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Lei si era sentita osservata ad un certo punto.

Sì, perché, con l'appunto dell'amica, le era venuto in mente che, quando si esce in compagnia, non si può passare la serata al bancone, da soli, ad ubriacarsi con un cocktail chiaramente non infinito, nonostante infinita sia la noia in cui si stava vivendo.

Si era sforzata allora di fingere di interessarsi a quell'amichevole disputa. Aveva girato lo sgabello e aveva appoggiato i gomiti sul bancone, in cerca di un supporto per la schiena e in cerca di sicurezza.

Era partita una delle sue canzoni preferite. Non avrebbe mai pensato di poter apprezzare una canzone del genere, eppure si era trovata a canticchiarla nel limite invalicabile della sua mente.

Se fosse stata da sola, avrebbe iniziato a seguire le parole, avrebbe scosso la testa, abbandonandola a quel ritmo così diverso da lei. Era questo che lei vedeva all'interno della sua testa: vedeva se stessa lasciarsi andare. I capelli scompigliati per una volta e gli occhi chiusi, gli occhiali chissà dove.

Quando però alle sue orecchie era ritornato un suono non piacevole come quelle note, si era accorta di sentirsi osservata: il suo inconsapevole compagno di bevute di quella sera - o meglio, l'inconsapevole compagno di bevute di tante altre sere, visto che spesso frequentavano quel bar.

Sembrava che lui se ne fosse accorto, di essere stato colto in fallo a guardarla, e senza volerlo, lei aveva abbassato lo sguardo, quasi vergognandosi di questa sua incerta scoperta, come se fosse stata lei a sbagliare.

Così, dopo aver bevuto con foga gli ultimi sorsi della solitaria birra, si era alzato, aveva tirato fuori un pacchetto nero di sigarette e, limitandosi ad abbandonare le monete sul bancone per pagare, lui era uscito fuori.

Finita la canzone che aveva fatto trasparire una scintilla in quel granitico blocco di ghiaccio, anche lui aveva realizzato che stava facendo qualcosa di sbagliato.

Quale malsana idea aveva avuto? Perché entrare nella vita di quella sconosciuta? A quale scopo scompigliarle il caschetto di cui aveva tanta cura? Perché toglierle il suo elmetto?

Lui non capiva da quale necessità fosse emerso questo desiderio.

La sua vita era soddisfacente, per non azzardare felice, da tanti – per non dire tutti – i punti di vista: lavoro, amore, amicizie.

Perché voleva complicarsi la vita? Perché distruggere quel tentativo di rigidità in un mondo fin troppo languido e flaccido?

Perché era nato in lui il desiderio di strappare le cuciture dei suoi jeans aderenti che segnavano ogni perfezione di quell'armatura?

Perché voleva distruggere una gabbia costruita dall'animale stesso che ci viveva dentro?

Lui non era quel tipo di persona, uno che distrugge gli altri per motivi futili.

Si era odiato anche solo per quei pochi momenti in cui aveva pensato di poter irrompere nella vita di questa sconosciuta.

Eppure, una sola scena continuava a rigirarsi nella sua testa, incontrollabile ed indelebile: i suoi capelli spettinati, i suoi vestiti lanciati a caso, i suoi passi volutamente silenziosi perché lei è a piedi nudi, senza calze né scarpe.

Ma soprattutto, assieme a queste immagini rimbombavano pure delle domande irrefrenabili, uscite da chissà quale angolo della sua mente: qual è il suo odore?

A raffica, anche altre domande si accavallano l'una all'altra a nuove immagini: i capelli neri fuori posto di questa ragazza, il maglione che lei stava indossando sulla sedia della sua scrivania, gli stivali abbandonati davanti alla porta tra il salotto e la camera da letto. E il suo sapore? E la morbidezza della sua pelle, anch'essa perfetta e liscia come il marmo? Forse anche gelida come il marmo, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

Quale aroma mai avrà questa sconosciuta dalla corazza impenetrabile?

Aveva sentito il bisogno di fuggire da lei, per impedirsi anche solo di vedersi e immaginarsi a passare le dita tra quei capelli d'ebano, a sfilarle gli occhiali per gettarli sul suo comodino, a infilare il naso nell'incavo del suo collo in posa da cigno.

Doveva uscire dal ristagno di quei pensieri sbagliati ma incalzanti ed ossessionanti.

Con furia, aveva gettato il pacchetto di sigarette sul bancone, assieme alle monete per pagare quel nettare che – aveva pensato – era stato piuttosto una pozione o un veleno, ed era scappato fuori, con lo sguardo per terra, notando solo le punte degli stivali di lei.

L'aria gelida dell'inverno, l'immancabile nebbia, il fumo che usciva dalla sigaretta fumata rabbiosamente avrebbero dovuto fargli aumentare la sensazione di soffocamento e di panico da cui stava cercando di scappare. Invece, il semplice allontanarsi da lei lo aveva fatto tornare lucido. Respirava la sigaretta come fosse aria di montagna.

Mentre riprendeva velocemente il controllo di sé appena fuori dalla porta del bar, continuava a sentire il chiacchiericcio sommesso che usciva dal locale, che accompagnava i pensieri di chi - come lui – cercava la dose di ossigeno marcio che era necessaria per continuare a sopportare la noia.


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