come sempre lui non osò degnarmi di uno sguardo e, per l'ennesima volta in quei mesi, sentii il mio cuore sgretolarsi. Sempre se ne rimaneva ancora qualcosa. Senza dire nulla uscì da quell'inferno per andare in un'altro.

Sospirai per poi guardarmi dallo specchietto retrovisore, il mio viso era parecchio bianco, avevo gli occhi rossi contornati da profonde ochiaie violacee e il viso più magro del solito. Era strano vedermi in quel modo, ho sofferto le alte volte ma non mi sono mai ridotto in quel stato, ormai non sorridevo nemmeno più. Girai le chiavi e una volta che la jeep si accese misi in moto per poi lasciarmi indietro la mia casa. Arrivato a scuola notai che come sempre ero il primo, ma era normale, uscivo sempre prima di casa anzi, molte volte veniva qua quando mi svegliavo da un incubo. Scesi e mi diressi verso il campo di Lacrosse. Arrivato lì mi guardai intorno con malinconia, era da mesi che non ci giocavo più e, nonostante rimanessi quasi sempre in panchina, mi mancava. Mi mancava il mio branco, mio “fratello”, mi mancava il Lacrosse, mio padre e il vecchio me, il vecchio Stiles Stilinski.

Mi avvicinai ad una panchina e mi ci sedetti sopra per poi prendermi la testa tra le mani, non ne potevo più, avrei fatto di tutto per spegnere tutto, persino porre fine alla mia vita, tanto, alla fine a chi importerebbe? a nessuno. A nessuno importerebbe perché io non ero nessuno e tantomeno c'era qualcuno che ci tenesse. Una lacrima cadde sulla mia guancia accompagnata da altre. Mi odiavo, mi odiavo così tanto, se non fossi stato così debole fisicamente che mentalmente beh, non sarebbe successo tutto questo. Alzai la testa verso il cielo e feci una smorfia simile ad un sorriso, chissà se mia madre è delusa, chissà se in questo momento si sta prendendo cura di loro. Chissà se mamma sarebbe felice di vedermi lì, sempre se avrei raggiunto il paradiso.

Notai che era passato un bel po' di tempo solamente quando sentii la campanella in lontananza. Mi alzai lentamente, presi il mio zaino e mi diressi verso la porta che dava al campo, non avrei certamente preso la principale, non volevo la loro attenzione su me. Mi avvicinai alla mia classe e, senza bussare, entrai. Il professore appena mi vide smise di spiegare e portò il suo sguardo arrabbiato su di me. Non aveva tutti i torti, avevo camminato così lentamente per timore che erano passati dieci minuti.
<ti sembra il momento di arrivare Stilinski! sono molto deluso da te, in questi giorn..>
il prof continuava a fare la sua predica ma io a dirla tutta non me ne accorsi nemmeno. Senza degnarlo di uno sguardo mi misi seduto all'ultimo banco e presi il mio quaderno, il prof vedendo che non avevo intenzione di ascoltarlo scosse il capo per poi ricominciare la lezione.

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