ɪᴠ.

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«𝘜𝘭𝘵𝘪𝘮𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘴𝘶𝘤𝘤𝘦𝘴𝘴𝘦 
𝘵𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘴𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘦
𝘤𝘩𝘦 𝘈𝘭𝘪𝘤𝘦 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘪𝘯𝘤𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘢 𝘤𝘳𝘦𝘥𝘦𝘳𝘦
𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘪 𝘪𝘮𝘱𝘰𝘴𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦
𝘯𝘰𝘯 𝘤𝘪 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘱𝘪ù 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢.»

𝘈𝘭𝘪𝘤𝘦 𝘯𝘦𝘭 𝘱𝘢𝘦𝘴𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘮𝘦𝘳𝘢𝘷𝘪𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘥𝘪 𝘓𝘦𝘸𝘪𝘴 𝘊𝘢𝘳𝘳𝘰𝘭𝘭



La quarta cosa che mi ha insegnato questo 2020 è meno personale, più condivisa.
Per lo meno, credo. 

Si tratta di apprezzare la normalità


Tutti lo abbiamo detto, pensato, urlato dai balconi.
Non desideriamo tanto, basterebbe la normalità.
Normalità che ha assunto il valore di "straordinario". Normalità che non è più normale.
"Ce la faremo" a superare tutto questo, "andrà tutto bene" e si tornerà a com'eravamo prima.


Si dice sempre che la bellezza risiede nelle piccole cose o nella semplicità delle cose, è vero. Ma quest'anno ha dimostrato a tutti quanto nulla è "normale", niente scontato.
Ho tante immagini per la testa: si susseguono velocemente e quasi fanno a gara tra di loro, per quale devo dire per prima. In realtà non so cosa più mi manca. Perché quando qualcosa ti stravolge la vita, non pensi a cosa sia più importante di altro, perché tutto sembra aver assunto la stessa importanza. So anche che molte delle mie "mancanze" sono banali e, con tutte le persone che ci hanno dovuto lasciare, la fortuna è essere rimasti e non può dispiacere solo quello che non si è fatto. Però ci provo lo stesso, ma, bada bene, non sarà per ordine di importanza.


Allora penso al contatto.
Il contatto tra due mani, quelle di una stretta, un saluto, quelle che si toccano appena, sono sconosciute e frettolose, ma anche quelle che si cercavano da tempo, quelle che si stringono e trovano la loro casa. Il contatto di una mano sulla guancia, che ti accarezza: quelle dita che scelgono un angolo e quasi lo fanno loro. Quella stessa mano che va un po' ovunque, se lo vuole. Mi manca proprio stringere una manina e rassicurarla, trasmettendole forza ed energia. Così come mi manca una mano da esplorare, su cui cavalcare tutte le curve, scoprirne le imperfezioni.
Mi manca anche il contatto di un bacio. Che per poco abbiamo fatto a meno, perché si sa che gli italiani sono tutti "amiconi". E per fortuna. Non so proprio come facciano a vivere in Giappone, dove i baci non sono certo forma di saluto e dove, cosa ancora più assurda, all'inchino di rispetto si accompagna uno sguardo abbassato. Per fortuna lo sguardo lo abbiamo ancora.


Poi mi mancano le cazzate. Quelle riunioni infinite, fuori, in cui esco a piedi e non so quanta strada dovrò fare per raggiungere il luogo. I pesca-lemon ai chioschetti, le panchine della Piazza, le risate in via U****** o le salite di via E****. Mi manca non suonare a casa P****, qualunque essa sia, o entrare dal cancello di Via E********* perché è più vicino. L'elenco potrebbe continuare ancora e ancora, perché le abitudini a cui abbiamo dovuto rinunciare sono tante e probabilmente sono tante anche le esperienze (alcune anche ultime) che avremmo potuto fare, insieme e non.
La cosa assurda è che mi sono mancate pure le cose più stupide, quelle che ho sempre odiato e non pensavo di poter rimpiangere.
Ad esempio, mi manca prendere l'autobus senza paura di chi si è seduto su quel sedile prima di me. Mi manca guardare dal finestrino e prendermi quel tempo per me, con le colline che vanno veloci e le note musicali che ordinano i miei pensieri.
Mi manca pure prendere l'aereo, tutta l'attesa degli aeroporti, l'ansia quando devi passare dal check security, perché passare dal metal detector ci fa sempre un po' sembrare corrieri della droga.
Mi mancano i viaggi, ma non quelli grandi, dico anche quelli piccoli. Tipo quelli verso un qualche paesino sconosciuto di una terra vicina, a perdersi tra le strade, o a rimanerne incastrati. Mi mancano quei vicoli pieni di gente, in cui passare è proprio una fatica.
Mi mancano davvero così tante cose che prima erano scontate che non voglio neppure ricordarle tutte, perché mi auguro solo che possano ritornare, all'improvviso, così come sono andate via.

E Alice, ancora una volta, viene in mio soccorso: ormai di impossibile non c'è quasi più nulla. Cosa è troppo grande per me? Cosa è troppo piccolo? Cosa è reale e cosa è immaginario? Cos'è folle? Può essere folle qualcosa, solo perché contrario al suo abituale modo di essere qualcosa?

Lei si era posta tutte queste domande appena arrivata al paese delle Meraviglie.
Qui è tutto così strano, che le meraviglie le abbiamo dovute trovare a fatica.


Ma il 2020 mi ha insegnato pure questo: che se le cerchi, le meraviglie, le trovi.
In un'alba guardata dalla finestra, o in una goccia d'acqua che scivola sul vetro ora sempre più veloce. In una voce al telefono, che è sempre la stessa, eppure è così bella se sentita ancora.

2020 e quello che penso mi abbia insegnatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora